Come una madre possa abbandonare il proprio figlio, è una domanda alla quale non è facile dare una risposta e soprattutto, non tutti possono comprendere. Se lo è chiesto molte volte Aurora Betti che oggi è una madre, ma che per tanto tempo si è sentita insoddisfatta e insicura nei rapporti. La paura che “l’altro” da un momento all’altro potesse andar via, era diventata ormai una costante nella sua vita. La vita di una ragazza che da tempo aveva lasciato le bambole in angolo per dare spazio ad una ricerca adulta, matura; anche se dettata da una semplice domanda, pronunciata da una voce ancora fanciullesca e scritta sulle chat di un social network che chiedeva semplicemente: “Sei tu?”.

Chi era la donna che le ha dato la vita per poi abbandonarla? Quale era il suo nome? Si è mai pentita di quel gesto? Quando una donna diventa madre credo che cerchi di cristallizzare l’odore di quel bambino per poterlo ritrovare dopo, quando lo vedrà adulto e ricorderà, magari, l’esatto momento in cui l’unico posto sicuro per quella creatura non erano altro che le sue braccia.

Ma inequivocabilmente esiste l’altra faccia della medaglia che è sicuramente meno fiabesca, più torbida, ma non per questo totalmente priva di amore. Un amore come quello di Manlio e Chiara, i genitori adottivi di Aurora Betti che l’hanno sentita figlia dal primo abbraccio. E non c’è legame di sangue, travaglio, che possa rompere o sminuire quell’intesa che giorno dopo giorno cresce. Malgrado quel passato ingombrante dettato dalla ricerca delle proprie radici, Aurora non si è persa d’animo e ha vissuto il flusso degli eventi come se stesse interpretando la scena di un film. Ha tessuto le fila della propria storia e le ha dato voce attraverso le pagine di un libro edito da Caro Diario, dal titolo Mamma, sei tu?

Intervista esclusiva VelvetMag ad Aurora Betti

A partire da un certo periodo della tua vita hai preso coscienza di una mancanza fondamentale. Capire che una donna ti abbia partorita per poi non aver più la possibilità di guardarla negli occhi, credo proprio che sia esattamente la stessa sensazione che si ha quando ti viene meno il terreno sotto i piedi. Vogliamo ripercorrerlo insieme quel momento?

In realtà la presa di coscienza non c’è stata da subito, anche perché l’ho saputo da piccolina. Avevo all’incirca sette anni, ma in quel momento mi sentivo speciale. Non c’era un peso vero e proprio. Non c’era una sofferenza. Finché ad un tratto, con la crescita, esattamente verso l’età adolescenziale, è iniziata a farsi sentire quella voglia di capire. Quella sofferenza insieme a alle mille domande esistenziali che fondamentalmente a quell’età non ci dovrebbero essere per il semplice motivo che in quella precisa fase della vita le domande sono generalmente altre.

Non saprei a cosa paragonarla in realtà quella sofferenza. Era – ad ogni modo – dettata da un rifiuto: una persona che è stata abbandonata non si sente all’altezza, e questa sensazione si ripercuote poi su tutti i comportamenti, tanto che ci si sente mai non abbastanza.

Quanto ti ha tormentato conoscere le tue radici?

Tanto. Tanto da iniziare questa ricerca che mi ha portato a partire e a svelare tutti quei dettagli che mi avrebbero poi fatto male. Ma tutto è partito da me. Sono stata io ad iniziare. Ho dovuto! Perché altrimenti non sarei stata serena come lo sono adesso.

Questo disagio credo che abbia influito anche sulle tue relazioni.

Esatto! Come ti dicevo in tutte le relazioni interpersonali: non solo in amore, ma anche in amicizia. Nonostante io l’abbia dopotutto superata, tendo sempre a voler avere delle conferme. L’abbandono porta ad esser dubbiosi sulla soddisfazione che potrebbe avere l’altra persona nei tuoi confronti. Magari hai tutto da questa persona, però, nel mio caso per esempio, deve esserci una costante conferma. Capire semplicemente se l’altro c’è, se è presente nella propria vita, è fondamentale. Purtroppo è un fattore che ci portiamo sulle spalle un po’ tutti. Io ho avuto modo di confrontarmi con qualche altro ragazzo che ha vissuto la mia stessa storia, e anche se le esperienze non sono mai totalmente tutte uguali, anche loro provano questa insicurezza.

