Gherrero: un cognome d’arte che non si discosta dall’animo dell’attrice. Anzi, riveste perfettamente il profilo da combattente che Noemi possiede e porta in scena ogni volta cha è a servizio dell’arte. Che sia su un palcoscenico di un teatro, che sia dinanzi alla macchina da presa o in uno studio televisivo, Noemi Gherrero offre originalità e sperimentazione. Laureata in Relazioni Internazionali e Diplomatiche all’Università L’Orientale di Napoli, si appassiona al simbolismo, alla psicologia e all’antropologia culturale, portando avanti contestualmente iniziative artistiche che avessero un riflesso sulla socialità.

L’approdo alla conduzione è arrivato in maniera inaspettata. Ha preso in mano le redini di un nuovo programma televisivo trasmesso su Raitre: Le Parole per dirlo, andato in onda dal 18 ottobre 2020 al 6 giugno 2021, ogni domenica mattina. Un appassionante viaggio nella lingua italiana che ha avuto il merito di raccontare il nostro modo di parlare nei suoi aspetti più vitali. Il programma è stato seguito da un vasto pubblico e il buon riscontro ha dato la possibilità all’attrice di farsi spazio nel mondo della conduzione. Il suo essere così eclettica, spinge Gherrero a cimentarsi in nuove sfide. Si avvicina al mondo dello spettacolo nel 2009 attraverso il musical. Partecipa a tantissimi spettacoli teatrali. Si esibisce al Teatro Bellini nel dramma Arteriosclerosi, di Dalia Frediani; nel 2019 è Vera Stella nel classico Ecco… Francesca da Rimini diretta da Giacomo Rizzo.

Porta avanti numerose performance live centrate sulla contaminazione dei generi e delle arti in location prestigiose quali la Galleria Borbonica di Napoli e il PAN. I bastardi di Pizzofalcone, Non dirlo al mio capo, Mare Fuori, sono soltanto alcuni dei titoli che arricchiscono la sua esperienza di attrice televisiva, che l’ha portata nelle case degli italiani conquistando la loro attenzione. Dietro una donna poliedrica, esattamente come è Noemi Gherrero, c’è un profilo più intimo, ricco di sfumature e contrastato da altrettante ombre del passato. Sono entrata in punta di piedi nei suoi mondi, perché sì, con Neomi Gherrero non si abita in un solo posto, e mi sono lasciata condurre – anche se solo per poco – tra i vicoli del suo passato e del suo presente, dedicando un fugace sguardo verso il futuro.

Noemi Gherrero, intervista esclusiva

 

Le Parole per dirlo è stato un grande successo. Hai lavorato con i linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota e avete affrontato un viaggio inedito nella lingua italiana. Tutto questo si è svolto e ha appassionato il pubblico ogni domenica mattina. Quali sono stati gli ingredienti giusti per ottenere un successo così importante?

Questa nuova avventura è stata per me come un fulmine a ciel sereno, ma in senso buono. Sai, essendo un’attrice ho sempre lavorato più sull’aspetto della recitazione, per cui non mi aspettavo che questo programma potesse darmi tutta questa soddisfazione e farmi scoprire quegli aspetti che magari conoscevo poco. Il segreto, credo, sia stato proprio non crearsi troppe aspettative e avere la possibilità di approcciare con genuinità e naturalezza un qualcosa di nuovo. Non omologarsi a nessuno, e portare in campo il proprio mondo esperienziale.

Possiamo aspettarci una nuova edizione nella prossima stagione invernale?

Speriamo di sì! I risultati sono stati positivi, quindi abbiamo tutti la sensazione che si riprenderà. Poi, sai, finché non escono i palinsesti di luglio, si sta sempre un po’ col fiato sospeso.

Il pubblico de Le Parole per dirlo vedrà aggiungersi qualcosa di nuovo?

In realtà mi piacerebbe portare i ragazzi in studio, sono un aspetto fondamentale e rendono tutto un po’ più naturale. Ma anche capire se è possibile creare uno spazio di approfondimento, legato per esempio a dei temi specifici e resi fruibili al pubblico con qualche rubrichetta. O anche la presenza di un inviato che va sul posto a realizzare qualche servizio. Potrebbero essere fatte tante cose: i temi sono molti e gli autori sono molto bravi.

