La prima volta che ho letto Il mondo secondo Fo, tratto da una sua conversazione con Giuseppina Manin, la ricordo come fosse ieri. Un libro consumato e sottolineato fino all’osso, durante gli anni di studio instancabile e ossessioni varie alla scoperta di Artaud, Sarah Kane e il Kabuki. Il mondo di Dario Fo, però, per certi versi ha inizio tutto con un primo grande incontro. Quello con Franca Rame: Credo d’averla amata appena l’ho vista. Ed era in fotografia, racconta nel libro. È un attimo, nasce come un innamoramento improvviso, ma è una scintilla che segnerà tutta la vita artistica e privata della coppia più rossa del teatro.
E se non si può parlare di lei senza trascinare dentro anche lui, per me è vero soprattutto il contrario.

La diva (di sinistra) 

1951. Lui ha appena iniziato a fare teatro. Fresco d’Accademia di Belle Arti, si divide tra una rivista estiva e i primi testi satirici per la Rai. “Allora io ero uno spilungone, un ‘pirlungon’, come si dice da noi, poco più che ventenne”. Lei, invece, era già stata scritturata nelle compagnie milanesi, va in scena al Teatro Olimpia, sa fare tutto: canta, danza, recita, è attrice nel dna. Letteralmente: lei va in scena da sempre. Figlia degli attori Domenico Rame ed Emilia Baldini, cresciuta in una famiglia per cui il teatro era tradizione e fede insieme, praticamente inizia a stare sul palco prima ancora di stare al mondo. Lei era già una diva, uno splendore per cui chiunque avrebbe fatto carte false”.

Si incontrano a casa di amici comuni. O meglio: è solo lui a incontrare lei. Rimane folgorato da una sua fotografia incorniciata, di un bianco e nero ammiccante, in cui però quella bionda mozzafiato sembra prendere colore e animarsi di scenari irresistibili. Dario non riesce a staccarle gli occhi di dosso, è “spudoratamente bella, distante e luminosa”: non ci riuscirà neanche cinquant’anni dopo. È fatta: è uno di quei colpi di fulmine che oggi non sarebbero più possibili, l’inizio di un grande amore in pieno stile anni Cinquanta. Niente chat, niente app di incontri, nessun ‘vorrei ma non posso’ o ‘là fuori è pieno di persone da conoscere’. Dario se la vuole sposare prima ancora di incontrarla in carne e ossa.

Infatti chiede tutto di lei. E scopre che viene da una storica famiglia di teatranti, è figlia di una tradizione che va avanti dal ‘600, legata alla commedia dell’arte, al teatro delle marionette e dei burattini. Ed è pure figlia, non da meno, di una sinistra socialista che un giorno li unirà, nel successo e nella tragedia. Madre, padre e zio sono militanti attivi: usano gli incassi degli spettacoli per sostenere la lotta operaia, sfidano la censura, fondono arte e politica in un’unica vocazione.

Non solo la moglie di Dario Fo

È centrale il peso di questo colpo di fulmine e di quello che succede subito dopo, quando entrambi vengono scritturati per lo stesso spettacolo e finalmente lui riesce a conoscerla di persona. La corte spietata che le fa, la tenera goffaggine con cui cerca di conquistarla, sgomitando nella competizione con gli altri uomini che le ronzano attorno, è un passaggio importante. Perché lei, in questo momento, rappresenta tutto quello che lui vorrebbe diventare. Una chiave di svolta e di lettura lontanissime da quello che poi, troppo spesso, verrà riassunto banalmente in ‘Franca Rame, la moglie di Dario Fo’.

Ai tempi dei primi baci, rubati e concessi proprio dietro le quinte del palcoscenico, lei è già un’attrice di successo. Rame è un nome del teatro e inizia a conquistarsi anche uno spazio nel cinema, la carriera di Fo invece è ancora precaria, vacante e in divenire, pericolosamente nomade. “Il nostro rapporto ne ha risentito. Si è anche interrotto”, ha confidato lui a Giuseppina Manin.
Ma è di nuovo uno spettacolo ad unirli, quando si ritrovano in scena insieme, al Piccolo di Milano: un successo di pubblico e un successo di coppia. Dario inizia a stare al passo con Franca, il divario tra le due carriere pesa sempre meno, la vita nella compagnia fa da collante e rende tutto possibile. È l’inizio di una vita insieme: nel 1954 si sposano.

Il palcoscenico come habitat naturale

“Quegli anni sono stati tutti, non uno di meno, belli e intensi – ha ricordato lui nel libro – I mesi duravano 60 giorni, i giorni 48 ore… Sì, di vite noi due messi insieme ne abbiamo vissute davvero tante”.
“C’è un momento della mia infanzia che spesso mi ritorna in mente – ha raccontato lei – Sto giocando con delle compagne di scuola sul balcone e sento mio padre che parla con la mamma: ‘È ora che Franca incominci a recitare, ormai è grande’. Avevo tre anni”.

Il teatro era talmente radicato in Franca Rame, che oggi si rischia di far fatica a capirlo. Oggi che tutti blaterano di teatro, tutti ‘fanno’ teatro, tutti ‘vengono’ dal teatro (dicono). Ma questa è un’altra storia: nella sua educazione e nella sua cultura familiare, il palcoscenico era la condizione naturale dello stare al mondo. Un habitat, un porto sicuro. Come la certezza di tornare a casa e dormire nell’unico letto in cui riposi davvero, come la tradizione del pranzo domenicale dove ognuno ha il suo posto a tavola, come un filtro sui fatti belli e perfino tragici della vita.

Come l’unico modo possibile, non a caso, di affrontare lo stupro subìto: portandolo in scena. Prima spacciandolo come la storia di un’altra donna, poi confessando di essere lei la vittima: Lo stupro è uno dei monologhi più cruenti, audaci e storicamente dolorosi visti in Italia. Un’agghiacciante narrazione di violenza, così minuziosa nei dettagli da ricordare un verbale, così difficile da ascoltare che è tutt’oggi un manifesto contro la cultura dello stupro. Quando nel ’73 Franca viene rapita, seviziata e violentata da cinque uomini dell’estrema destra neofascista, il movente è quello dell’azione punitiva: perché era una donna che faceva politica e perché era la moglie del ‘rosso’ Dario Fo.

Caro Dario

Nell’ultimo periodo della sua vita Franca ha lottato per non lasciare solo il marito. L’idea di andarsene e immaginarlo solo, a rigirarsi nel letto, a dimenticare di chiudere le tapparelle e la porta di casa, non le dava pace. Lo scrive in una lettera intensa, divenuta pubblica: “Sono felice di aiutare Dario che è il mio tutto, ma mi manca qualcosa… Quel qualcosa che non mi fa amare più la vita”.

Ha resistito per un po’ e per amore. Ha vissuto 84 anni, di cui 62 in simbiosi con Fo. Ma la prima volta che è salita su un palco aveva 8 giorni di vita. È morta nel maggio del 2013, la prima ad andarsene tra i due. Dario ha vissuto i tre anni seguenti, gli ultimi, nel tentativo di riempire ogni spazio con il lavoro, per poi ‘raggiungerla’ altrove, come ci piace immaginare in questi casi.
Caro Dario – gli aveva scritto lei – se non torno in teatro muoio di malinconia”. E così è stato. Perché Franca Rame era sposata con Dario Fo, ma era figlia del teatro.