L’amore è tutto quello che sta prima e quello e che sta dopo. Magari bisognerebbe tenere più in considerazione il durante.

Ha detto una volta Massimo Troisi. Quasi come se sapesse che il suo durante si sarebbe interrotto bruscamente, diventando un dopo troppo presto. Certo, si riferiva all’amore; chi però pensa che il talento sia ancora una rosa rara da coltivare con dedizione e pazienza, non può che riconoscere in Troisi e nel suo passaggio una forma, la più pura, di amore. Il prima di Massimo c’è stato e lo ricordiamo, ma quello che custodiamo gelosamente è il suo durante. Nel dopo non avremmo voluto esserci, ma è così da 27 anni, dal 4 giugno 1994.

27 anni senza Massimo Troisi

Chi ha vissuto il durante di Massimo Troisi, il suo momento d’oro ancora si domanda: ma quando è successo? Quand’è che se ne è andato? Perché succede questo quando racconti una storia inedita, misteriosa, ironica e solo tua: tutti si chiedono perché, a un certo punto, smetti. Non lo fai più. Sono tutti lì, a invidiarti, a pendere dalle tue labbra, ad ammirare il genio. Massimo Troisi non voleva smettere, avrebbe raccontato, se avesse potuto, in eterno. E ci ha provato; quando ha scoperto di stare male ha voluto comunque portare a termine Il Postino, pur sapendo di essere vicino alla parola fine. E benché Troisi fosse amato e apprezzato in tutta Italia, sarebbe ipocrita non ammettere che a Napoli, il giorno in cui è arrivata la notizia della sua morte, non sia accaduto qualcosa di mistico. Le luci del cuore si sono spente, gli occhi sono stati accecati dalle lacrime. Solo Luca Delgrado ha scritto la verità di quel momento: “Un vero napoletano ti saprà dire che cosa stava facendo e dove si trovava quello sciagurato pomeriggio del 4 giugno del 1994, il giorno in cui si apprese della morte di Massimo Troisi”. Quando si arriva all’ultima pagina di un libro amato e il finale non è come lo avresti immaginato, l’intera storia assume un valore diverso, nuovo; quando Troisi se ne è andato sul più bello, senza avvisare, ha cambiato la sua storia e quella di chi c’era ed è rimasto.

Massimo Troisi è morto a soli 41 anni. Una vita breve, forse. Oppure quella necessaria per arrivare alla maturità, per arrivare a dire cose che abbiano un senso. Perché Troisi ne ha dette tante; spesso con l’innata capacità di suscitare ironia e lunghe riflessioni in sincronia, altre volte con il solo intento di raccontare le sue verità, rigorosamente in napoletano. Attore, regista, sceneggiatore, e autore. Ha recitato al fianco dei più grandi: Benigni, Scola e Mastroianni. Ha diretto e scritto quelle che sono diventate alcune tra le pellicole indimenticabili del cinema italiano. È l’antieroe: l’uomo napoletano lontano dagli stereotipi, con la voglia di dimostrare che il viaggio non rappresenta solo un’opportunità di lavoro, ma la migrazione verso il nuovo, la conoscenza, la bellezza, la cultura e la creatività.

In una stanza d’albergo, con il mare ha fargli da musa, ha scritto Quando con Pino Daniele. Ha tifato per il Napoli, sempre, anche quando: “perdeva con il Cesena”. Si è battuto – in maniera sottile, quasi come se fosse la normalità – perché le donne, almeno nei suoi film, fossero forti, indipendenti, acculturate e avessero potere, più degli uomini. Un esempio lampante è quello di Marta in Ricomincio da Tre: una donna aperta, che vive una relazione con Gaetano (interpretato dallo stesso Troisi), ma nel frattempo frequenta un altro e no, non viene giudicata per questo, né etichettata. Anzi, Gaetano, alla fine, decide di crescere con lei un figlio, anche se non è sicuro di esserne il padre. Un discorso avveniristico rispetto ai tempo, ma decisamente attuale 27 anni dopo.

Il durante di Massimo Troisi è ancora nel nostro. Perché tutto quello che c’è stato prima e quello che è venuto dopo non conta più. Aveva ragione e forse lo abbiamo imparato. Ci stiamo provando.