Certi abbagli sono stati così inspiegabili che per chiudere un occhio si poteva solo ricorrere all’ironia. Proprio il Festival di Sanremo nel 2009 lanciò un teaser-spot che, come direbbero gli americani, faceva del limone una limonata. Sulle note di Vita Spericolata mostravano un giovanissimo Vasco Rossi sul palco dell’Ariston, classificato penultimo nell’edizione del 1983 (sottotesto: flop). Poi, su uno stacco monumentale ma altrettanto sarcastico, sempre Vasco Rossi al San Siro, riempito da 80.000 spettatori paganti (sottotesto: flop nostro). A chiudere lo spot con buona pace di tutti, la frase “La vittoria ha molte facce”.

Che poi anche questa è una verità. La storia del Festival, ormai quasi giunto alla sua 71esima edizione, è costellata da errori di valutazione. Brani entrati come cult nella canzone italiana dopo essere passati da Sanremo lasciando solo il rumore imbarazzante delle unghie sul muro della kermesse. Oppure quello degli applausi rotti da un silenzio confuso, con cui proprio Blasco uscì dal palco durante l’esibizione, lasciando che il playback continuasse a cantare al posto suo…

Mia Martini, Almeno tu nell’universo

Difficile trovare qualcuno che in Italia non ritenga questa canzone un capolavoro. Eppure non fu subito così quando, nel 1989, Mia Martini presentò a Sanremo il brano scritto a quattro mani da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio. Al netto dei fatti, il flop di valutazione non fu né della stampa né di una giuria demoscopica, come potrebbe essere adesso. Il Festival fece il solo “errore” di lasciare l’intero sistema di votazione nelle mani del pubblico che votava da casa, sulle base di schedine abbinate al concorso del Totip (e forse non a caso, quello fu l’ultimo anno). Ad esprimere giudizio furono ben 6 milioni di italiani, che però piazzarono Almeno tu nell’universo al nono posto in classifica.

Più lungimirante la critica, che invece assegnò al brano l’unico premio stabilito da una giuria di qualità (il secondo per Mia Martini, dopo quello ricevuto nell’82 per E non finisce mica il cielo). Nel 1996, ad un anno dalla sua prematura scomparsa, quello stesso premio avrebbe preso il suo nome diventando il “Premio della Critica Mia Martini”. Ma a conti fatti, Almeno tu nell’universo si classificò a Sanremo ’89 come un flop. In fondo Mimì ci aveva già avvisati: «Chi lo risentirà tra vent’anni avrà qualche brivido in più, perché si ricorderà di una emozione intensa che abbiamo vissuto insieme», aveva confidato a Bruno Marino sul numero 31 di Blu.

Lucio Battisti, Un’avventura

Nono posto anche per Battisti, nella sua prima ed ultima apparizione sanremese. Ma qui sul “flop” tira un vento contrario a quello di Almeno tu nell’universo, con una stroncatura quasi unanime arrivata da parte della critica. A Lucio non hanno perdonato tre cose, in quel 1969 sul palco del Casinò Municipale (non ancora Ariston): l’impaccio di fronte al microfono, il look eccessivamente alla moda (proprio nell’anno post-’68!) ed i capelli freschi di permanente. Un’avventura, scritta da Mogol, musicata da Battisti e arrangiata da Reverberi (e che vuoi di più dalla vita?) è diventata una dei pezzi simbolo della sua discografia, uno dei più “black”, che di lì a poco ha ‘benedetto’ il decollo della sua carriera.

Di certo quella sconfitta di critica a Sanremo ’69 non andò giù a Battisti. Alla prima occasione buona (appena qualche mese dopo, vincendo il Festivalbar con Acqua azzurra, Acqua chiara), si tolse un sassolino dalla scarpa dichiarando: «Questa vittoria mi sta bene perché qui ha votato la gente. Questo non è un festival con le giurie ristrette a pochi intimi. Nessuno può impedirmi di dire che il mio disco è il più gettonato dell’estate». Che dirgli? Sono passati oltre cinquant’anni e se qualcuno, in pieno agosto durante un viaggio in macchina, con i finestrini abbassati e il braccio verso il cielo, preferisce cantare Zingara (brano vincitore di quell’anno) piuttosto che Un’avventura… Che abbia il coraggio di alzare la mano.

Lucio Dalla, Piazza Grande

E a proposito di Lucio… Se vi state chiedendo come sia finita qui anche Piazza Grande, in mezzo alla classifica dei figli illegittimi di Sanremo, probabilmente c’è solo una risposta: un successo va bene, ma il doppio storpia. Dalla infatti aveva già conquistato il suo angolo di successo al Festival l’anno precedente, aggiudicandosi il terzo posto con 4/3/1943. Il brano aveva letteralmente messo in ginocchio la critica e la stampa, a cui era toccato (soprattutto alla seconda) far pace con la nota antipatia nei confronti del bolognese. La canzone che originariamente avrebbe dovuto chiamarsi Gesubambino (titolo cambiato proprio per scendere a compromessi con la Rai dell’epoca) era diventata un caso ancor prima che iniziasse il Festival, tra censure e curiosità verso Dalla lo strambo. A kermesse conclusa aveva messo d’accordo tutti: popolo, critica e perfino i cattolici. Ma l’anno dopo, nel 1972, Piazza Grande si piazzò solo all’ottavo posto: l’Italia non gradì quel bis che, forse, non aveva più il gusto della novità.

Patty Pravo, E dimmi che non vuoi morire

Ancora un ottavo posto, stavolta per Patty Pravo, che si presentò a Sanremo nel 1997 con il brano scritto da Vasco Rossi e Gaetano Cureri, E dimmi che non vuoi morire. Basta cercare online per ricordare come quasi chiunque avesse titolato “il flop” della diva del Piper. Anche qui la canzone si mosse subito su due binari paralleli. Data inizialmente per favorita, alla fine non raggiunse neppure uno dei tre posti sul podio (ma convinse la critica). Nell’arco di poche settimane era già ben piazzata nella classifica dei singoli più ascoltati, seconda nella top 10 italiana.

Nonostante riecheggino le movenze feline e raffinatissime con cui Patty Pravo tenne il palco dell’Ariston nel ’97 (e anche le polemiche per il suo immeritato ottavo posto), c’è da dire che quella tra lei e Sanremo non è mai stata una fortunata liaison… Eccetto scalinate e look ricercati, di cui non si è mai smesso di parlare.

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