Ha incarnato sin dagli albori della sua carriera la duplice immagine del duro e del reietto. Forse perché, in fondo, venendo dal basso, ha sempre sentito di dover lottare per affermarsi. Eppure, la sua fama mostra che Sylvester Stallone ce l’abbia fatta. Che quell’ultimo gong sul ring abbia scandito la sua vittoria. Oggi 6 luglio, in occasione dei suoi 75 anni, è dunque doveroso ribadire il suo trionfo, come nel cinema così nella vita. Attore, sceneggiatore, regista, produttore, Sly è tra i volti più famosi e riconoscibili del grande schermo, grazie alle due saghe cinematografiche entrambe da lui sceneggiate, Rocky e Rambo. Due saghe che, a prescindere dalle opinioni personali, sono tasselli fondamentali nel meccanismo della settima arte.

Sylvester Stallone, da reietto in cerca di riscatto a stella Hollywoodiana

Sylvester Enzio Stallone nasce il 6 luglio 1946 presso il quartiere di Hell’s Kitchen, Manhattan. Di origine italiana da parte di padre e ucraino-francese da parte di madre, ha avuto un’infanzia turbolenta. Sin dalla nascita, infatti, ha riscontrato alcuni problemi di salute a causa dell’uso del forcipe, fattore che ha comportato una lieve paresi sul lato sinistro del volto. In adolescenza, invece, ha sofferto di rachitismo. Nel 1951 si trasferisce con la famiglia nel Maryland ma, in quel periodo, la madre Jacqueline decide di andar via di casa. Durante la sua giovinezza, tuttavia, lo sport lo aiuta non solo a risolvere i problemi connessi al rachitismo, ma gli consente anche di ottenere una borsa di studio per meriti sportivi all’American College in Svizzera. Ed è proprio qui che comincia a nutrire interesse per la recitazione.

In seguito, Sylvester Stallone si iscrive alla University of Miami in Florida, optando per la facoltà di arte drammatica. Nel 1969, tuttavia, abbandona gli studi tornando a New York per dedicarsi alla carriera cinematografica. In questo periodo vive in condizioni di indigenza, trascorrendo anche un breve periodo della sua vita come senzatetto. Questi anni rappresentano per Sly la ricerca costante di affermazione. Ma le numerose porte sbattute in faccia tardano la sua grande occasione per farsi conoscere. Mentre si cimenta in alcune produzioni off-Broadway scrive sceneggiature sotto nomi fittizi. È a questo periodo che risale, inoltre, la stesura del romanzo Paradise Alley, che tuttavia non riscontra il favore di alcun editore. Ma nel 1970, finalmente, dopo la partecipazione ad un film per adulti, qualcosa sembra smuoversi. In quell’anno, infatti, Sylvester Stallone debutta sul grande schermo con Fuga senza scampo. È solo l’inizio, per Sly, della sua parabola ascendente.

Sylvester Stallone, gli anni Settanta – Ottanta: l’inizio di un’era con Rocky e Rambo

Stallone inaugura gli anni Settanta debuttando al cinema, cimentandosi anche in Una squillo per l’ispettore Klute, diretto da Alan J. Pakula nel 1971. L’anno successivo, tuttavia, si presenta ai provini per Il Padrino di Francis Ford Coppola, venendo in seguito scartato. Il 1974 rappresenta per Sly un ulteriore cambiamento: dopo cinque anni di permanenza nella Grande Mela, infatti, l’interprete decide di trasferirsi sulla West Coast, arrivando a Los Angeles. Nello stesso anno fa parte del cast di Happy Days – La banda dei fiori di pesco, al fianco di attori del calibro di Henry Winkler, Perry King e Susan Blakely. Proprio Winkler ha ammesso che, per la caratterizzazione del celebre Fonzie nella sitcom Happy Days, si sia ispirato proprio al personaggio interpretato da Stallone.

Dopo una serie di ruoli minori, avviene finalmente la svolta. Il 1976 è l’anno che consegna Sylvester Stallone alla gloria eterna, divenendo uno dei volti più incisivi del grande schermo. Rocky, primo capitolo della fortunata saga cinematografica ispirata alla storia struggente e, per certi versi, autobiografica di Rocky Balboa. Un pugile italoamericano, in lotta per la propria affermazione come sportivo e professionista, è tra i progetti di maggior successo della stagione cinematografica. Diretto da John G. Avildsen, il film ha ottenuto tre Premi Oscar, a fronte di dieci nomination, tra cui quelli per Miglior Film e Miglior Regia. Dal quasi totale anonimato, il nome di Stallone è stato accostato, nel giro di pochi mesi, a colossi del calibro di Orson Welles e Charlie Chaplin.

Dopo questi due mostri sacri, infatti, il terzo uomo nella storia del cinema ad ottenere le candidature sia come Miglior Attore Protagonista che per Miglior Sceneggiatura Originale per lo stesso film. Il decennio successivo rappresenta, per Sylvester Stallone, un’ulteriore conferma del suo successo. Sul grande schermo debutta nel 1982 il primo capitolo dell’altra grande saga che ha reso la sua fama immortale: Rambo. Il reduce di guerra, emarginato per via del suo disturbo post traumatico, si muove sulla stessa lunghezza d’onda di Rocky Bolboa. Entrambi reietti, entrambi si sono fatti da sé, emergendo con il sudore e il sangue. Come lui stesso ha spiegato: “Rocky incarna il sogno americano e ha ispirato tutti a credere che si possa fare qualsiasi cosa. La sua lotta fa parte della natura umana e il pubblico si è sempre identificato“.

Sylvester Stallone, tra successi e sofferenze: i 75 anni di un mito

Nonostante il successo iniziale, i capitoli successivi di entrambe le saghe cinematografiche non hanno ottenuto lo stesso riscontro. Sylvester Stallone detiene, infatti, il curioso e, non proprio lusinghiero, primato di attore con il maggior numero di vittorie al Razzie Award a fronte di 31 nomination. Eppure, nel 2015, pare essersi redento grazie alla sua interpretazione in Creed – Nato per combattere. Il ruolo, che gli ha permesso di vincere un Golden Globe e di ottenere una nomination agli Oscar, gli ha fatto valere il Razzie Redeemer Award con il quale, l’associazione ha difatti ha riconosciuto l’ottima performance del divo.

Se la sua carriera, tra progetti più o meno riusciti, continua ad allietare gli spettatori, Sylvester Stallone si è trovato ad affrontate una dura batosta nel 2012. La star ha dovuto fare i conti, infatti, con la morte del figlio Sage, scomparso all’età di 36 anni. Un dolore con cui, negli anni, è dovuto per necessità venire a patti. Oggi, tuttavia, all’età di 75 anni guarda al futuro con serenità: “Da giovane ho raggiunto tutti i traguardi che mi ero prefissato, anzi li ho anche superati. Non avrei potuto chiedere di meglio perché ero appena trentenne quando Rocky ha vinto tre Premi Oscar. Il mio obiettivo oggi è quello di aiutare e insegnare il mestiere ai giovani cineasti perché non ho più niente da provare, ma loro sì“.

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