Angelica sembra essere tutto e il contrario di tutto. Entra in diverse etichette con la stessa agilità con cui indossa un abito vintage. Ma con altrettanta naturalezza dribbla e sfugge da chi la vuole solo indie, solo retrò o solo anni Ottanta. È arrabbiata (ma con se stessa, dice), forse disincantata (sempre con leggerezza) e a modo suo è anche innamorata (solo dell’amore assoluto). Non ama invece le etichette (e questo lo dicono tutti). Però lei, a guardarla ed ascoltarla bene, davvero non rientra in nessuna di quelle che proviamo ad attribuirle. Veste anni Ottanta, sì; ma anche Sessanta e Settanta. Ha un’anima (e dei capelli) punk-rock, certo; ma ha anche la nostalgia sexy dell’ultima dei romantici. Come la sua musica.

Storie di un appuntamento, il nuovo disco appena uscito di Angelica, è un tête-à-tête con gli appuntamenti mancati e soprattutto con quelli passati. Dopo il primo album, Quando finisce la festa, la festa è finita, almeno per adesso. E resta l’ultimo incontro da fare: quello con se stessa. Alla moda del “non prendersi troppo sul serio”, dettata proprio da chi si prende sul serio (eccome), quando le ricordo che registrerò tutto quello che mi dirà, Angelica risponde sarcastica: «Sveleremo dei dettagli sulla politica italiana». Ché in fondo siamo solo qui a parlar di musica e di vita (la sua).

Quanto sei cambiata dal tuo primo album, Quando finisce la festa, pubblicato nel 2019?

Sono contenta perché sono due fotografie di due momenti chiave della mia vita, ma senza volerlo: ci ho riflettuto in questi giorni. Il primo disco, Quando finisce la festa, era improntato su una versione di me più superficiale. E più dedita a stare fuori di sé, poco introspettiva. Sono una persona molto insicura, quindi ho evitato a lungo gli aspetti del mio carattere più oscuri, che non mi piacevano. Quando esci da te (letteralmente, perché stavo sempre fuori casa), ad un certo punto il cassetto in cui nascondi la roba si riempie ed esplode. Ecco, il mio è scoppiato.

Perciò con questo nuovo disco, Storie di un appuntamento, cosa è successo?

È il momento opposto: completa introspezione. Accettazione di tutto quello che ho visto uscire dal cassetto e che in realtà mi ha dato una grande forza.

E arriviamo al concetto dell’appuntamento.

Esatto. Quanti appuntamenti ho vissuto sprecando un sacco di tempo? Non per forza appuntamenti amorosi ma anche di lavoro, con gente, a caso. Invece l’appuntamento vero era quello con me stessa. Lo avevo mancato e rimandato per troppo tempo.

In C’est Fantastique canti una frase che mi piace moltissimo: “Non ne fanno più di amori grandi come prima”. Parliamone: c’è un po’ di rabbia dietro?

Parliamone. La verità è che la mia rabbia è rivolta principalmente a me stessa. Amori grandi come prima non ce ne sono più, e mi ci metto anche io tra i colpevoli. Forse ho un po’ di superficialità nel vivere le relazioni, troppa leggerezza. A volte si prendono delle posizioni e si fanno dei gesti senza curarsi delle conseguenze. Ma una relazione è un impegno, e va curata. Ora si dimostra tutto in modo freddo e virtuale, mentre l’amore grande per me dovrebbe essere totalizzante.

Ti hanno inserita nell’immaginario e nell’etichetta dell’indie. Forse ti va stretta, ma i tuoi brani sono anche pieni di citazioni: Syd & Nancy, Taxi Driver, Beatles e Rolling Stones. E poi Milano e l’accendino: un gusto per il dettaglio e per la cultura pop che è molto indie, in effetti. Ma qual è il tuo background?

Ci pensavo qualche tempo fa, durante la serata del mio compleanno, in cui ho dominato la playlist. Una mia amica mi ha fatto notare che passo da una roba all’altra, cose insospettabili. Io sono dell’Acquario, un segno che non è che ci stia bene dentro ai confini delineati. Perciò tutto quello che ha dentro un elemento che cattura la mia attenzione, per me è papabile di interesse musicale. A livello cantautorale ci sono dei legami forti con le liriche. A livello di musica internazionale mi colpisce sempre il sound. Ho studiato per anni la musica del passato, le radici le conosco molto bene. Siamo in un’epoca derivativa: tutto deriva da qualcosa. E anche se sono un’appassionata di estetica vintage, il fatto di poter fruire qualsiasi tipo di musica in modo istantaneo, magari un’intera discografia per duecento volte di fila e subito, per me è una ficata.