D’altronde, questo è un programma leggero di 50 minuti che ha bisogno di momenti estemporanei anche perché non parliamo di un programma classico, ma più puro. L’approccio alla lingua viene compiuto cercando di mantenere un taglio, se vogliamo dire, anche da talk.

Rimanendo in tema parole, spesso veicolate e rese pubbliche senza considerarne il loro peso, il silenzio è “una parola per dirlo”? E se sì, quanto è necessario che tutti riescano a considerarlo e perché?

Ma assolutamente sì! La parola è importante, ma lo è anche il silenzio. Ci sono delle cose che è giusto che mantengono il loro mistero e che restino tali. Ma può essere anche una risposta, discreta o d’imbarazzo. Dire necessariamente una cosa perché la si deve dire, e magari importarla, anche quello ha un valido e altrettanto peso. È un fattore che in trasmissione è stato sottolineato più volte perché è vero che ci occupiamo di parole, ma poco distante da quest’ultime c’è un pensiero, ancor più a ridosso un’emozione, un’idea. Quindi, se vien a mancare quella…

Il silenzio potrebbe rappresentare anche un profondo abisso, fatto di ombre e solitudine dal quale spesso è difficile da quel luogo sconfinato tornare a galla. Purtroppo in un periodo della tua adolescenza hai conosciuto quell’abisso, e nel tuo caso si chiamava anoressia.

Apriamo una parentesi sicuramente delicata e devo dire altrettanto formativa, perché credo di aver bruciato tante tappe nella giovinezza, perdendo tantissime cose che magari gli adolescenti fanno. E come se mi fossi bloccata nel tempo, e contestualmente avessi viaggiato in quel tempo. Infatti non lo nascondo, ma c’è un parallelismo un po’ strano in questo. Tu parlavi giustamente di vuoto, e devo ammettere che sicuramente sì, esiste. Alla fine noi siamo dei contenitori, ci riempiamo di tutto quello che l’universo ci regala, di tutto quello che sono le nostre esperienze, i nostri incontri e anche la nostra fame, le nostre ambizioni. Quando tutto questo però, non si risolve dentro di noi, spesso si creano dei piccoli cortocircuiti che ti portano a star male.

Devo dire che ne sono uscita dopo quattro, cinque anni circa, anche se, come dico sempre: “Quella struttura di pensiero che c’è dietro, difficilmente te la togli completamente”. Con questo voglio mettere in rilievo quelle piccole cicatrici che restano lì; tu le vedi, poi magari non fanno neanche più male, ma sai che ci sono.

Quando più di 10 anni fa ho vissuto questo periodo, era un tempo storico in cui non solo vi erano tanti casi di anoressia, ma si sentiva il bisogno di far venir fuori qualsiasi emozione, anche attraverso la sofferenza. Oggi, sembra che il problema si limiti all’avvento dei social che hanno portato nuovi modelli, nuove icone. Certamente! I canoni di bellezza da allora sono indubbiamente cambiati, ma non quello che c’è dietro ad un disturbo. Non è mai solo un fattore estetico in sé. Dietro, c’è sempre una fame d’amore…una fame di farsi sentire.

Il disturbo alimentare è una malattia: corpo, testa e anima entrano in conflitto. Qual è stato il
tuo primo passo verso la rinascita?

Non posso mai dimenticarmi quando ho sentito che c’era una piccola luce che non voleva morire. Un segnale al quale io ho risposto. È difficile spiegartelo in chiave razionale, ma sono delle sensazioni che si muovo nella pancia e, ad un certo punto, scatta il meccanismo di rinascita che, attenzione, deve sempre essere fatto insieme a qualcun altro. Intanto, in quel periodo, io avevo lasciato la scuola, per poi riprenderla facendo tre anni in uno, cambiando indirizzo, finché non fatto l’esame da privatista. Mi sono riscritta a scuola a 18 anni, e per me, quel passo avanti è stato importante. Sai, quando sei così mal ridotta, quel passo verso gli altri è l’ultima cosa che vorresti fare. Ma è successo e quell’esatto momento ha delineato il primo pass. Poi, ne sono seguiti altri, come per esempio l’aver ripreso con lo sport, con la musica…

Si guarisce dall’anoressia?

