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Ezio Guaitamacchi: «Vi racconto l’omicidio di John Lennon dalla prospettiva di Yoko Ono» [INTERVISTA ESCLUSIVA]

Ezio Guaitamacchi ci parla del suo nuovo libro “Amore, morte e Rock’n’Roll – Le ultime ore di 50 rockstar: retroscena e misteri"

“Il grande artista è fragile per definizione, troppo sensibile per vivere una vita normale, sempre in bilico tra il trionfo e l’abisso”. Parola di Enrico Ruggeri, che di vita nel mondo della musica, e dell’esistenza dell’artista, sa di sicuro molto. Una frase, quella succitata, che ben descrive la natura complessa della personalità degli artisti, e che compare nell’introduzione di un interessante volume dal titolo “Amore, morte e Rock’n’Roll – Le ultime ore di 50 rockstar: retroscena e misteri”. L’autore è Ezio Guaitamacchi, giornalista e grande esperto di musica, che in un libro completo, ricco e intrigante ci racconta le morti (alcune misteriose, altre in qualche modo prevedibili, altre ancora del tutto accidentali) di artisti famosi in tutto il mondo. Spesso nascondevano lati oscuri o sono stati vittima del loro essere star.

Dalla morte del Re del Pop Michael Jackson, a quella di Amy Winehouse, dal discusso suicidio di Kurt Cobain alla fine annunciata di Freddy Mercury. Dalla scomparsa di Whitney Houston a quella di Prince, fino a Chris Cornell e David Bowie. Un po’ noir, un po’ indagine, un po’ racconto documentario: sempre appassionato e dettagliato. Il volume è arricchito da immagini di repertorio, schede di approfondimento, citazioni e canzoni che fanno da colonna sonora ai racconti. Un libro da leggere e rileggere, da tenere in libreria e consultare per ricordare tanti artisti che non ci sono più e che hanno segnato le vite di tutti noi.

Ezio Guaitamacchi nuovo libro Amore morte RocknRoll

Nella prefazione scritta da Enrico Ruggeri, lui stesso parla della fragilità degli artisti. Per noi molte rockstar sono quasi dei supereroi, non ci rendiamo spesso conto di quanto siano fragili. Il tuo libro indaga anche questo, giusto?

Assolutamente, ed è anche il motivo per cui ho deciso di intitolare il volume “Amore, morte & rock’n’roll”. Nel momento finale della loro vita questi supereroi si sono umanizzati, si sono avvicinati di più a noi. Aldilà della loro fragilità psicologica, c’è stato anche un ritorno alle loro origini umane per così dire. Dopo aver parlato con Laurie Anderson, moglie e compagna di Lou Reed per tanti anni, ho cominciato a rileggere queste storie in un’ottica diversa. Laurie mi disse che la morte può anche essere vista come la manifestazione di quanto amore noi proviamo per la persona che se ne va, che il nostro dolore è direttamente proporzionale al bene che le abbiamo voluto.

Questo mi ha fatto capire che dietro a queste vicende (a volte drammatiche, a volte violente, a volte misteriose) ci sono sempre state grandi storie d’amore o di assenza di amore. Ho cercato di analizzare le vicende da entrambi le prospettive, l’amore e la morte. Inoltre, di queste star racconto le ultime ore di vita, che spesso celano misteri o che sono morti naturali dove ancor di più spunta l’aspetto romantico, poetico o artistico. È il caso di David Bowie, che con il suo ultimo album “Blackstar” è riuscito a far trasfigurare la sua morte in una vera e propria opera d’arte.

Il titolo del tuo interessante volume è “Amore, morte & rock’n’roll”, ma gli artisti di cui ti hai indagato le vite appartengono anche al mondo del pop, del folk, del rap.

È vero. Per me il rock non è soltanto un termine che indica un genere specifico e uno stile, quanto un modo di essere. È una cultura e una maniera di intendere la musica ribelle, trasgressiva, oltraggiosa. È vero, ho raccontato i malinconici finali di carriera di Whitney Houston e di George Michael, ad esempio, che hanno sempre fatto parte del mondo del pop, ma nel loro intimo hanno vissuto come rockstar. Erano personaggi in cui coesisteva un forte contrasto tra trionfo pubblico e fallimento privato, come diceva Enrico Ruggeri.

