Alle soglie della seconda estate nell’ “era” del Covid VelvetMag incontra Luisa Vuillermoz, direttore della Fondation Grand Paradis e direttore artistico del Gran Paradiso Film Festival. Un punto di osservazione privilegiato, il suo, sui ghiacciai alpini, sulla montagna e sulla flora e la fauna a rischio di estinzione. A partire dalla sua professione di guida dell’ente che promuove il turismo naturalistico e culturale sul versante valdostano del Parco Nazionale Gran Paradiso, il più antico d’Italia.

Intervista esclusiva a Luisa Vuillermoz

 

L’alta montagna e i ghiacciai in particolare sono ormai definiti “malati gravi” dal punto di vista climatico e ambientale, è davvero così?

La perdita di massa dei nostri ghiacciai è costante. Nell’arco delle prossime due generazioni questo processo rischia di aggravarsi molto. Che la montagna sia un malato grave è fuori dubbio, non ci sono negazionisti in questo campo. Siamo comunque in ritardo: la temperatura media è destinata ad aumentare, per i ghiacciai la strada è segnata. Più in generale, le Alpi si stanno trasformando. Noi stessi stiamo immaginando di produrre nuove guide turistiche del Parco, considerato, ad esempio, che certi luoghi sono ormai cambiati rispetto al tempo di Renato Chabod (alpinista, avvocato e politico aostano, fratello dello storico Federico Chabod, ndr.)

Un gipeto adulto nel Parco Nazionale Gran Paradiso (foto Roberto Permunian / Archivio PNGP)

Lei però, partecipando in varie parti d’Italia a incontri e dibattiti su questi temi, si professa ottimista. Perché?

Il mio ottimismo è dovuto in primo luogo al fatto che oggi esiste una presa di consapevolezza rispetto alla situazione del pianeta e della montagna in particolare. Significa che sul breve periodo non possiamo fare molto ma sul medio-lungo periodo si può agire arrivando a dei risultati. La natura e i ghiacciai hanno bisogno di tempo. La consapevolezza di cui parlo è inversamente proporzionale all’età: nei giovani è più alta che negli adulti. I ragazzi sono sensibili al tema dei cambiamenti climatici e al tema dei comportamenti eticamente sostenibili. A loro volta educano i propri familiari. Il movimento internazionale che fa riferimento a Greta Thunberg di fatto fa da pungolo all’attuale classe dirigente di molti Paesi e in futuro potrebbe essere esso a esprimerla.

Ragioni per avere fiducia vengono anche dall’azione dell’uomo nel Parco del Gran Paradiso?

Nel corso dei decenni il Parco ha salvato gli stambecchi dall’estinzione. Oltre a un’azione di protezione c’è stato anche un intervento di redistribuzione degli esemplari su tutto l’arco alpino. Oggi possiamo dire che gli stambecchi dal cuneese alla Slovenia sono un po’ tutti cugini o nipoti del nucleo di quei pochissimi preservati in origine al Gran Paradiso. Un altro caso è quello del gipeto. Anche qui ci sono voluti molti anni ma il progetto internazionale fra nazioni diverse ha dimostrato che per gli animali i confini non esistono. Un singolo esemplare di gipeto può spostarsi abitualmente tra Francia, Svizzera e Italia. Al Gran Paradiso, negli ultimi anni, abbiamo avuto una nidificazione per valle, quasi tutte con successo. Tutto questo ci dimostra che è l’intelligenza dell’uomo che deve scegliere. Salvaguardare e proteggere la natura invece di distruggere, come purtroppo ogni anno accade, un numero incredibile di specie viventi.

Stambecchi a Levionaz nel Gran Paradiso (foto Renzo Guglielmetti Flemma / Archivio PNGP)

Si fa un gran parlare di turismo sostenibile: non si rischia così di cadere in una retorica fine a se stessa?

Certamente oggi sembra quasi che basti aggiungere l’aggettivo “sostenibile” al concetto che vogliamo esprimere o comunicare e il gioco è fatto. La realtà è più complessa. Il concetto di sostenibilità che anche noi promuoviamo all’interno del Parco incrocia tre dimensioni: ambientale, sociale, economica. Lo stesso Parco del Gran Paradiso non è una riserva integrale. Vi si svolgono attività agricole, turistiche, produttive. Tutto in mezzo alla natura.

Come devono incrociarsi queste dimensioni?

Salvaguardando la compatibilità con l’ambiente. Ad esempio senza uno sfruttamento massivo delle risorse, senza disturbo per gli animali. Il punto centrale però è la conoscenza. Osservando e quindi conoscendo dove si trovano gli animali, e come vivono, possiamo determinare cosa sia possibile fare nel Parco o anche il massimo di posti letto che sia opportuno ammettere in un rifugio.

Di che tipo è oggi il turismo della montagna?

Abbiamo una parte di turisti molto consapevoli della necessità di proteggere l’ambiente. Spesso sono stranieri e insegnano qualcosa anche a noi. A volte influiscono sulle abitudini dei residenti, per esempio per quanto riguarda la mobilità sostenibile. Aver visto l’uso più frequente di biciclette dalla pedalata assistita e auto elettriche ha cambiato alcuni comportamenti a livello locale. Poi c’è un turismo massivo, anche se in netto calo rispetto al passato. È quello di coloro che hanno un atteggiamento predatorio verso l’ambiente. Se il 16 agosto facciamo escursioni sui sentieri troviamo di tutto… È il turismo “mordi e fuggi” che si combatte educandolo.

Nel 2022 si celebreranno i cento anni del Parco Nazionale Gran Paradiso, quali iniziative promuoverete?

Sarà una grande occasione per guardare indietro a cosa si è fatto, anche agli errori commessi nel passato. Come ad esempio, alcune reintroduzioni errate di specie. Atti compiuti in buona fede ma su cui sarà interessante aprire un dibattito. Ma, soprattutto, il centenario sarà un’occasione per guardare avanti. Stiamo preparando progetti a livello locale, in Valle, ma anche nazionale e internazionale.

Salvataggio di un’aquila reale ferita in Valsavarenche (foto Michel Mottini / Archivio PNGP)

 

@PhotoCredist Archivio PNGP (Michel Mottini/ Renzo Guglielmetti Flemma/ Roberto Permunian)