Nell’Italia delle zone rosse e arancioni anti Covid, pur potendo spostarsi solo per giustificati motivi, non sarebbe obbligatorio dire il vero – o meglio: scriverlo – nell’autodichiarazione da consegnare alle forze dell’ordine una volta fermati per un controllo. Sembra questa, infatti, la conclusione a cui giungere a seguito di una sentenza del tribunale di Milano.
Le motivazioni della sentenza
La storia è questa. Un giovane di 24 anni è stato assolto dopo essere finito a processo con l’accusa di falso. Avrebbe mentito nel compilare un’autocertificazione durante un controllo anti-Covid a Milano. “Un simile obbligo di riferire la verità non è previsto da alcuna norma di legge”, recita la motivazione del giudice per le indagini preliminari (Gup) Alessandra Del Corvo. Secondo il magistrato, si legge nella sentenza, “è evidente come non sussista alcun obbligo giuridico, per il privato che si trovi sottoposto a controllo nelle circostanze indicate, di dire la verità sui fatti oggetto dell’autodichiarazione sottoscritta, proprio perché non è rinvenibile nel sistema una norma giuridica” sul punto.
Fermato per un controllo
Il giovane, difeso dall’avvocato Maria Erika Chiusolo, fermato per un controllo alla stazione Cadorna il 14 marzo, aveva dichiarato di lavorare in un negozio. E che in quel momento stava rientrando a casa. Una decina di giorni dopo, però, un agente aveva mandato una email al titolare del negozio per verificare se il ragazzo avesse detto la verità. E gli era stato risposto che il 24enne quel giorno non era di turno al lavoro.
“Manca una legge chiara”
In una situazione del genere, per il giudice manca una norma specifica sull’obbligo di verità nelle autocertificazioni da emergenza Covid. Ma non solo. Non esiste neppure una legge che preveda l’obbligo di fare autocertificazioni in casi come questi. E sarebbe anche, sostiene la Gup di Milano, incostituzionale sanzionare penalmente “le false dichiarazioni” di chi ha scelto “legittimamente di mentire per non incorrere in sanzioni penali o amministrative”.