“Su, su, su, ma sai Rino qui, il cielo è sempre più blu”. Un verso che basta poco per inondare le menti di chi inizia a lasciarsi andare alla ballata del calabrese Pasquale Sculco. Noto al pubblico con il nome d’arte dei Carboidrati, che ci riporta indietro di qualche anno, sotto le luci del Serale di Amici. Il ragazzo di cui vi stiamo per parlare ha dimostrato il suo talento nella scuola più famosa d’Italia, laddove, promettenti cantanti e ballerini, si sfidano per far avverare il sogno di vivere della propria arte. Era l’edizione del 2013 e il talent, per la prima volta, dava spazio alle band, e Pasquale e il suo gruppo vi presero parte.

Dal piccolo schermo poi si arriva dopo varie vicissitudini alla carriera da solista nel 2019, ed oggi che esce Senza Meta. Nella foto cover un curioso fustino dell’olio che prende le sembianze di una chitarra e Sculco che racconta il caos generale in una sequenza di immagini, e invita tutti a lasciarsi trascinare dalla musica nonostante la baraonda vita della quotidianità continua sotto quel cielo che, come decantava Rino, è sempre più blu.

Intervista a Pasquale Sculco/ex frontman dei Carboidrati

 

Questa intervista l’ho pensata come fosse un viaggio e non si parte senza la valigia: partiamo da
quella che hai chiuso tanti anni fa, tra le mura di casa di Cirò Marina. Ti ricordi cosa hai portato
con te?

La valigia l’ho fatta per Amici. Non avevo previsto di vivere a Roma o, tantomeno, di continuare a stare nella Capitale. Io, a quei tempi studiavo Chimica Farmaceutica a Cosenza. Era il primo anno di università, ma erano sei, invece, che suonavo col gruppo. Prima che approdassimo al talent, avevamo già una buona fetta di esperienza tra locali, esibizioni in provincia e varie situazioni analoghe. Come anche una comparsa alla Rai col Festival Show e diversi step per Castrocaro. Come spesso testimoniano le grandi storie, poco prima del clou, c’è quasi una vita intera da raccontare.

Carboidrati, è stata un’idea mia e di mio cugino, che nasce nel periodo delle medie, pensa! Ha fatto seguito la prima festa di piazza per il Santo del paese e così via, finché i tempi dell’università sono arrivati e il gruppo è passato in secondo piano. Nell’esatto momento in cui le nostre strade stavano prendendo vie diverse, ecco che ci chiamano da Amici. Il primo provino ci fu nel luglio del 2013 e per diversi mesi non abbiamo ricevuto nessun riscontro, per poi averlo forte e chiaro nel gennaio del 2014, quando in soli cinque giorni abbiamo dovuto preparare tutto.

Ripercorriamo insieme questa tappa, seppur sia passato qualche anno, non possiamo non
sottolineare una tua evoluzione artistica. Come ricordi questa esperienza?

Ad Amici siamo entrati con una sfida diretta: abbiamo vinto contro un altro gruppo che era già dentro la scuola, e siamo rimasti lì, con la maglia del programma fino alla quarta puntata del Serale. È stato in quel momento che ho realizzato bene l’idea, ovvero quella di non poter rimanere a Cosenza e di spostarmi, invece, perché tutta la produzione risiedeva a Roma. Dovevamo cavalcare l’onda di quell’eco importante che ci aveva dato Amici. Ed così che la Città Eterna ha preso realmente le sembianze di una casa, di un punto fermo. Infatti,  fino a prova contraria, sono ancora qua!

Son passati sette anni e continuo quello che facevo allora. Amici ti dà una grande spinta, non ci sono dubbi. Ma è anche una sorta di ripartenza una volta finita quell’esperienza. Per noi dei Carboidrati per esempio, era un punto d’arrivo perché cantavamo da tempo, ma è stato anche un andare a capo e costruirsi una vera e propria carriera nel mondo della musica.

Ti ricordi le sensazioni che provavi appena si era conclusa l’esperienza televisiva?

Subito dopo il talent è stato traumatico, devo ammetterlo! Non avevo ben capito e credo che sia stata una fortuna, in parte, avere quell’ingenuità dei 19 anni. Uscire dalla scuola è stato un impatto troppo importante. Non pensavo che un programma potesse crearti delle situazioni, delle dinamiche umane, sociali così particolari da affrontare. E non è neanche un fenomeno strano sentir mancare un po’ la terra sotto i piedi mentre continui a girare per l’Italia, sempre in macchina, tra radio, concerti, Store nei Centri Commerciali. Devi permetterti di mettere a fuoco tante cose e sistemarle in ordine.

Difatti ci siamo dedicati al disco con Adriano Pennino, completamente. Lo voglio ricordare come un bel caos che ti dà comunque positività, nonostante lì non vivi solo il talent, ma entri nel meccanismo di un vero e proprio reality. La tua vita, il tuo carattere, il modo di essere, si mescolano insieme alla tua parte artistica, e questo anticipa un aneddoto che ricordo ancora con stupore.