Avevi all’incirca un anno e mezzo quando Chiara e Manlio ti hanno preso in braccio e sono diventati i tuoi genitori adottivi. È stato naturale sentirti figlia fin da subito, o c’è stato un momento laddove non essere biologicamente parte della famiglia ti abbia poi portato a respingerli?

Assolutamente mai! Sicuramente i primi giorni che sono arrivata a casa, parliamo di quel lontano 23 Settembre, data che vivo come se fosse un secondo compleanno, sono stati un po’ difficili. Sostanzialmente perché non avevo più quella figura materna che per un anno e mezzo è stata appunto la mia suora. Sono stati bravi i miei a tranquillizzarmi. Infatti da quel momento non c’è stato mai un piccolo campanello d’allarme laddove io abbia pensato di lasciare la mia famiglia. Assolutamente.

Di solito quando si leggono libri dove la protagonista è alla ricerca di una verità, si spera sempre in un lieto fine. Ovviamente lasciamo al lettore la curiosità di capire cosa sia potuto accadere subito dopo aver deciso di conoscere le tue radici. Il titolo racchiude esattamente questo: una ragazzina che inizia a scrivere sulle chat di Facebook: «Sei tu?». Ti hanno mai risposto?

La mia ricerca su Facebook è iniziata praticamente da subito, da quando ho avuto accesso ai dati. C’ho messo un anno per trovare quella che era la mia mamma biologica. E dopo aver scritto sulla chat le poche parole “Sei tu?” – una domanda che poteva significare qualsiasi cosa – ho ottenuto al contrario una risposta inequivocabile, ben precisa. Una donna un giorno mi ha risposto e mi scritto: “Non sono io tua madre”. Dopo tanto tempo di ricerche, stavo praticamente parlando con la persona che mi aveva messa al mondo e poi abbandonata.

Una risposta agghiacciante…

E dire che nella mia domanda non c’era nulla di studiato. Ma ho comunque ricevuto quella risposta, e lì ho capito che stavo parlando proprio con lei.

Cosa è successo dopo? Ti ha dato modo di continuare la conversazione?

La conversazione è andata avanti lo stesso giorno in cui ho ritrovato mia madre biologica. Ci siamo sentite al telefono ed è stata una chiamata abbastanza lunga, anche se, purtroppo, non ho ricevuto solo che bugie. Bugie confermate da alcuni documenti visti con i miei genitori adottivi che davano appunto prova di come tutte le cose che mia madre biologica mi aveva raccontato, fossero in realtà false. L’unica informazione vera era l’esistenza di una sorella. Come ho scritto nel libro, sono andata alla ricerca di questa sorella, e l’ho trovata.

Come è stato ritrovarla?

Beh, intanto è assurdo come si siano sviluppate le varie dinamiche: avevo sì programmato di cercarla, di parlarci, ma non di incontrarla. Lei è stata la prima persona del mio stesso sangue che ho visto, anche se è mia sorella per metà. Ed è stata lei che si è presentata da me in un giorno molto particolare della mia vita. Era nato il mio bambino ed esattamente l’indomani dal parto – ancora in ospedale – l’ho avuta davanti a me.

Perdonami se ti interrompo, ma è incredibile quanto il flusso degli eventi abbiano portato a farti vivere così tante emozioni contrastanti. Nell’immaginario collettivo, il ritratto che hai appena descritto potrebbe riflette esattamente il profilo di una scena di un film. Nella mia mente gli eventi che hanno cristallizzato quel momento sono ora connessi: una nuova vita tra le braccia, l’euforia, la paura di cominciare un nuovo capitolo della propria esistenza. Ma ecco che improvvisamente il passato ritorna e ti osserva dietro un vetro della stanza di un ospedale. Come hai gestito il tutto?