Se invece la vita privata va a intaccare la parte artistica è un altro discorso: è criminoso che nel 2011 una ragazza di 27 anni come Amy Winehouse a Londra sia stata lasciata completamente da sola, non aiutata da nessuno. Ed è un gran peccato che questi artisti morendo, molti di loro in età veramente giovane, abbiano privato il mondo di pagine bellissime di musica. Prendi l’esempio di Amy Winehouse, che aveva margini di miglioramento vocali, espressivi, artistici, personali. Ebbene, ha concluso la sua carriera con due dischi molto ammiccanti al pop, proprio lei che aveva nella testa quei gruppi femminili anni ‘60 e la musica jazz. Chissà cosa avrebbe potuto produrre…

Come mai hai deciso di raccontare storie particolari di artisti tutti stranieri? Anche la musica italiana è ricca di storie misteriose o poco chiare che circondano la fine di alcuni artisti…

In generale la musica e la cultura rock (te lo dice uno che era un ragazzo negli anni ‘70 e si è immerso in quel tipo di clima culturale sin da ragazzino) erano obiettivamente, geograficamente, culturalmente e temporalmente distanti da noi in Italia. Eravamo alla periferia dell’impero, perché quella è una musica, un’arte popolare che nasce da altre parti, in un altro contesto, in un altro periodo. Poi è stata talmente travolgente e straordinaria, come espressione artistica e socio-culturale, da intaccare tutto il pianeta, cosa che continua ad accadere ancora oggi, a più di 60 anni di distanza dalla nascita di questa musica. L’Italia è tutta un’altra storia, gli artisti stessi hanno avuto vite diverse, e spesso anche finali di vita diversi.

Qualcuno sicuramente avrebbe potuto far parte del mio libro: il caso più clamoroso, ancora un po’ avvolto nel mistero, è ovviamente quello di Luigi Tenco, ma ci sono anche tante altre storie che potrebbero essere raccontate, Rino Gaetano, Mia Martini, Fred Buscaglione oppure Pino Daniele e Lucio Dalla. Direi che ho voluto fare l’esterofilo visto che tanto da anni mi dicono che lo sono!

Qual è stata la storia più complicata da raccontare per te?

Sicuramente quella di Sid Vicious e Nancy, l’ultima storia che racconto nel libro. Una vicenda molto complessa, una vera e propria “murder ballad”. Nell’introduzione parlo di questo genere musicale traditional, in cui amore e morte si legano in maniera indissolubile spesso con finali tragici e delittuosi. Quella di Sid e Nancy è una murder ballad realmente accaduta. L’eroina e le altre sostanze creano una patina di nebbia nella quale si fa fatica a districarsi.

Ancora oggi la morte di Nancy è un caso non risolto; quella di Sid, invece, è stata un’overdose, non si sa quanto provocata dalla madre. Ci sono dei personaggi che, partendo da semplici fan o magari facendo il mio stesso lavoro, hanno impiegato tutta la vita e tutte le proprie sostanze a indagare questi casi. Uno di loro è Alan Parker, omonimo del grande regista di “Saranno famosi”, “The Wall” o “Evita”. Ebbene, lui ha fatto documentari e scritto libri con l’obiettivo di trovare la verità sul caso di Sid e Nancy.

Qual è la morte celebre che ti ha più colpito in assoluto? E perché?

Ci sono due morti che mi hanno colpito. La prima è quella di Jimi Hendrix, il mio grande eroe di quando ero ragazzino. Quando ho iniziato a suonare la chitarra era il mio punto di riferimento assoluto, e all’epoca non sapevo neanche che fosse già morto. La sua storia, a posteriori, mi ha colpito. Una vicenda tipica di quel periodo, in cui il protagonista era un donnaiolo, in balia di personaggi e manager di dubbia reputazione, in un ambiente (quello sella Swinging London) in cui circolavano sostanze di ogni tipo. Una storia complicata, difficile pensare che sia andata come ce l’hanno raccontata.

Poi mi hanno toccato moltissimo la morte di Leonard Cohen (con tutto il suo aspetto romantico) e soprattutto la storia di Lou Reed e Laurie Anderson. Ho conosciuto tutti e due, erano una coppia stranissima, apparentemente uno l’opposto dell’altra, anche se lei mi raccontava che Lou Reed era una persona dolce, mite, romantica. All’esterno Reed aveva l’immagine dell’uomo scontroso, sempre arrabbiato, ostico, mentre lei era eccentrica, stravagante, empatica, disponibile e intelligente.

