Edoardo Bennato, lo scarrafone con l’armonica amico di Battisti
Dall'infanzia napoletana ai primi flop, fino all'arrivo alla Numero Uno e poi l'amicizia con Battisti
È la fine degli anni Sessanta quando Edoardo Bennato si trasferisce a Milano. Napoletano d’origine, figlio di papà Carlo-impiegato all’Italsider e mamma Adele-casalinga, primo di tre fratelli. Fin da piccolissimi, i tre mettono in piedi un complesso, il Trio Bennato: Eugenio alla fisarmonica, Giorgio alle percussioni, Edoardo voce e chitarra. Era quasi inevitabile: sono cresciuti a pane e lezioni di fisarmonica (per volere di mamma Adele), con il mito del rock’n’roll sotto gli occhi e nelle orecchie (per via di tutti i soldati americani di stanza a Napoli).
Edoardo è un ragazzino che in qualche modo scopre il mondo, e solo grazie alla musica: “A 13 anni avevo già girato il mondo su una nave da crociera suonando coi miei fratelli. E ho sempre viaggiato”, ha raccontato in un’intervista al Corriere. In effetti, a viaggiare viaggia. Il tour di spettacoli in crociera con i fratelli è una miniera piena d’occasioni, in Sudamerica, in Venezuela, “ho conosciuto Salvador Allende, Fidel Castro”. Edoardo viaggia, ma non sbarca.
Era solo un sogno/Le ombre
Da Napoli, allora, si sposta a Milano. Ancora una volta è mamma Adele a metterci lo zampino: già che si trova lì a studiare architettura – gli mette la pulce nell’orecchio – ma perché non contatta una bella etichetta discografica? E lui, scarrafone diligente, contatta nientemeno che la Ricordi Dischi. Vincenzo Micocci ci vede qualcosa, in quel ragazzetto napoletano con un’aria sfacciata che tradisce la passione per il rock e il blues. Così se lo porta dietro, a Roma, dove insieme a Morricone e Carlo Rossi sta fondando la nuovissima etichetta Parade. E gli produce il primo 45 giri.
Lato A: Era solo un sogno. Lato B: Le ombre. La prima canzone gliel’assegnano per una botta di fortuna: con Bobby Solo non va in porto. La seconda, invece, diventerà il piccolo simbolo di un record tutto suo: nel pezzo Edoardo suona l’armonica. Non sottovalutate questo dettaglio solo perché ormai la porta al collo da oltre mezzo secolo: nel 1966 è in assoluto il primo italiano a suonare questo strumento. E infatti gliela mettono anche in copertina: chitarra a tracolla e armonica sospesa a mezz’aria, a un soffio della bocca. Ah, se ci aveva visto lungo mamma Adele, a insistere con quelle lezioni di musica…
La Numero Uno, Mogol e Battisti
C’è già qualcosa di Bennato, in quel primo 45 giri. Una certa napoletanità, influenzata però anche dai sound d’oltreoceano, arrivati via mare insieme alla guerra. C’è un po’ di Carosone, c’è un po’ di Paul Anka. Forse troppo. Il disco non va, è un insuccesso, un mezzo flop. Così Edoardo riparte dal via, e torna a Milano. Lì, per una serie di incontri e un fortunato effetto domino – iniziato con Mia Martini che gli presenta Herbert Pagani – si ritrova negli studi della Numero Uno. Dove molti artisti e autori della Ricordi si sono spostati nel ’69, sotto la guida del produttore Alessandro Colombini, di Mariano Rapetti e del figlio Giulio, che da una manciata di anni iniziava ad essere, per tutti, semplicemente Mogol.
Sono i primissimi progetti della Numero Uno. Battisti è ancora incastrato contrattualmente con la Ricordi, ma nel frattempo i Rapetti lanciano sul mercato i primi 45 giri degli artisti su cui puntano. Formula 3, l’Anonima Sound e quel ragazzo con l’armonica. Neppure fosse un quadro!
Quasi senza rendersene conto, Bennato entra nel loro entourage. E si piacciono, si annusano con una diffidenza che li accomuna, ma l’incastro funziona. Battisti non è ancora la figura mitica che diventerà, ma a distanza di anni Edoardo ricorda la prima volta che lo ha visto, e racconta al Corriere: “Mogol mi indica Lucio e mi fa: ‘Lo vedi questo? Il primo pezzo l’ho buttato nel wc, il secondo pure, al terzo ho iniziato a lavorarci'”.
Prima o poi
È proprio con Battisti che nasce un’amicizia spontanea. Dimenticando tutto quello che poi entrambi incarneranno, che Bennato sarà il primo italiano a riempire il San Siro e che diventerà uno dei più grandi rocker di sempre in Italia. Che Battisti diventerà l’essenza della canzone d’autore italiana, immortale come i veri geni, fermo nel tempo e in un’immagine che drammaticamente non invecchierà più. Dimenticando tutto questo, in quel periodo sono solo due giovani uomini. Due fuori sede trapiantati a Milano in cerca di musica. In comune hanno questo, la passione per il blues e quella per certi sound che molti altri ancora ignorano.
Lucio è già qualcuno. Edoardo ci prova, suona anche quattro strumenti insieme con l’aplomb di uno a cui non costa mezza fatica. E Lucio rimane conquistato: “Mi diceva: ‘Ao’, prima o poi verrà pure er momento tuo'”. Era vero.