Allora: ho cercato di accantonare il passato perché andavo comunque incontro ad una cosa meravigliosa; un figlio, una mia famiglia. Volevo quindi mettere da parte quello che era stato. Invece, proprio in quel momento, ventiquattro ore dopo, il passato si è ripresentato in persona: il frutto della mia storia era lì. La mia sorellastra (anche se non mi piace chiamarla così) è una persona meravigliosa. È molto intelligente, carina. Molto posata e sensibile, e queste caratteristiche mi hanno portata a trovarmi bene con lei.

Abbiamo parlato molto della mamma biologica, ma poco di quel papà che non hai ma conosciuto. Ti sei mai posta domande anche su di lui?

Ne ho parlato spesso dopo la pubblicazione del libro. Io cercavo la figura materna e meno quella paterna, anzi, quasi per nulla. E non so spiegarmi il perché. Forse la figura materna la vedo più legata al figlio, visto che lo tiene in pancia per nove mesi e lo partorisce. Ciononostante, c’è stato il momento in cui mi sono impegnata nel trovare mio padre biologico. Ricordo di aver utilizzato dei dati che avevo, ma sono inciampata nel suo necrologio, e da quel momento ero certa che non avrei avuto modo di parlare con lui.

Cosa vorresti dire a entrambi i tuoi genitori biologici se fossero qui, ora?

Li ringrazierei. Perché grazie a loro ho potuto avere la famiglia che meritavo, la famiglia che ho. Quindi, tutto quello che è successo, partendo dall’abbandono e nonostante la sofferenza, è stata una bella storia. Sono contenta del finale, per lo meno.

Sei diventata mamma giovanissima Aurora.  Se un giorno tuo figlio dovesse chiederti di raccontargli la tua storia, quale morale vorrai lasciargli?

Ho provato a leggere il libro a mio figlio, ma sai, ha tre anni e non poteva che avere “effetto sonnifero” su di lui. Tuttavia, appena crescerà, sicuramente gli racconterò tutto. Perché? Perché è giusto che lui viva la sua vita meravigliosamente e spero di dargliela insieme al mio compagno (futuro marito). Ma è giusto anche che riconosca l’altra realtà: ci sono storie diverse ed è fondamentale che lui sia a conoscenza delle difficoltà che si possano affrontare. I figli non si tengono dentro delle bolle, ma  spiegargli le cose in modo giusto.

Ci sono tantissimi possibili genitori in questo momento che vorrebbero diventare il padre e la madre di un bambino, ma che non hanno la possibilità di concepirli. A chi vorrebbe iniziare il percorso di adozione, cosa consiglieresti tu, figlia adottiva che ha vissuto questa realtà stando dall’altra parte?

Lo faccio tuttora. Non a caso ricevo molti messaggi di coloro che vorrebbero intraprendere il percorso. La prima cosa che vorrei consigliare è di appoggiare in tutto e per tutto il loro figlio. I miei genitori, per esempio, mi hanno supportata. E non è una cosa scontata. Il genitore adottivo sente spesso la paura che il figlio possa cercare la famiglia biologica. Ecco, secondo la mia esperienza, quello che devono capire è che non c’è una richiesta di una figura materna o paterna. Ma a volte si ha la necessità di costruire la propria storia. Di trovare la verità e di capire i motivi dell’abbandono.

Un libro può essere anche un valido debutto. Hai mai pensato di lavorare in tv? 

Sicuramente mi piacerebbe fare qualche programma televisivo, senza alcun dubbio. Ma, devo ammettere che, dopo l’uscita del libro, è nato il desiderio di rendere un giorno questa storia un film. Per me sarebbe bellissimo! Ci sarebbero tutti i presupposti: dai colpi di scena alla trama in sé. Se mi soffermo sulla mia storia, son successe cose assurde! E questa esperienza di vita – la mia realtà – avrebbe tutte le carte in regola per diventare un film o una serie tv. Ho studiato recitazione e riesco ad immedesimarmi e a percepire quanto questo potrebbe rientrare in un contesto del genere. Mi piacerebbe molto!