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Covid, allarme delle piccole imprese: “Il Recovery è solo un quarto della spesa pubblica”

Appello della Cgia di Mestre per un attento monitoraggio delle risorse

Lo scorso anno lo Stato italiano ha speso 890 miliardi di denaro pubblico. Una cifra che è pari a oltre quattro volte quella del Recovery plan italiano, ovvero 200 miliardi circa. Ecco allora che serve un monitoraggio più attento ed oculato della spesa pubblica annuale. In modo tale che, assieme ai soldi del Recovery Plan, le aspettative di crescita per il nostro Paese si concretizzino davvero.

La Cgia: “Attenzione all’uso dei fondi”

È quanto evidenzia l’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, come riporta Rai News. La Cgia di Mestre in una nota sottolinea: “Nessuno mette in discussione l’importanza e l’utilità delle risorse europee che saremo chiamati ad investire nei prossimi anni. Ci mancherebbe altro. Tuttavia, vorremmo che il dibattito che si è aperto in questi ultimi mesi nel Paese sulla necessità di spendere bene e presto queste risorse fosse applicato sempre. Visto che, solo nell’ultimo anno, le uscite pubbliche hanno sfiorato gli 890 miliardi di euro”.

Com’è speso il denaro dei contribuenti

Una spesa, quella pubblica, che, si sottolinea, “per il 90 per cento circa è di parte corrente. La si utilizza, in particolar modo, per liquidare gli stipendi dei dipendenti del pubblico impiego, per consentire i consumi della macchina pubblica e per pagare le prestazioni sociali”. Bene affidare “le nostre aspettative di crescita alla riuscita del Recovery Plan. Ma “è comunque altrettanto determinante che il Governo Draghi intensifichi l’attenzione anche su come vengono impiegati ogni anno questi 890 miliardi di euro e attivi, in misura più incisiva di quanto è stato fatto fino a ora, un sistema di monitoraggio più attento e oculato”.

“Il Pnrr? Poca redditività”

Secondo la Cgia dal Pnrr emergono “tanti investimenti, ma poca reddittività”. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza “è costituito da 235,6 miliardi di euro, di cui 191,5 riconducibili al Recovery Fund, 30,6 a un fondo complementare e gli altri 13,5 miliardi di euro al React-Eu. Di questi 235,6 miliardi, 52,6 verranno investiti per “progetti in essere”, ovvero già previsti. Mentre i restanti 183 andranno a finanziare “nuovi progetti”. Pertanto, nel 2026 la crescita del Pil, anno in cui si concluderà l’azione del Piano, dovrebbe essere più alta di 3,6 punti percentuali rispetto allo scenario che si verificherebbe senza l’effetto degli investimenti aggiuntivi. Una previsione, quest’ultima, che viene prefigurata nello scenario ottimale, ovvero che gli investimenti vengano spesi in maniera efficiente, che le condizioni monetarie siano favorevoli e che non vi siano ripercussioni negative sul premio del rischio sovrano. Condizioni che, ovviamente, nessuno può confermarci che si verificheranno”.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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