Usciti da Amici, io e la mia band avevamo preso un pullman di linea per tornare a casa in Calabria, non sapendo che a Cirò Marina c’erano più di 3.000 persone sotto il ponte del paese che ci aspettavano. Ricordo che ci siam dovuti fermare con il mezzo sulla Statale 106 per percorrere il resto della strada con i Carabinieri, perché era praticamente impossibile tornare a casa.

Pasquale Sculco/Carboidrati: «Maria era un punto essenziale, la ‘quadra’ di tutto»

Cosa provi nel ricordare quel periodo che spesso ti vedeva al fianco di Maria De Filippi?

Una grande nostalgia! Era un bell’ambiente. Me lo sono goduto fino in fondo; fin quando sono stato dentro il programma. Con Maria c’era un rapporto quasi personale. Come ti dicevo, siamo entrati nella scuola quando le dinamiche erano ben che avviate, e lei si interessava molto anche dal un punto di vista umano. Mostrava attenzione su tutto, dalla sfera artistica e organizzativa, al profilo personale di ciascun allievo. Ad Amici c’è una grande pressione psicologica, proprio perché c’è tanto lavoro da fare. Specialmente quando arrivi al Serale. Nell’edizione in cui ho partecipato insieme al mio gruppo, la puntata del Serale si montava in quattro giorni, e quindi stavi dalle sette alle otto ore, se non di più, a preparare quello che bisognava fare. E Maria era per me un punto essenziale, perché era la ‘quadra’ di tutto. La ricordo con rispetto e grandissima ammirazione.

Invece cosa hai lasciato lì per poter partire? Lo trovi ancora nel posto in cui sei cresciuto ogni
qualvolta ci torni?

Beh, in Calabria, c’è la mia vira intima: c’è la mia famiglia, ci sono i miei amici, le mie abitudini. Sono sempre molto legato al mio paese e al contesto in cui si trova. Tutto sommato c’ho sempre vissuto molto bene e appena posso, torno. Ogni volta che arrivo nella mia città natale mi sembra che si stia sempre meglio. Forse perché è un posto che mi dà delle attenzioni particolari e a cui io, do altrettanto.

Era una tua ambizione che la destinazione principale del viaggio fosse la partecipazione ad
Amici?

Io in realtà Amici, non lo avevo mai guardato e non per partito preso. Veniva trasmesso il sabato sera e sai, da ragazzo esci, capitata raramente che un ragazzo stia a casa. Sapevo certamente dell’esistenza del programma, ma non ero a conoscenza dei dettagli e di come funzionasse il talent. Ho comunque partecipato perché quell’anno davano la possibilità alle band di far parte della classe. Mi chiamò un promoter consigliandomi di andare a provare. E così facemmo io, ed il resto del gruppo. Siamo stati il primo gruppo nella storia di Amici  ad accedere gli ultimi nella scuola, ma i primi ad entrare al Serale.

Dopo Amici abbiamo il periodo della band. Che cosa ha portato il gruppo a separarsi?

Nel 2014, finita l’esperienza televisiva, siamo stati insieme per altri cinque anni superando quota 200 concerti in tutta Italia, nella stessa formazione tranne col primo batterista che era andato via poco dopo il programma. Dopo tutto questo tempo di lavoro intenso, alla fine i ragazzi della band hanno deciso di non continuare più per scelte di vita differenti, importanti, che poteva essere controproducente e quasi difficoltoso da gestire il tutto. Eravamo arrivati dinanzi al quel classico punto laddove si deve scegliere e basta. È un punto effettivo. Esiste. E quindi sì, in quel periodo finì l’epoca della band.

La scelta di tenere per sé il nome di tutto il gruppo come nome d’arte è singolare. Spiegaci se è stato un  tentativo di portare con te il meglio di quell’esperienza?

Assolutamente sì! Credo di averlo fatto per non lasciare qualcosa. Perché ancora oggi è un nome che tanta gente conosce; le persone ricordano e quindi non mi andava di ripartire di nuovo da zero. Per ora questo nome continua a farmi sentire a mio agio. Voglio dare l’idea che è tutto in movimento, che non è del tutto finito e che in realtà qualcosa resta sempre uguale. Il nome potrebbe essere una spia di questo pensiero: è cambiata la band, non c’è più Amici, è cambiato tanto, tutto intorno, ma qualcosa resta sempre. Esattamente come la mia passione per la musica e la voglia di andare avanti con questo progetto e, forse, lasciare il nome così com’è, potrebbe essere una dimostrazione.

Alla fine del primo lockdown nel maggio del 2020 hai proposto una nuova destinazione: un nuovo progetto, tutto tuo, dal titolo Pane e Nostalgia. Un cambiamento totale; da cosa è nato, cosa ti ha portato e cosa hai dovuto sacrificare?

In realtà, non ho dovuto sacrificare nulla. Anche se, fare ora un bilancio, mi sembra molto difficile. Non lo so se ho guadagnato o perso qualcosa. Io, ho solo continuato in quel momento in cui la band si stava staccando. Credo di aver sentito l’esigenza di presentare un qualcosa di più personale. Ed è per questo che ho scelto un brano che mi avrebbe potuto rappresentare nel migliore dei modi, così come ero, ovvero da solista, e non con un profilo che potesse alludere al collettivo.

