“Sono molto impaziente, curioso ed emozionato. “Il cattivo poeta” è il primo film che affronto come coprotagonista e non vedo l’ora di sapere come andrà, se la storia piacerà e se la mia interpretazione convincerà pubblico e critica”.
Francesco Patanè sorprende chi scrive per i toni pacati, la lucidità nelle risposte, la consapevolezza che ogni incontro è importante e l’umiltà di chi sa bene che il lavoro dell’attore è duro e non va dato per scontato.
Si direbbe sia un interprete esperto e navigato, la sorpresa è che il film diretto da Gianluca Jodice rappresenta per lui una prima volta sul grande schermo. Un debutto al cinema mica da ridere il suo, se è vero che affianca niente meno che Sergio Castellitto (“un mito” ci dice) nella pellicola che racconta gli ultimi anni di vita di Gabriele D’annunzio.
Ne “Il cattivo poeta” (al cinema dal 20 maggio) Patanè interpreta Giovanni Cosimi, il più giovane federale nell’Italia del 1936, cui viene assegnato un primo incarico davvero delicato: sorvegliare Gabriele D’Annunzio. Il Duce, infatti, teme che il Vate possa ostacolare la sua alleanza con Hitler. L’ammirazione che Comini prova per il poeta rischia di mettere in pericolo la sua carriera appena iniziata. Un personaggio delicato e non facile quello assegnato a Francesco Patanè, affrontato con coraggio e determinazione dall’attore di origine siciliana ma nato e cresciuto a Genova.
Intervista a Francesco Patanè
Francesco, hai iniziato a studiare recitazione da piccolo, hai fatto tanta gavetta a teatro e seguito un sacco di seminari. Inoltre hai già lavorato su pièce importanti, ti sei cimentato con la televisione (“Aldo Moro. Il professore”, “Un passo dal cielo 6”) e hai girato videoclip. Avevi lavorato anche nel piccolo film “Cripta” del 2013, ma come è stata la tua prima volta vera davanti alla macchina da presa?
E’ vero, avevo già lavorato in piccoli film e in televisione, tutte esperienze (soprattutto quelle degli inizi) in cui ero capitato per caso, quando ancora non sapevo di voler fare questo mestiere. Sono state tutte prove che hanno fatto sedimentare dentro di me non dico dimestichezza col mezzo cinematografico (quella si acquisisce soltanto col tempo), ma sicuramente una certa rilassatezza perché avevo già avuto modo di verificare che tipo di strumento fossero la telecamera o la macchina da presa. Venendo dal teatro è stato per me qualcosa di diverso, una vera scoperta.
Quando è scattata la scintilla per te? Quando hai capito che volevi fare l’attore?
Ero a Genova, avevo 15 anni circa, e stavo facendo uno spettacolo con “La quinta praticabile”, la scuola di teatro per ragazzi e bambini presso cui studiavo. Vennero a fare un seminario, seguito da uno spettacolo, Massimo Venturiello e Tosca. Ricordo che, dopo aver recitato con loro, entrambi mi dissero che avrei dovuto fare l’attore come mestiere. “Devi continuare a recitare” mi consigliarono.
Non avevo mai pensato che la recitazione potesse essere qualcosa più di un gioco, non avrei mai immaginato potesse trasformarsi in un lavoro, in una carriera. Pensai che se quelle stesse persone che stimavo, di cui ritagliavo le foto dai giornali per attaccarle nel diario, mi dicevano che potevo farlo, forse avevano ragione. Cominciai a crederci, e da lì a investire tempo, studio e speranza in quella mia passione.
Se ripensi oggi all’avventura de “Il cattivo poeta”, da quando ti hanno proposto il ruolo fino alla fine delle riprese, qual è la prima fotografia che ti viene in mente?
C’è un’immagine ben precisa che formulai nella mia mente già durante la lettura della sceneggiatura, e quando girai quella scena fu una emozione ancor più grande. E’ una sequenza che vede coinvolti me e Sergio Castellitto sulla nave Puglia, una imbarcazione incastonata nella collina nel Vittoriale. Ho sempre avuto una passione particolare per i pirati, sin da quando ero bambino, quindi quando lessi quella scena pensai: “Sto per girare una scena su una nave che è veramente da sogno, è incastonata in una collina, una nave da favola in una situazione fiabesca!”.
Sia mentre la leggevo che quando girammo quella scena, ricordo che pensai che tutto quello che c’era stato nella mia vita fino a quel momento, doveva portarmi a quel preciso istante. “Questo è il mio posto” pensai. Fu come tirare un sospiro di sollievo dopo 22 anni di attesa di un momento che non sapevo nemmeno di attendere così tanto!
Ci racconti il tuo primo incontro con Sergio Castellitto, un mito per tanti attori…
E’ avvenuto al trucco, prima ancora che iniziassimo le riprese. Provavo una certa soggezione perché da attore sconosciuto e alla sua prima esperienza quale sono, l’idea di affiancare un mito come Castellitto può mettere un po’ di paura. La cosa bella che ricordo è che da subito iniziammo a parlare del progetto, sentii che entrambi eravamo lì per un motivo.
Aldilà della sua enorme esperienza e della mia inesperienza, del suo essere mito e del mio essere nessuno, eravamo accomunati dall’essere lì per raccontare una storia insieme. Già al trucco, mentre si facevano le prove per capire quale fosse il volto giusto per il mio personaggio e come far apparire Gabriele D’Annunzio, ci siamo conosciuti e riconosciuti in un’altra veste, quella dei nostri ruoli. È stato un incontro magico.
