Quell’estate del 1973

C’è qualcosa di romantico nell’esordio discografico di Donatella Rettore. Figlia di una nobildonna attrice goldoniana, veneta d’origine e indisciplinata per natura, a diciott’anni scappa dal nido e punta dritto verso Roma. A dirla tutta Donatella era ribelle, sì, ma arrotondava poche lire cantando le cover di Caterina Caselli che, dieci anni dopo, da musa si sarebbe trasformata nella sua produttrice discografica. Ma nel frattempo sarà l’incontro con un tale bolognese a cambiarle la vita.

Lui sì che era un altro ribelle vero. Uno che, però, d’esser ribelle non aveva nessuna voglia, purché lo lasciassero in pace. Giusto un paio d’anni prima era riuscito a portare il grande pubblico dalla sua parte: l’orso buono, lo strambo della musica, il peloso con la scoppola, stavolta li avevi fregati piazzando a Sanremo ’71 un capolavoro scritto da e con Paola Pallottino: e dopo 4/03/1943 che gli volevi dire ancora?

Esatto: è Lucio Dalla a portar via Donatella Rettore da casa e regalarle il primo, vero palco. Le toglie i grilli per la testa, quelli futili, offrendole qualcosa di più invitante: “Non avevo una lira e lui mi coinvolse nei concerti in Veneto, e riuscì a togliere i dubbi a mia madre con una frase lapidaria: Signora deve solo cantare, non fare la tro*a”, ha raccontato la Rettore a Il Fatto Quotidiano. Ok, ma con i grilli per la testa che si fa? “Risolviamo così: sua figlia canta e lei va a dire un paio di preghiere”.

Invitante, tagliante, splendente

E sarà per i grilli oppure per le preghiere, ma in effetti qualcosa di grosso succede. Donatella cambia pelle, abbandona il nome di battesimo e diventa solo Rettore: un cognome imponente, quasi virile, assoluto nella sua omonimia con il mondo accademico. Allo stesso tempo coglie l’aria che sta tirando sul nuovo decennio ed entra negli anni Ottanta con un look provocante: è una pantera bionda ossigenata in fuseaux di pelle. E, finalmente, spalanca le porte al pop rock.

1979: il primo vero boato commerciale si chiama Splendido Splendente. E non fatevi ingannare dall’arrangiamento di Pinuccio Pirazzoli e Tullio De Piscopo alla batteria e alle percussioni, che rendono il pezzo così ballabile da diventare un tormentone eterno, perché qui Rettore sta graffiando come pochi. Cogliendo con un anticipo impressionante i trend dei successivi quarant’anni, canta il mostro-chirurgia estetica e ironizza su una società che iniziava a fare dell’apparenza e della vanità un mantra inquietante. “Anestetico d’effetto”: così parlò Donatella, oggi più attuale che mai.

Basta che si alzi

Ma è l’anno seguente che mette in chiaro davvero di non essere solo una meteora.
“Il Kobra è sempre attuale: basta che si alzi”, ha dichiarato in un’intervista a Piero Marrazzo per Razza Umana. Nel 1980 infatti lancia uno dei suoi successi più clamorosi e segna una svolta definitiva. Kobra non è un brano rivoluzionario, anzi: si contestualizza perfettamente nel clima discografico dell’epoca. Gli anni Settanta si erano appena chiusi con pezzi ammiccanti come Triangolo di Renato Zero, Gelato al Cioccolato di Pupo, America di Gianna Nannini, Pensiero Stupendo di Patty Pravo, Sbucciami di Malgioglio e Comprami di Viola Valentino. Fammi sognare, mollalo, sbucciami, comprami: nella disco-Italia il sesso diventa imperativo. E Rettore, senza farselo ripetere due volte, dice la sua spogliandosi di qualsiasi pudore. La provocazione diventa scandalo e Kobra diventa una canzone fenomeno.

C’è una bella differenza tra il tormentone di un’estate e una canzone-fenomeno da oltre quarant’anni. E, in questo caso, la differenza sta nel fatto che Rettore non allude solo a quel pensiero “frequente e indecente”, ma chiama in causa direttamente l’oggetto del suo desiderio con un titolo – senza girarci intorno – fallico. Il doppio senso è presente dalla prima all’ultima sillaba, è talmente ovunque che a tratti non ci credi: lo stai davvero dicendo, ballando, urlando in falsetto, e sta bene su tutto. Un pezzo così, semplicemente non può tramontare finché avremo qualcuno da desiderare. La vera chicca è che Donatella lo ha scritto insieme a Claudio Rego, l’uomo della sua vita: più sexy di così non si può.

Pronto… Raffaella?

1983: Rettore è in tournée per promuovere l’album Far West, quando arriva nel salotto televisivo della Carrà e confessa di aver dormito solo mezz’ora. È lì per essere intervistata, e invece è lei a chiedere alla padrona di casa: “Tu mi devi spiegare, con tutte quelle capriole che fai, Congo, Belgio, Argentina, Bogotà… Perché sei sempre così bella e fresca?”. La Carrà ha subito la risposta pronta, tempi televisivi perfetti: “Io dormo la notte: questa è la differenza”. Il pubblico ride di gusto, allora Rettore non si lascia sfuggire l’occasione e punta Sergio Iapino, ballerino coreografo e autore tv presente in studio, nonché grande amore della Carrà: “Posso fare una battutaccia? Iapino…”, e lo rimprovera alludendo al fatto che lui dovrebbe tenerla sveglia, la Carrà, di notte. Raffaella però è pronta anche stavolta e chiude la gag segnando il punto decisivo: Ma si può dormire anche dopo, sai? Non è un problema”.

Riguardare l’estratto di quest’intervista, proprio in questi giorni, è una delle tappe obbligate per lasciare andare Raffaella. Ma non solo. Molti spettatori hanno creduto che tra Rettore e Carrà non corresse buon sangue in quel momento: Donatella provocava, indomabile e libera da ogni schema televisivo, eppure Raffaella domava, con eleganza ed ironia. Era lo show perfetto tra due regine della scena anni Ottanta, due che portavano sulle spalle, in modi differenti, la responsabilità di sdoganare certe barriere femminili e rivoluzionare il costume dell’epoca. E forse la stavano difendendo.

La tensione si sente, è vero: Donatella è tagliente ma finge di non accorgersene; Raffaella pizzica anche di più, ma sorride senza tradirsi mai, è la conduttrice d’Italia. “Rettore, tu cambi immagine e vestito…”, e Donatella la interrompe: “Ma tu sei stata la prima a farlo, non lo sapevi?”. Ah, il confine sottile tra competizione spietata e stima reciproca. “Lo sapevo – la incalza Raffa – ma io lo faccio a modo mio, e tu a modo tuo”. Ostilità, stima, puro show? Poco importa. Che spettacolo.