Nel futuro non si può escludere che le pandemie tornino ad affacciarsi. Anzi che, dopo il Sars-CoV-2 e le sue varianti, nuovi virus facciano irruzione nel nostro modo di vivere. Per questo prevedere le “tempeste di virus” come si fa da qualche decennio con nubifragi e tornado, può diventare una chiave di volta per affrontare meglio nuove epidemie. Al punto che si sta studiando la possibilità di istituire un Centro internazionale per le previsioni sulla salute: non troppo dissimile dai centri di analisi meteo. L’obiettivo è capire quando una nuova epidemia sta per emergere e l’impatto che potrà avere.

Un team di scienziati italiani

Si tratta al momento di una proposta da realizzare che però giunge da una fonte autorevole. L’ha lanciata sul Journal of Translational Medicine il fisico Roberto Buizza, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Insieme a lui anche lo statistico Enrico Capobianco dell’Università di Miami, il fisico Pier Francesco Moretti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e l’epidemiologo ambientale Paolo Vineis dell’Imperial College di Londra.

Il “Centro di previsioni della salute”

“Proponiamo di istituire un Centro di previsioni sulla salute il cui compito sia generare previsioni probabilistiche – scrivono i ricercatori -. Basate sulla conoscenza e affidabili. E che dovrebbe avere portata globale, per aiutarci a gestire rischi globali alla salute. Come sta accadendo per la pandemia di Covid-19″. Una proposta, rilevano, che potrebbe essere lanciata dall’Unione Europea con un finanziamento dedicato, o meglio ancora da un consorzio globale. Secondo quanto Roberto Buizza afferma all’Ansa, “l’incertezza non va nascosta, ma va stimata e gestita”. “Il modo migliore per stimarla – sostiene – è seguire un approccio probabilistico, come si fa quando si prevedono gli uragani. Un approccio che ci permetta di stimare la probabilità di possibili scenari futuri”. “Avere standard comuni e protocolli per poter scambiare osservazioni in tempo reale è cruciale per misurare lo stato del sistema in un momento preciso – osserva Buizza -. E anche per riuscire a prevedere, per esempio, che cosa potrebbe accadere aprendo o chiudendo le scuole, o vaccinando il 25% o il 50% della popolazione”.