Napule è mille culure. Napule è mille paure. Napule è a voce de’ criature che saglie chianu chianu e tu sai ca’ non si sulo. Napule è nu sole amaro. Napule è na’ carta sporca e nisciuno se ne importa e ognuno aspetta a’ sciorta. Napule è na’ camminata, int’e viche miezo all’ate. Napule è tutto nu suonno e a’ sape tutto o’ munno. Ma nun sanno a’ verità.

È una giornata di sole, il mare se ne sta fermo, immobile, a riflettere una luce calda e brillante. Castel dell’Ovo guarda dalla sua posizione privilegiata il golfo partenopeo e le gente cammina serena, con gli occhi pieni vita. Dalle auto di passaggio proviene una musica, quasi sempre quella di Pino. Come se fosse la colonna sonora di un film perpetuo, che non conosce titoli di coda. Succede anche nei vicoli, nel cuore del città; c’è la musica e c’è il sole. È una giornata di pioggia, il mare ingrigisce, è tempestoso. Castel dell’Ovo si spegne, nei vicoli c’è tristezza. Si pensa alla vita, si pensa alla sorte: bastarda quando non è dalla parte giusta. È Natale; San Gregorio Armeno si veste a festa, le voci dei bambini salgono piano piano e il colore torna prepotente a Napoli. Napoli, una carta sporca; un sogno. Mille colori, mille paure. Napoli la conosce tutto il mondo, ma non sanno la verità.

I napoletani si riconosceranno in questo quadro, sapranno che nessuno meglio di Pino Daniele ha saputo cantare la città. Oggi avrebbe compiuto gli anni e lo celebriamo perché si fa così con chi riesce a emozionare anche quando non c’è più. Si fa così con chi ha messo a nudo il cuore e ha voluto raccontare senza filtri la verità di una cultura e lo ha affatto attraverso la musica.

Sara, non piangere tienimi chiuso dentro questa stanza, rompi i tuoi giochi contro l’arroganza del mondo che è pieno di: cose inutili da fare, cose inutili da dire. Quante cose inutili abbiamo nella testa, ma il tuo sorriso resta…

Oggi, 19 marzo, è anche la festa del papà. Pino è un papà e per Sara, una dei suoi cinque figli, ha scritto un brano vero e sentito; ha chiesto alla sua bambina, ancora prima che potesse affacciarsi alla vita, di inseguire un sogno vero. E quanto è difficile. Ma il monito arriva da chi ha sovvertito le regole, da chi con la musica ha cambiato le prospettive. Pino Daniele la musica ce l’aveva nel sangue, in ogni fibra del suo corpo; ogni strumento, ogni nota, ogni vibrazione. E non avrebbe potuto fare altro che chiedere a Sara di combattere per se stessa e per i propri sogni. E sì, il mondo è ancora e sempre pieno di cose inutili da fare e cose inutili da dire, e in piena pandemia, ancor di più, il sorriso di chi amiamo è l’unica cosa che resta, che conta davvero. Dovremmo ricordarcelo.

E aspiette che chiove, l’acqua te ‘nfonne e va. Tanto l’aria s’adda cagnà.

Pino Daniele è nato in basso, la sua famiglia non aveva molto. Aveva la musica, sì; quella c’è sempre stata. Per anni ha lavorato in sordina, suonava, stringeva mani. Alcune di quelle mani non le ha lasciate mai: James Senese, Enzo Avitabile, Rino Zurzolo, Renzo Arbore. Erano gli anni ’70 e la musica di Pino Daniele non era folclore, ma essenza. Perché le sonorità blues andavano a dare vita alla sua iconica napoletanità, ai testi che raccontavano la città, la vita nella città, la mentalità. Il bello e il brutto. Il bianco e il nero. Terra mia, ‘Na tazzulella ‘e cafè, Libertà. Poi l’esibizione indimenticabile a Piazza del Plebiscito, l’apertura del concerto di Carlos Santana e Bob Dylan e Mascalzone Latino. I ricordi degli anni ’90 sono quelli che fanno accelerare il battito ai napoletani: Pino e Massimo. Quando. Alta Classe con Gianni Minà. Eh. La produzione degli anni 2000 è così vasta, così innovativa che questo spazio non basterebbe per raccontarla. Basta forse un accenno al primo decennio che ha visto l’uscita di ben sei album, tra cui Medina. Non staremo qui a ricordare i problemi legati alla salute, alla scomparsa prematura. Non daremo spazio alla memoria dei giorni tristi. Pino Daniele è ancora lì a suonare la chitarra insieme a Massimo Troisi che lo guarda con stupore e ammirazione. Uno sguardo reciproco, e non potrebbe essere altrimenti.

Oggi stiamo lottando contro un mostro, contro un virus feroce che chissà Pino come lo avrebbe raccontato. Non lo ha vissuto, ma ha visto e raccontato il dolore, non è un concetto lontano da lui. Forse c’avrebbe detto di stare tranquilli perché prima o poi l’aria s’adda cagnà.