La loro era una bellissima storia d’amore. Lou Reed quintessenza della newyorkesità, che ha cantato dell’eroina, del lato selvaggio di New York, con i suoi odori e le sue puzze. Ha deciso di morire in una zona bellissima, in mezzo alla natura, con il solo rumore delle onde del mare, facendo fino alla fine il suo amato tai-chi. Un’altra storia bellissima è quella di David Bowie: sia lui che Cohen si sono confrontati con la morte nei loro ultimi album.

L’8 dicembre abbiamo ricordato 40 anni dell’omicidio di John Lennon. Che memorie hai di quel giorno? E cosa ne pensi?

Me lo ricordo benissimo, ero fresco fresco di laurea alla Bocconi. Frequentavo ancora l’università e all’epoca c’era un bar dentro l’ateneo. Mi ricordo che quel martedì 9 dicembre (Lennon morì in tarda serata l’8, ma per il fuso orario la notizia arrivò da noi il 9) ero al bar della Bocconi. Il barista mi chiese: “Ma tu sei quello cui piace il rock, vero?”. Io risposi di sì, e lui seccamente, a freddo, mi disse: “Hanno ammazzato John Lennon”.

Ricordo che andai a chiedere la verifica della notizia, e che poi la notizia venne annunciata anche dai telegiornali. In un programma televisivo che ho curato tanti anni fa, ho intervistato il medico del Pronto Soccorso che aveva cercato di salvare Lennon, Alan Tannebau, il fotografo che fece una foto a lui e a Yoko Ono davanti al Dakota il giorno prima. Nel box che ho scritto a corredo del capitolo dedicato a Lennon, racconto che durante un’intervista che feci a James Taylor, mi rivelò che sui gradini dell’uscita della metropolitana venne importunato da un ragazzotto che gli aveva chiesto di conoscere Lennon.

Ho voluto narrare l’omicidio di Lennon dalla prospettiva di lei, di Yoko Ono, perché mi sembrava una cosa che nessuno pensa mai. La mia generazione ha visto in questa donna un personaggio negativo, che ha distrutto i Beatles, che ha plagiato Lennon, invece è stato l’esatto contrario. I Beatles si sarebbero comunque sciolti, e John senza Yoko sarebbe stato tutt’altro artista e tutt’altra persona. Non sono io che devo rivalutare una persona che già prima di conoscere Lennon era un’artista apprezzata nel mondo dell’avanguardia. È stata una donna che ha amato tantissimo John, e in questo è stata ricambiata. Poi ha sopportato una serie di cose che non tutte avrebbero potuto tollerare, come un tradimento pubblico, pesante, ufficiale. Per John Lennon è stata comunque madre (come la chiamava lui stesso), amica, partner artistica e amante. Cosa può volere di più un uomo?

John diceva giustamente: “Dietro una grande donna si cela sempre un grande idiota”. Certamente è stata una grande perdita. John Lennon è morto a 40 anni e dopo un periodo di crisi di vario tipo (personale, artistico, esistenziale) aveva recuperato la voglia di fare musica. Pensa cosa ci siamo persi, cosa avrebbe potuto fare. Siamo rimasti sicuramente privati di una parte di patrimonio artistico sicuramente eccezionale. Non avrebbe probabilmente mai superato i vertici raggiunti con i Beatles, per motivi anche di primogenitura o di momenti della vita di un artista in cui l’energia vitale è imparagonabile. Credo che tutti gli 8 dicembre dovrebbero servire a ricordarci questo.

Martina Riva

Musica&Cinema

Da sempre appassionata di tutto ciò che riguarda il mondo dell’intrattenimento, mi sono laureata in Conservazione dei Beni Culturali con una tesi di laurea in Storia del Cinema sul film “Lolita” di Stanley Kubrick. Finita l’università, mi sono trasferita a Los Angeles, dove, tra le altre cose, ho ottenuto un certificate in giornalismo a UCLA; nella Città degli Angeli ho lavorato per varie TV tra cui KTLA, dove per tre anni mi sono occupata principalmente di cinema, coprendo le anteprime mondiali dei film e i principali eventi legati al mondo spettacolo (Golden Globes, Academy Awards, MTV Awards e altri). Nel 2005 sono approdata alla redazione spettacoli di SKY TG24 dove ho lavorato come redattrice, inviata ai Festival e conduttrice. Le mie passioni principali, oltre al cinema, sono i viaggi, il teatro, la televisione, l’enogastronomia e soprattutto la musica rock. Segni particolari? Un amore incondizionato per i Foo Fighters!

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