Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha a che fare anche con le tasse. Un argomento sempre spinoso ma che diviene indispensabile affrontare per un Recovery plan che ambisce a riordinare l’Italia sotto tutti i punti di vista. Dalle quasi 2500 pagine del Piano inviato a Bruxelles (oltre alle 269 pagine del testo ci sono tabelle e schede tecniche) emerge in pieno un punto centrale. Il governo vuole ridurre l’evasione fiscale in modo netto: di almeno 12 miliardi sui quasi 90 di tasse dovute e non pagate.

Abbattere la “propensione a evadere”

L’obiettivo di riduzione dell’evasione il Recovery plan italiano lo fissa al 2026, la stessa data entro cui si devono realizzare i progetti finanziati coi soldi europei. È così che il governo Draghi si impegna con la Commissione europea a far calare del 15%, entro la fine del 2026, la cosiddetta “propensione a evadere“. Cioè la differenza tra il gettito che l’erario incasserebbe in un mondo di contribuenti onesti e quello effettivo. L’ultima Relazione sull’economia sull’evasione fiscale e contributiva, riporta online il Fatto Quotidiano, stima che nel 2018, ultimo anno disponibile, il gap tra imposte attese e incassi fosse del 29%, pari a 87 miliardi.

Una sfida difficile

L’obiettivo appare ambizioso, anche se meno di quanto auspicato dal numero uno delle Entrate Ernesto Maria Ruffini. Secondo lui con l’innovazione tecnologica è possibile “dimezzare l’evasione fiscale nel giro di una legislatura”. Peraltro, stando al cronoprogramma descritto nel Pnrr, in un solo anno – tra fine 2025 e fine 2026 – l’Italia dovrebbe riuscire a mettere a segno un calo della propensione a evadere di ben 10 punti percentuali. Si tratta di una sfida difficile. Del resto lo è tutto ciò che ruota attorno al Recovery. I progetti sono ambiziosi, si dirà. È anche vero che senza ambizione non si va da nessuna parte.

Lavoro, 6 miliardi per ripartire

Nel Recovery Plan dell’Italia consegnato alla Commissione europea sono previsti inoltre 6 miliardi di euro per riformare le politiche attive del lavoro. È stato lo stesso premier Mario Draghi a sottolinearlo nel summit europeo di Porto, la scorsa settimana. L’obiettivo non è tanto salvare posti di lavoro che forse non torneranno più indietro, quanto sostenere l’occupabilità dei lavoratori in transizione e dei disoccupati, spiega Linkiesta. Con la previsione, secondo il Documento di economia e finanza, di creare 750mila nuovi occupati.