Io non posso risponderti da un punto di vista universale, anche perché troverai sicuramente altre persone che avranno avuto lo stesso problema, forse anche più grave del mio, e ti diranno: “Sì, io mi sento completamente libera”. Io invece ti dico “no”, perché c’è un substrato emotivo che resta. Per quanto tu possa aver superato, lasciato indietro, lei è presente, è sedimentata nei ricordi, nella memoria, in altre cose.

La tua testimonianza è indubbiamente importante per coloro che stanno combattendo oggi contro i disturbi alimentari. Hai mai pensato di divulgare la tua storia per poter aiutare chi in questo momento sta soffrendo?

Sì, assolutamente! Difatti insieme al mio ufficio stampa abbiamo deciso di parlarne in maniera puntuale. Quest’anno ho iniziato con un programma importante, per cui, sai, avrei potuto anche sorvolare. E invece no! A me interessa molto far passare i sacrifici che ho fatto e tutto lo storico che ho vissuto, perché credo che dietro queste realtà ci possa essere la chiave per poter rispondere a qualsiasi domanda.

Anche allora l’arte ti ha aiutata ad uscire dall’anoressia?

No! Questa “seconda parte” della vita me la sono trovata successivamente. Gli indizi artisti c’erano, perché da bambina mi piaceva inventare: giocavo, mi trasformavo, scrivevo. Questo aspetto c’è sempre stato, anche se poi l’ho accantonato. Non a caso, in seguito, mi sono laureata in Relazioni Internazionali Diplomatiche. Studiavo per diventare giornalista, mi piaceva l’idea di diventare inviata di guerra. Ma ho capito col tempo che l’arte sarebbe stata la mia strada. Io ho cominciato a farlo per amore di farlo.

Noemi, sei una donna poliedrica. Ti sei lanciata nella sperimentazione artistica e culturale, creandoti nel tempo un profilo distinto, che ti vede attrice di teatro, di televisione e cinema. Ma anche conduttrice e musa fotografica. E a proposito della fotografia, come è entrata nella tua vita e quando hai deciso di metterti dinanzi all’obiettivo di una macchina fotografica per esprimere in immagini un particolare periodo della tua vita?

Ho coinvolto mia sorella in questi scatti perché nel periodo del lockdown tutti i grandi chiedevano storie. Tutti i grandi mettevano a disposizione la propria creatività. E io mi sono interrogata e mi son detta: “Ma tu vuoi sempre essere dipendente di qualcuno? Oppure vuoi cacciare fuori la tua idea e realizzarla da sola?”. La risposta che mi sono data è nata dalla seconda domanda. E così è stato, mentre sentivo da una parte la voglia di fare e dall’altra la responsabilità di lasciare una traccia di quello che stavo vivendo.

Solo stata semplicemente spinta dalla voglia di raccontare quello che stava accadendo, dentro di me e al di fuori di me. Da qui è nata Scomposizioni d’arte e fughe nell’anima – Arte Pandemica, inizialmente valutata da un fotografo importante, e successivamente motivata da molti nell’andare avanti. Cosa è successo dopo? Ho strutturato un crowdfunding e, finanziato il progetto, ho cominciato ad esporre. Adesso posso ritenermi molto contenta di questo progetto, perché a luglio esporrò al PAN, che è forse la location più prestigiosa di Napoli.

Il 10 giugno sei stata ospite insieme a Vittorio Sgarbi alle Officine Garibaldi di Pisa per ARTinGenio Museum. In questo nuovo contesto, l’arte è promotrice. In che modo viene rappresentata al pubblico?

Francesco Corsi, filosofo e caro amico, nonché fondatore di questa nuova realtà che si struttura alle Officine Garibaldi di Pisa, è stato il collega che mi ha affiancato in questo progetto. Infatti, oltre alle immagini il pubblico osserverà una piccola cornice filosofica che accompagna le foto.

Attendendo in tv la nuova stagione invernale, in quale contesto troveremo Noemi Gherrero e soprattutto, in quale vesti?

Intanto spero di riprendere assolutamente col teatro e col cinema. Ho fatto l’ultimo film Vecchie Canaglie con la regia di Chiara Sani a Bologna, insieme a Lino Banfi e ad altrettanti attori molto importanti. Conto di cominciare a muovermi nella contaminazione artistica e non mancherà il percorso in televisione. Porterò avanti i miei progetti che includono anche due spettacoli teatrali.