Andrea Bergamasco: «La Terra è la nostra astronave: il Covid ci insegna a non forzare la Natura» [INTERVISTA ESCUSIVA]
Bilancio di un anno di pandemia con lo scienziato del Cnr di Venezia
Oceanografo Fisico, Andrea Bergamasco è fra gli scienziati più importanti del nuovo Istituto di Scienze Polari di Venezia, joint venture fra il Cnr e l’Università Ca’ Foscari. Bergamasco continua però a lavorare anche all’Istituto di Scienze Marine (Ismar) del Cnr veneziano. Da quasi trent’anni partecipa a campagne oceanografiche nel Mediterraneo e nell’Oceano Meridionale. E studia i fenomeni in corso al Polo Nord e in particolare in Antartide. Nel colloquio con VelvetMag il professor Bergamasco affronta il tema, ancora bruciante come una ferita aperta, del rapporto fra l’uomo e la natura nell’era delle pandemie e del Covid in particolare.
Intervista ad Andrea Bergamasco
Dovremo abituarci alle pandemie e al modo in cui sconvolgono la nostra società?
Prima del Coronavirus era già capitato nel passato che le società umane fossero investite da epidemie e pandemie. Capiterà ancora. Non è certo da ora che il verificarsi di una pandemia, come poi è davvero accaduto col Covid, sia considerata una delle possibilità più concrete per mettere in ginocchio la nostra società globalizzata. I segnali c’erano stati. Basta pensare all’epidemia di Sars del 2002-2004. E ce ne sono state altre. Ma non si è voluto o saputo agire per tempo.
Quali sono stati gli effetti del Coronavirus sulla Natura?
Pensiamo alle conseguenze della pandemia, con l’applicazione delle misure restrittive, quali il lockdown dello scorso anno. C’è stata una sorta di ‘depurazione’ della Natura dalle attività umane. Nella mia Venezia ho potuto constatare con i miei occhi il crollo quasi completo dei flussi turistici da tutto il mondo, il che significa il ritorno della città a un popolamento fatto solo dei pochi residenti. L’azzeramento del moto ondoso in laguna. L’apparire delle razze nei canali e, soprattutto, dei delfini a Punta della Dogana: una cosa davvero sorprendente.
I problemi dei cambiamenti climatici si sono ridimensionati?
No, ed è questo il punto. Io vedo un grande rischio: che tutti si voglia ritornare al mondo di ‘prima’. Anzi ‘più di prima’. Soprattutto i giovani, da un lato comprensibilmente, desiderano recuperare il tempo apparentemente perduto delle chiusure in casa, del lockdown. Ma intanto un problema planetario molto grave come l’aumento delle temperatura della Terra non è risolto: è sempre lì. Lo stesso discorso vale per l’aumento della temperatura degli oceani e dei mari, o per lo scioglimento dei ghiacci e per gli eventi climatici estremi sempre più frequenti.
Qual è la sua ricetta per un salto di qualità di fronte alla questione climatica?
Dobbiamo cambiare mentalità, compiere un ‘salto’ mentale. Tornare a godere delle piccole cose, come per molti di noi è avvenuto in questi lunghi mesi della pandemia. Accontentarsi, magari, di una bella gita fuori porta, di tutto ciò che ci fa stare bene con la Natura. Abbiamo vissuto questi ultimi decenni sempre di corsa in una società economicamente in crescita e sviluppo continuo. Adesso dobbiamo cambiare. Stiamo esaurendo le risorse della Terra. Non dobbiamo imporre ma educare ed educarci a nuovi stili di vita. Soprattutto le giovani generazioni che prenderanno il testimone.
Cosa ci insegna la Natura attraversata dalla pandemia di Covid?
Ci insegna che se noi forziamo il limite, la bearing capacity (capacità portante, ndr.), del sistema Terra poi ne paghiamo le conseguenze. Il nostro pianeta è un sistema chiuso. La Terra è come un’astronave: è grande ma delimitata. Tutto ciò che facciamo in un angolo del mondo, in termini di danni agli ecosistemi, si ripercuoterà, prima o poi, anche altrove. Ci vuole il riciclo delle risorse e il riciclo ha bisogno di tempo. Se consumiamo le risorse più rapidamente del tempo necessario alla Natura a ricostituirle commettiamo qualcosa di irreparabile.
Molti pensano che la scienza e la tecnologia risolveranno tutto comunque…
È arrogante pensare di poter fare sempre tutto ciò che vogliamo senza conseguenze. Abbiamo divinizzato la tecnologia e pensiamo che alla fine troveremo sempre una soluzione ma non è così. Bisogna invece guardare avanti e fare scienza nel senso migliore del termine, ossia rischiando pur di prevenire i problemi e trovare soluzioni. Non solo, cioè, investendo nella ricerca per diventare più efficienti con gli strumenti che già abbiamo, ma scoprendone e inventandone di nuovi.