Oltre che accanto a Sergio Castellitto, hai avuto la possibilità di recitare accanto ad attori del calibro di Tommaso Ragno, Fausto Russo Alesi, Lino Musella. Cosa hai assorbito da loro? Qual è il consiglio che ti ha aiutato di più?
Vengo dal teatro, quindi conoscevo bene il lavoro di Fausto Russo Alesi, Lino Musella, Tommaso Ragno (una leggenda per me), e averli tutti sullo stesso set è stato per me un grande privilegio. Quello che mi sono portato a casa da ogni incontro è la consapevolezza che il teatro abbia fatto tanto per loro.
Tutti si settavano nello strumento cinema e raccontavano con sincerità la scena che stavano facendo in quel momento. Io però sentivo il bagaglio culturale dietro, sentivo un ventaglio di possibili esseri umani che avevo di fronte e come ne sceglievano uno. Credo che questi attori siano dei fenomeni teatrali. Mi porto a casa il ventaglio di possibilità che avevano e con cui giocavano con me.
Interpreti il giovane federale Giovanni Comini. Come ti sei preparato per questo ruolo?
Ho cercato informazioni su Giovanni Comini su internet ma ne ho trovate poche e fanno tutte riferimento a ciò che poi viene raccontato nella sceneggiatura. Mi sono divertito a giocare un po’ di fantasia ma soprattutto ho visto un sacco di documentari sul fascismo in Italia. Ho studiato quello che poteva aver visto un giovane nato nel 1910 a Brescia, nato e cresciuto in quel periodo e in quel luogo.
Mi sono messo negli occhi e in testa le immagini e i pensieri che potevano passargli per la mente. Ho anche ascoltato tanta musica di quel periodo, per avere anche nelle orecchie il clima culturale di quegli anni.
Ti ricordi il tuo provino? Cosa ti chiese il regista?
Con Gianluca Jodice ho fatto tanti provini per questa parte. L’ultimo è stato particolarmente lungo, è durato circa un’ora e mezza. Avevamo 4-5 scene che poi sono le scene clou per il mio personaggio. Credo di aver avuto chiara in testa l’idea che il regista aveva di Giovanni Cimini, quindi ricordo, mentre recitavo, di aver provato la gioia di sentire il personaggio muoversi dentro di me. Credo di aver trovato la musica che potevo ballare insieme al regista e al personaggio. E’ stata una gioia, poi è venuto tutto più facile.
Cosa non ti aspettavi dall’esperienza di girare un film? Cosa ti ha stupito?
Non mi aspettavo di riuscire a settarmi così tanto sull’obiettivo di portare a casa un film intero. Il mio personaggio ha tante scene, e ha un’evoluzione nel corso del film, per lui il film è un racconto di formazione. L’avevo studiato molto, però avevo il timore di non essere lucido tutto il tempo. Invece mi sono sorpreso del fatto che era talmente forte il desiderio di portare a casa bene quel personaggio, che non mi sono perso.
Finite le riprese ho dormito per tre giorni tanta era la stanchezza, però sono riuscito a resistere: è qualcosa che un attore deve saper fare, ma io non ero sicuro di esserne in grado. Di questo sono molto grato al regista e ai produttori, per essersi fidati di me che non avevo mai fatto niente di così importante prima. Li ringrazio per avermi affidato questo ruolo così determinante all’interno del film, hanno visto più lungo di quanto avrei visto io.
Che effetto ti ha fatto vedere il film finito per la prima volta?
Ricordo di aver avuto il batticuore per 45 minuti di film, e poi di essermi messo a piangere! E’ stata una grande emozione!
Sei uno che si riguarda, che va a rivedere i proprio lavori, sia cinematografici che televisivi?
Sono super critico con me stesso, proprio per questo mi riguardo. Mi fido di qualsiasi consiglio, sono uno molto aperto in tal senso, ma mi fido anche del mio giudizio. So quando vedo una cosa che mi piace, perché ho ammirato tanti bravi attori e so riconoscere quello che fanno. Capisco subito se quello che ho fatto mi piace o fa schifo. La prima volta che ho visto il film, nella prima parte, un po’ avevo il batticuore, un po’ tanta emozione, un po’ la speranza di non aver sbagliato!
A breve ti vedremo anche di nuovo a teatro come protagonista di “Gradiva, una fantasia pompeiana”, un testo che riguarda Freud in qualche modo…ci vuoi anticipare qualcosa?
E’ uno spettacolo particolare, un testo scritto da Wilhelm Jensen con un linguaggio poco attuale. Il gioco sarà cercare di restituire qualcosa di contemporaneo nella recitazione, anche se le parole non sono affatto attuali. È una produzione con cui speriamo di poter fare un mini tour in tutta Italia, di sicuro per il momento saremo in varie parti della Liguria. Decisamente una bella sfida, il mio personaggio è completamente ossessionato dalle sue fantasie. E’ un testo sul tema della rimozione, parla di un giovane ragazzo che si innamora di un bassorilievo di una donna che cammina (la “Gradiva” come la ribattezza lui). Se ne innamora a tal punto da credere che la donna che ha di fronte a lui non sia altro che il fantasma di quel bassorilievo rappresentante quella ragazza morta a Pompei nel 79 dc. E’ un vero e proprio delirio, una bella sfida.
Quali sono i tuoi riferimenti attoriali?
Oltre ai nomi già citati, posso dirti che adoro Gary Oldman, Daniel Day Lewis, Christian Bale e Woody Harrelson.
C’è qualcuno con cui ti piacerebbe lavorare? Hai qualche desiderio in tal senso?
In realtà nello specifico no. Ogni scambio mi ha sempre dato tanto, anche in teatro. Quello che spero tantissimo è di fare presto un altro film. Non vedo l’ora!