Roberto Bolle: La danza è stata una folgorazione. Mai avrei immaginato di poter incantare migliaia di persone [ESCLUSIVA]
Roberto Bolle il principe della danza si racconta a VelvetMag
È senz’altro oggi il ballerino più conteso dai teatri e dai coreografi di tutto il mondo. Ha iniziato giovanissimo i suoi studi nella Scuola di ballo del Teatro alla Scala di Milano. Il primo a notarlo fu il più grande danzatore della storia, Rudolf Nureyev, che gli affidò il ruolo di Tadzio nell’Opera Morte a Venezia. Roberto aveva solo 15 anni e un futuro da stella davanti a sé. Nel 1996 venne nominato primo ballerino da Elisabetta Terabust e fu un evento storico, poiché alla Scala non era mai successo che un danzatore ricevesse tale nomina a soli 21 anni e poi in seguito étoile. Riconosciuto da tempo come il principe della danza per la sua strabiliante tecnica e per la sua bellezza scenica, Roberto Bolle ricopre spesso il ruolo del principe, che gli calza a pennello. D’altra parte il suo fisico scultoreo incarna perfettamente l’ideale di bellezza classica e i suoi grandi occhi chiari, su un volto dai lineamenti estremamente delicati, esaltano questo suo aspetto da “principe azzurro”. Oggi è l’emblema della danza italiana nel mondo.
Qual era il tuo sogno ricorrente da bambino?
La mia vita è più di quello che osavo sognare da bambino. Mai avrei immaginato di poter incantare migliaia di persone. La danza è stata una folgorazione e a sei anni ho chiesto ai miei genitori di andare a scuola di danza.
Come definiresti il tuo percorso artistico dagli inizi sino a ora?
Un percorso fatto di sacrificio, totale dedizione, nessuna scorciatoia e tante soddisfazioni.
Com’è stato l’incontro con il grande Rudolf Nureyev?
Avevo 15 anni ed è stato un momento magico. Mi ha dato soprattutto dei consigli tecnici, correggendomi alla sbarra e in alcuni esercizi. In un certo senso, mi ha aggiustato l’impostazione di base. Ero molto giovane e ne avevo davvero un grande bisogno.
Il tuo messaggio artistico… cosa cerchi di trasmettere agli altri?
L’amore per la danza. La grande energia di questa arte di cui oggi è troppo spesso sottovalutata l’enorme capacità di attrarre e comunicare emozioni a un pubblico vastissimo e trasversale.
Da italiano, come hai vissuto il fatto di essere un talento riconosciuto all’estero?
Con grande orgoglio, certamente è un onore. Al di là delle polemiche, l’Italia continua ad avere un ruolo centrale nell’arte e nella cultura mondiale. E questo, quasi a dispetto della trascuratezza con cui viene coltivata in patria. Serve maggiore cura del nostro patrimonio artistico e culturale, sostegno, sovvenzioni, aperture. Dobbiamo tornare a essere un faro, in ogni arte, perché questo è scritto da sempre nella nostra storia.
Ci sono state persone o maestri, in particolare, che hanno segnato particolarmente la tua crescita artistica?
Molti. Citerei sicuramente Neumeier e Roland Petit – interpretare i suoi balletti è stato un altro momento di grande crescita artistica per me – ma anche Kylian e Forsythe che mi hanno dato una qualità di movimento che prima non avevo e che ha influito in maniera positiva su come ho affrontato il repertorio classico.
Di recente hai lavorato in “Orpheus” di John Neumeier con l’Hamburg Ballet…
Orpheus è stato un balletto molto desiderato che ho ballato dopo due anni dal previsto debutto. È un onore che un coreografo della portata di John Neumeier, uno dei geni della coreografia e del balletto moderno e narrativo, abbia plasmato una creazione su di me. Un grande riconoscimento e un punto di arrivo per la mia carriera. Insieme abbiamo fatto un lavoro molto intenso e profondo sulla figura di Orfeo cercando di entrare e delineare la personalità, la parte più profonda del personaggio. Un ruolo che è arrivato in un momento della mia carriera e del mio percorso umano adatto, perché è un personaggio che implica una maturità e uno spessore emotivo che sento di aver raggiunto».
Com’è stato lavorare fianco a fianco con il maestro Neumeier?
Un’esperienza straordinaria. È un coreografo molto generoso. Tra di noi è scattato un feeling immediato e una grande empatia. Da quando ci siamo incontrati, nel 2007, il nostro rapporto umano e la stima personale sono cresciuti sempre di più. Il primo lavoro insieme è stato con la Dama delle Camelie che ho ballato con Alessandra Ferri alla Scala. John mi ha poi voluto interprete di questo balletto ad Amburgo, all’Opera di Parigi e al Metropolitan di New York. Quando mi ha comunicato che voleva modellare un ruolo su di me, ero entusiasta. Se già il lavoro con lui per la Dama delle Camelie aveva rappresentato un punto di crescita artistica per la mia carriera, con Orpheus ho raggiunto un livello superiore, un punto di svolta nel mio percorso artistico.
Concordi con chi ama ripetere: “dedichiamo la nostra vita alla danza, ma la danza stessa in fondo è vita, nel suo significato più profondo”…
Concordo, si potrebbe dire qualcosa di più giusto?
Qual è il traguardo più importante per un ballerino?
Riuscire a emozionare il pubblico sia con la perfezione dei movimenti sia con l’interpretazione di ruoli che porta gli spettatori a entrare in una storia, immedesimarsi in personaggi, vivere altre vite.
Qual è la tua idea di teatro, nel senso più ampio del termine?
Riciclerei la definizione di prima e direi che il teatro “è vita nel suo significato più profondo”.
La tua è una carriera lunga e ricca di soddisfazioni… hai ancora un sogno nel cassetto da realizzare?
Non uno in particolare. La mia carriera mi ha regalato tantissime soddisfazioni, ma anche tante sorprese, soddisfazioni inattese, realizzazione di progetti che non avrei mai neanche immaginato. Quindi spero che la mia carriera mi stupisca ancora una volta.
Roberto Bolle allo specchio: come si vede?
Per un ballerino lo specchio è uno strumento di lavoro quotidiano. È un confronto costante e indispensabile, a volte conflittuale che non ha implicazioni solo estetiche, ma serve per correggere difetti e perfezionare movimenti e posizioni.
Il consiglio di Bolle ad un giovane che inizia ora la carriera della danza?
La carriera di un ballerino si costruisce negli anni, non esiste un modo per arrivare prima. Il problema oggi può essere la ricerca delle scorciatoie che i ragazzi vedono spesso nei reality o nei talent show. Invece quello del danzatore è un percorso professionale che si costruisce nel tempo e con infiniti sacrifici.
Il tuo rapporto con il pubblico?
È da sempre un elemento importante che negli ultimi anni è molto cambiato. Non si limita più al palco, ma grazie a internet prosegue con grande libertà e possibilità di confronto in modi impensabili fino a qualche anno fa e che mi interessano molto. Oggi è possibile parlare e seguire i fans via internet dai blog, siti e giornali online. Io uso molto anche Twitter. Lo trovo un modo inedito per rimanere a contatto con il pubblico, anche a sipario chiuso.