Seconda vita per i piccoli elettrodomestici: il must è “rigenerare”

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Che bello il frigo di papà, originale anni ’60. Oppure il frullatore. O ancora il tritatutto. Oggetti che alla struttura “robusta” abbinavano un design che, nonostante tutto, non passa mai di moda. Però sono rotti. Che fare? C’è chi li butta. C’è anche qualcuno che, affezionato a quelle fonti di ricordi familiari, li ha tenuti da parte perché chissà, forse un giorno….

Oggi gettare i piccoli elettrodomestici senza  provare a ripararli non è “green” e nemmeno “furbo”. Complice forse anche la crisi globale, sono sempre di più le aziende che si propongono per “rigenerare” tostapane, macchine da caffè, persino i cellulari di prima generazione. Laboratori che diventano punti di riferimento per chi del “vintage tecnologico” è diventato grande fan. Esempio: perché buttare via e ricomprare quel costosissimo aspirapolvere senza tentare di scoprire se il guasto è dovuto a una “sciocchezza”? O quella piastra per i toast di cui è necessario solo cambiare il termostato? Perché “valga la pena” riparare, e non sostituire, i piccoli elettrodomestici, sono necessarie alcune condizioni: che il pezzo di ricambio non costi una fortuna, che si trovi facilmente, e che ci sia un tecnico pratico che sappia metterci le mani.

Prima di smaltire i piccoli elettrodomestici bisogna chiedersi: posso aggiustarli?

 

“Si chiama “fattore di riparabilità”, spiega Rocco Maglio, titolare della “Maglio Ripara e Rigenera” di Roma. “Analizzando quanto costa il pezzo di ricambio, quanto la manodopera, quanto ci si tiene a quell’oggetto, si capisce se vale la pena restituirgli una seconda vita oppure smaltirlo. Certo, quando si ripara qualcosa si evitano sprechi e si rischia anche di risparmiare parecchio. Se, per esempio, una macchina da caffè professionale abbastanza costosa, magari anche di parecchi anni fa ma di ottima qualità, si rompe, spesso è più economico ripararla piuttosto che spendere di nuovo la cifra iniziale. Se, al contrario, l’elettrodomestico è piccolo, di grande diffusione, e il suo prezzo di partenza è già basso, in caso di malfunzionamento conviene smaltirlo”.

Altro fattore fondamentale è la professionalità del personale tecnico. “Prima era difficile trovare tecnici che sapessero mettere le mani sui vari marchi di elettrodomestici. Non è un lavoro che affascinava le giovani generazioni. Oggi invece c’è stata una riscoperta di questo tipo di professionalità e il fatto di rigenerare le macchine invece di distruggerle crea posti di lavoro ed evita l’accumulo di scarti. I grandi marchi stessi organizzano dei corsi appositi per formare il personale tecnico autorizzato. Personale che poi prova soddisfazione quando riesce nell’impresa. Aggiustare qualcosa diventa una sfida con sé stessi”.

Il valore sentimentale dell’oggetto, comunque, rimane il primo fattore da indagare prima di mettere “mettere le mani” su qualsiasi apparecchio. “Ci sono persone che hanno passato la propria infanzia vedendo i genitori adoperare una serie di elettrodomestici. Come il frullatore. Oggi avrebbero piacere che quell’apparecchio, che non funziona più, tornasse a fare frullati nella propria cucina e per i propri figli. In quel caso, non c’è cifra che tenga. Certo, sempre parlando di somme che non superino l’intero valore dell’oggetto”.

In questa corsa “all’usa e getta”, riappropriarsi di apparecchi che hanno fatto parte della vita degli italiani per decenni è un riscoprire le proprie origini anche negli oggetti di uso quotidiano. E’ una cosa che “sa di buono” e fa bene, al cuore e all’ambiente.

 

Stefania Fiorucci

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