È da tempo in vetta alle classifiche italiane dei libri più amati dai lettori. E se lo merita. Perché La disciplina di Penelope (Mondadori) è un romanzo ritmato da una scrittura che non lascia scampo. Gianrico Carofiglio, con quest’ennesima opera meritevole, ci consegna una figura femminile dai tratti epici. Una donna durissima e fragile, carica di rabbia e di dolente umanità.
Una donna alla ricerca di sé
Un personaggio che rimane a lungo nel cuore, ben oltre l’ultima pagina del sorprendente finale. Penelope si sveglia nella casa di uno sconosciuto, dopo l’ennesima notte sprecata. Va via silenziosa e solitaria, attraverso le strade livide dell’autunno milanese. Faceva il pubblico ministero, poi un misterioso incidente ha messo drammaticamente fine alla sua carriera. Un giorno si presenta da lei un uomo che è stato indagato per l’omicidio della moglie. Il procedimento si è concluso con l’archiviazione ma non ha cancellato i terribili sospetti da cui era sorto. L’uomo le chiede di occuparsi del caso, per recuperare l’onore perduto, per sapere cosa rispondere alla sua bambina quando, diventata grande, chiederà della madre.
Imparare a investigare
Penelope, dopo un iniziale rifiuto, si lascia convincere dall’insistenza di un suo vecchio amico, cronista di nera. Comincia così un’appassionante investigazione che si snoda fra vie sconosciute della città e ricordi di una vita che non torna. Ne La disciplina di Penelope, Carofiglio fa lezione di investigazione, con una struttura che guarda alle serie tv. Ma riesce a rifuggirne sia i cliché che le spettacolarizzazioni più banali. Per virare su una realtà più prosaica e ordinaria. Il mondo vero non è quello di Jessica Jones, che Penelope guarda nelle sue serate solitarie, ma è fatto di persone normali, di Mario Rossi qualunque, con le proprie incoerenze e precarietà.
Grammatica delle emozioni
Nella narrazione di Carofiglio non manca, sottolinea Il Libraio, una grammatica delle emozioni che emerge di continuo. Sì perché Penelope, che combatte nel labirinto della sua mente, ha imparato che per superare il disagio è necessario trovargli un nome. La sua indagine è una costante attenzione agli indicatori linguistici, una mappa delle parole che serve a decifrare le insicurezze. Così come le mezze verità e quei pensieri inafferrabili che il ricordo le ha sepolto dentro.