Il brano Pane e nostalgia dà eco a sensazioni personali. Infatti, se fossi stato nel gruppo, non l’avrei mai pubblicato, proprio perché la band ha un’anima comune, che è l’opposto di quando ti ritrovi da solo. Anche se il nome è rimasto tale, si tratta comunque di nuovo progetto, mi vedo in una veste diversa ed è per questa nuova ‘pelle’ che avevo l’esigenza di raccontare qualcosa che fosse mio, che mi appartenesse.

Sei tornato tra le classifiche musicali quando il Paese era immobile, sofferente per la diffusione
pandemica. Un passo ragionato o casuale?

In realtà dovevo uscire molto tempo prima con il brano; prima della pandemia. Pane e nostalgia è stato il primo pezzo prodotto e arrangiato da solo, non è stato semplice gestire il tutto, e c’è stato chi mi ha dato una mano in questo. Ma volevo uscire col brano, ed è capitato proprio a maggio del 2020; un mese particolare per il contesto storico che stavamo tutti vivendo. Nel frattempo, ho dovuto fare pace con tante cose; e tra queste elaborare un’etichetta tutta mia.

Carboidrati: « In Senza Meta si racconta il caos, e Rino Gaetano mi è uscito dal cuore»

Se l’anno precedente muovevi i primi passi da solista, oggi, entri a gamba tesa con un brano che chiama tutti alla riflessione e porta in auge Rino Gaetano. È un brano indimenticato e indimenticabile, che sembra ti abbia portato come lui stesso cantava un cielo sempre più blu.

Sì! Sono arrivato dopo un anno con Senza Meta; un brano che non è una storia. Potrebbe esser descritta come una sequenza di immagini, dove si racconta un po’ il caos generale. È un grande periodo di transizione questo: storico e sociale. E questa baraonda, ho cercato di raccontarla attraverso le immagini che si accostano l’una all’altra. Il nome di Rino Gaetano mi è uscito dal cuore; quasi casualmente, anche se io, al caso, non è che ci creda tanto. All’interno del caos spesso si nascondono delle certezze. Se si è caparbi nel cercarle, si possono trovare, e in questo brano la certezza sta proprio nel cielo. Il cielo ha sempre guidato un po’ tutti e l’ho voluto evidenziare: se riesci a vederla, sai come cercarla, e dove trovarla soprattutto.

Cosa canterebbe Rino, secondo te, oggi, ma con la sua poetica?

Ma Rino continua a dire, anche in questo periodo. È tra i cantautori, forse più attuali. Le parole dell’artista, intonate all’epoca, fanno più presa oggi che allora, o quanto meno continuano ad essere così. Se fosse qui, sarebbe un grande bene, perché potremmo andare a guardarlo dal vivo. Che dire? Le sue parole appartengono già a noi.

Da cantante ma anche da fan: perché secondo te le canzoni di Rino Gaetano sono così amate?

Rino è riconoscibile per il timbro di voce, per la personalità. Un grande gusto musicale. L’immortalità, è data dalla persona autentica che era. Quando un artista riesce a restare in auge non tradendosi, ha buone possibilità di essere ricordato per tantissimo tempo.

Nei suoi brani usava una retorica molto furba, veicolata da parole semplici. Secondo te, le sue
canzoni, danno ancora fastidio a qualcuno?

Per rispondere bisognerebbe fare un’analisi molto accurata dei brani. Testualmente, non saprei dire se ancora oggi i pezzi di Rino Gaetano possano dare fastidio a qualcuno. Per quanto sia immortale, è ancora molto attuale. E credo che, comunque, per il modo con cui faceva ironia e come leggeva tra le righe la società, assolutamente sì.

I suoi brani, apparentemente semplici, avevano un potere dirompente: quando ti accorgevi di loro era troppo tardi, ti avevano conquistato. È accaduto con tutte le sue canzoni, anche andando a Sanremo con Gianna, una delle canzoni meno sanremesi della storia del Festival. Secondo te un artista così oggi ci tornerebbe?

Negli ultimi cinque, sei anni è cambiato così tanto il modo di vedere e fare la musica e di veicolare i progetti musicali, che è difficile paragonarlo ad un periodo di qualche anno fa. Penso che, se avesse dovuto tradire il suo vero modo di essere, forse non l’avrebbe fatto. Se invece si fosse riuscito a trovare un modo per far essere, Rino, quello che effettivamente era, forse sarebbe tornato a Sanremo, anche per cambiare qualche regola.

E tu, hai messo in calendario questo viaggio nel tuo prossimo futuro?

Assolutamente sì! Io in realtà nel Sanremo 2015 con ancora la band al mio fianco, eravamo arrivati quasi all’ultimo step per Sanremo Giovani. Su più di 1000 partecipanti, eravamo nei 20. Sarei molto contento di farlo. Anzi, penso potrebbe essere un momento anche decisivo. Chiamatemi! (ride, rdn).

LEGGI ANCHE: Cito, Presidente FITA: «L’Olimpiade è la gara per eccellenza e rappresenta per ogni atleta la realizzazione del sogno più grande»