Scoperta eccezionale nei ghiacci dell’Artico. Gli scienziati hanno individuato microrganismi ibernati da 24mila anni. Appartengono ai Rotiferi, un gruppo tassonomico di animali microscopici di lunghezza compresa tra 0,1 e 0,5 millimetri. Sono comuni nelle acque dolci di tutto il mondo. La scoperta è frutto dello studio internazionale pubblicato sulla rivista Current Biology, e coordinato da Stas Malavin, dell’Istituto russo di ricerca fisiochimica e biologica nella scienza del suolo. Individuati nei terreni ghiacciati del permafrost siberiano, grazie a perforazioni in regioni remote, i microrganismi sono caratterizzati da un’enorme resistenza.
Sono, cioè, capaci di sopravvivere a temperature estreme, con livelli bassi di ossigeno e scarsi nutrienti. La loro età è stata ricostruita grazie a tecniche di datazione basate sui tempi di decadimento del carbonio radioattivo. Si tratta della prova, osserva Malavin, “che questi animali pluricellulari possono resistere anche decine di migliaia di anni in criptobiosi. Ossia una condizione nella quale il metabolismo è quasi assente“.
Si tratta di uno stato in cui entrano alcuni organismi semplici in risposta a condizioni ambientali avverse. Come ad esempio il freddo estremo e la mancanza di ossigeno. Probabilmente, concludono i ricercatori, in casi come questi entra in gioco un sistema che protegge le cellule, impedendo la formazione di cristalli di ghiaccio.
“Questo studio ha dimostrato che la vita non solo può essere conservata in ghiaccio, ma può riprendere dal ghiaccio dopo 24mila anni – spiega a Repubblica il professor Mario Ventura, responsabile del modulo ‘Citogenetica molecolare e laboratori’ del Dipartimento di Biologia del Campus Universitario di Bari -. Disporre di un organismo del passato e confrontarlo con uno del presente della stessa specie può permettere lo studio delle differenze e similarità genomiche e molecolari che si sono diversificate nel tempo. È come studiare la storia di Alessandro Magno parlando con Alessandro Magno. Dal punto di vista evolutivo poter recuperare e studiare il genoma di specie cosi evolutivamente distanti e apparentemente “scomparse” permette di scoprire e studiare meccanismi biologici conservati nel tempo e fondamentali per la vita, compresa quella dell’uomo”.
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