A proposito di estetica vintage: anche qui tu sei anarchica. E anche qui c’è un’etichetta: Angelica la retrò, vintage e nostalgica. Ma in realtà tu balzi da un’epoca all’altra anche con lo stile (guardare Instagram per credere, nda), sempre con un forte gusto per il look.

Grazie, in effetti il gusto è quello che ci salva, a prescindere dalla moda. Tanto per il look quanto per la musica: se hai gusto chi se ne frega del genere. Per me un brano trap fatto con gusto è una bomba. Sul fronte vestiti mi sento anarchica ma sto bene così, per me sono una seconda pelle.

Ma certa nostalgia retrò, in effetti, la esibisci…

Sì, certo, ma senza bloccarmi su un’epoca. C’è chi si veste solo anni Cinquanta, con i vestiti identici a quelli di settant’anni fa, come fossero usciti da un film in costume. Io preferisco le citazioni. Ho fatto questo taglio di capelli un po’ metal anni Ottanta che mi piace molto e si mischia al resto. Per me è una macchina del tempo.

Ti propongo un gioco. Io ti dico le canzoni che preferisco del tuo nuovo album e tu mi racconti a cosa le leghi. Il momento giusto, per esempio, è un brano mi fa impazzire.

Anche a me (ride, nda).

Mi fa pensare alla serate romane a Trastevere, in cui sei bella, giovane, e quando la notte torni a casa è successo sempre qualcosa che vale la pena raccontare ad un’amica.

Infatti è stata scritta a Roma! Era novembre del 2019, ero lì per fare un concerto, quando sono tornata in albergo ero sfatta dal live. E sotto la doccia ho scritto il testo, in un secondo. Lego la canzone ad un momento bello, è stata una stupenda tre giorni romana.

“Ci siamo mescolati in un bicchiere, io e te”, canti nel testo. 

Quella è bella, sì. È una roba fisica ma anche spirituale. Mi piace l’idea di due persone che si mescolano come un cocktail: il ghiaccio, il colore che si mescola con l’alcool, la menta che si mischia alla bibita. È una cosa alchemica.

Di Karma mi piace la chiave di vendetta sexy. È una canzone sensuale…

Anche lì il testo è uscito in mezzo secondo. Stavo suonando con Rabbo, il mio batterista, ed è uscito fuori questo giro di basso. Abbiamo capito subito che era una bomba: “Scriviamoci sopra qualcosa”. Quindi mentre lui registrava io mi sono messa a scrivere il testo, è un flusso di coscienza che lì per lì neanche avevo capito. Sono un po’ insicura e remissiva ma in quel momento mi sono data una svegliata.

L’ultimo bicchiere credo sia il pezzo più riuscito del disco. Ha una sonorità che mi ricorda molto Lana Del Rey.

Che gioia che mi dai. Sì, Lana ci sta tutta. Il primo disco l’avevo composto da sola, e poi questo mi ha dato la possibilità di conoscere ed avere una band. Musicisti straordinari che mi porto dietro sul palco e con cui mi ritrovo a suonare. Come nel caso di Karma, quando è nata L’ultimo bicchiere io e la mia tastierista Daniela Bornati stavamo suonando insieme ed è uscito fuori questo giro. È un brano che ha avuto tantissime versioni, soprattutto a livello di arrangiamento. A un certo punto, dopo mille tentativi in studio, mi sono alzata e ho detto: “Ragazzi, in questo pezzo non bisogna metterci la batteria. Via tutto”. Loro sconvolti, perché inizialmente aveva una strepitosa batteria anni Ottanta. Grandi dubbi ma proprio in questi giorni Riccardo (nda: Montanari, tra i produttori del disco) mi ha scritto: “Per fortuna che alla fine la batteria non ce l’abbiamo messa”.

Nell’ultimo bicchiere tu canti: “Io dico addio, tu dici ciao”. I Beatles la dicevano al contrario, “You say goodbye and I say hello”. Come mai? A me piace più la tua versione.

Perché sennò Paul McCartney mi avrebbe accusato di plagio (ride, nda). E ovviamente perché è meglio dirsi addio che trascinarsi.

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