Se Aurora Leone si fosse presentata a una gara di ballo, forse non sarebbe accaduto. Si sa: le femmine sono ballerine, i maschi calciatori. È così da che ne abbiamo memoria. E la retorica del “sono stati fatti enormi passi in avanti” la lasciamo all’universo nebuloso delle parole, che servono a nient’altro che a riempirsi la bocca. I fatti: quelli mancano. I tempi sono cambiati, certo; ma la massaia cucina ancora il pranzo della domenica, e stende il bucato al mattino prima di uscire per andare al mercato.
Il caso Leone ha fatto il giro del web in pochi minuti e l’indignazione è stata immediata. Ma come, un’attrice viene convocata per giocare una partita di beneficenza e poi le si chiede di indossare la casacca per sedere in tribuna? Qualcuno ha obiettato che negli anni, però, alcune donne dello spettacolo hanno preso parte alla Partita del Cuore, ed è vero. Ma non lo hanno fatto in molte: si contano sulle dita di una mano. Esattamente come si legge nel comunicato stampa diramato dagli stessi organizzatori dell’evento: “Alessandra Amoroso, Madame, Jessica Notaro, Gianna Nannini, Loredana Bertè, Rita Levi di Montalcini…”. Il punto è esattamente questo: non dovremmo arrivare a contare i nomi di quante abbiano preso parte all’evento. E se una forma di sessismo si sia verificata anche contro una sola, va comunque condannata.
Si fa riferimento a una competizione, dallo scopo solidale, che va avanti da circa trent’anni. Eppure, le donne calciatrici sono sempre state sporadiche. Non è un caso che la maggior parte degli utenti abbia preso come riferimento Cristiana Capotondi: non ce ne sono molti altri. Altri ancora hanno obiettato che la terna arbitrale sarà composta interamente da donne, è vero anche questo. Ma non deve più fare notizia. Facciamo che diventi la normalità.
È probabile che l’esclusione di Aurora dalla cena alla viglia della gara fosse limitata a un rituale maschile, a una tradizione; forse, per qualche minuto, Aurora avrebbe anche giocato. Un cane che si morde la coda. Perché, se così fosse: c’è ancora bisogno di un rituale? Qual è il motivo per cui non si riesce a scardinare un atteggiamento così machista nei confronti di uno sport?
Il calcio e le donne: ci spetta la casacca o sediamo ancora in tribuna?
Sfatiamo un mito: il fuorigioco e le donne. Se nel 2021 abbiamo ancora bisogno di sfatare o di dimostrare che una banale regola pertinente al calcio giocato venga compresa anche dal cervello in rosa delle donne, non siamo poi così avanti. Rita Pavone cantava, ne La Partita di Pallone: “Perché, perché/La domenica mi lasci sempre sola/Per andare a vedere la partita/Di pallone/Perché, perché/Una volta non ci porti anche me?!”. Andiamo con una brevissima analisi del testo. Anzi, prima contestualizziamo il brano: era il 1963 e una giovanissima Rita Pavone andava ad affermarsi nel mondo della musica. Primi anni ’60, il mondo era ancora in bianco e nero. Almeno quello della televisione italiana. Passando al ritornello: la cantante si rivolge al suo uomo e gli chiede, quasi come se non ne avesse il diritto, di essere portata alla partita di pallone a cui lui suole andare ogni domenica, lasciandola sola a casa. Ascoltandola adesso, ci sembra anacronistica. Ma poi riascoltandola con attenzione le parole non ci sembrano più così estranee. Anzi. Adesso sono meno esplicite, adesso ci appelliamo, come se fosse una conquista, al diritto di replica. Ma il calcio in quanto tale è ancora lo sport della domenica, ed è ancora lo sport degli uomini.
Certo, sono cambiate così tante cose dal quel 1963. Ma una è rimasta intatta: la sensazione di dover chiedere il permesso. Se una donna parla di calcio è in soggezione. Se di fronte a sé trova tre interlocutori, uno l’ascolterà e renderà giustizia al suo pensiero, un altro penserà agli affari propri; il terzo la interromperà dicendo: “Ma che ne volete sapere voi donne?”. Al netto dei fatti, si parla ancora pochissimo di calcio femminile e si dà pochissimo spazio al tifo femminile. In entrambi i casi le carenze sono enormi. Si aggiunge infine che le donne conducono programmi sportivi, ma difficilmente entrano nel merito di una gara.
Tutto questo per dire che se Aurora avesse cenato con i suoi colleghi e fosse scesa in campo per divertirsi e offrire il proprio supporto per una giusta causa, non avremmo avuto bisogno di essere ridondanti e di ribadire quanto lavoro ci sia ancora da fare.