Non è un Natale sereno quello delle cancellerie europee più blasonate. Gli ambasciatori di Germania, Francia e Svezia devono presentarsi a rapporto al Cremlino. Incombe il caso Navalny. Balzato improvvisamente, in questa fine dicembre di pandemia, ai primi posti nelle agende dei governanti del Vecchio continente.
“Quello è un megalomane”
Del resto, da Mosca arriva una sventagliata di gelo diplomatico da pieno inverno. E quando l’Orso Russo esce dalla tana nessuno può arrogarsi il diritto di sottovalutarlo. Il portavoce dello “zar” Vladimir Putin, Dmitri Peskov, ha accusato il dissidente e oppositore Aleksej Navalny di soffrire di “mania di persecuzione” e “mania di grandezza”. Deliri da potere assoluto per gli inquilini della piazza Rossa di Mosca? Tutt’altro. Piuttosto, quasi un avvertimento. Le parole di Peskov, sebbene fintamente stemperate dalla sottolineatura che si tratta di “un punto di vista personale”, arrivano dopo un’azione clamorosa di Navalny.
“Mi hanno avvelenato, la colpa è di Putin”
Il blogger dissidente divenuto emblema dell’opposizione a Putin ha pubblicato una presunta telefonata con un supposto agente dell’Fsb, i servizi segreti russi eredi del famigerato Kgb dell’era sovietica. L’uomo avrebbe ammesso le responsabilità dei servizi di sicurezza nel suo avvelenamento. Già, vi ricordate il misterioso malore dell’oppositore 44enne, lo scorso 20 agosto, poi guarito in un ospedale tedesco da quello che si acclarò essere un avvelenamento? Ecco che adesso un Navalny di nuovo in forma, grazie a un colpo di telefono dalla Germania dove ancora si trova, finge di essere un superiore dell’agente segreto contattato e gli “estorce” tutte le più dettagliate informazioni che si potessero immaginare sull’azione avvenuta contro di lui. La notizia ha fatto il giro del mondo. E, se non ci fosse di mezzo un tentato assassinio, la faccenda avrebbe tutti i crismi per finire in una spy story da romanzo.
La sostanza killer su mutande e vestiti
Per 49 lunghi minuti di telefonata Alexsej Navalny, spacciandosi per un alto funzionario dei servizi, si è fatto raccontare dalla spia di come “l’azione sia andata storta”. Nella conferenza stampa di fine anno, Putin aveva ammesso che “quel paziente che si trova in Germania” era seguito dai servizi di sicurezza moscoviti. Ma aveva anche drasticamente negato che gli uomini del Fsb avessero tentato di ucciderlo. “Se avessero voluto – aveva chiosato lo zar tra il beffardo e il cinico – avrebbero portato la cosa a buon fine”. Invece no. E così Navalny ha svelato i contenuti della telefonata con la spia: di come mentre lui era in piscina presso l’hotel in cui alloggiava gli agenti segreti, entrati in camera sua, avessero cosparso i suoi indumenti, soprattutto le mutande, con il Novichok, il potente agente chimico che avrebbe dovuto eliminarlo. O di come si fossero recati nell’ospedale di Omsk per cancellare ogni traccia della contaminazione dopo il ricovero del blogger e la sua partenza per la Germania. Ma non basta. Perché Navalny si sentì male durante un volo aereo. Il presunto agente gli avrebbe spiegato che se non fosse stato effettuato un atterraggio di emergenza a Omsk e se i sanitari non fossero intervenuti tanto rapidamente “il risultato sarebbe stato diverso”.
“Fake news e video fasulli”
I servizi segreti russi hanno già respinto al mittente ogni accusa. Non sono coinvolti in alcun modo nell’avvelenamento di Navalny, affermano. E definiscono “un falso” il video in cui il blogger dissidente sostiene di parlare con un agente dell’Fsb che pare confermare le responsabilità dell’intelligence russa nel caso. Per l’Fsb, l’inchiesta di Navalny è “una provocazione pianificata” che “non avrebbe potuto avere luogo senza il supporto organizzativo e tecnico di intelligence straniere”. Siamo al controspionaggio e al ribaltamento dei piani, in un gioco di specchi a somma zero. Navalny, insinuano le autorità del Cremlino e i loro apparati più riservati, non è che una marionetta; a tirarne i fili una o più potenze straniere. Il duello fra lo zar Putin e l’ancora giovane Alexsej continua. Le sorprese non finiranno qui.