Rosario Sorrentino, neurologo, divulgatore scientifico e scrittore. Nel 2008 ha pubblicato il saggio Panico. Una “bugia” del cervello che può rovinarci la vita e nel 2009 Rabbia. L’emozione che non sappiamo controllare. Entrambi scritti con Cinzia Tani per Mondadori. Sono poi seguiti: Attacco di panico, a un passo dalla libertà (per lo stesso editore) e La paura ci può salvare per Solferino.

Il direttore di VelvetMAG ha intervistato in esclusiva il dott. Sorrentino in occasione dell’uscita del suo ultimo libro INTERVISTA ESCLUSIVA A FREUD. Per parlare del padre della psicanalisi quando era un semplice neurologo, come l’autore di questa intervista; del perché abbia scelto, come lui stesso l’ha definita, un’ “intervista impossibile” per ricostruire i lati oscuri e la complessità dell’impatto della dottrina freudiana sulla vita lavorativa e relazionale di tutti noi.

Intervista al dott. Rosario Sorrentino

In primis vorrei partire con una curiosità tutta professionale, io sono una giornalista e mi capita spesso come ora di fare un’intervista, perché un neurologo ha scelto questa modalità “di indagine” che non gli è proprio consueta?

Inizialmente avevo pensato di scrivere a Freud una lettera aperta, ma poi viste le tante cose che avevo da dirgli ho ritenuto che l’intervista fosse la scelta più giusta. Volevo ricreare un’atmosfera un po’ surreale, e allo stesso tempo immaginifica, fondata sul botta e risposta. Questa modalità mi ha dato anche modo di andare incontro al gusto dei lettori che amano di più le contrapposizioni, i duelli, forse perché – ahimè – sono molto disabituati a leggere. Creare uno scontro, una contrapposizione netta è uno dei connotati propri dell’intervista, uno strumento assai adatto ad affrontare quegli argomenti che ritengo più divisivi.

Prima di addentrarci nel libro vorrei che ci spiegasse il sottotitolo “Da neurologo a neurologo”, se mi conferma la sensazione che volesse racchiudere una chiave di lettura di Freud diversa, non più ancorata solo alla sola vulgata dei sogni, che come scrive lei stesso sono quello che ha “acceso la curiosità del grande pubblico”?

In parte è vero, ma in realtà ho cercato di fare leva sul primo Freud, neurologo e ricercatore promettente. Volevo risvegliare il suo orgoglio e il suo spirito inziale. E’ un tentativo, appunto “da neurologo a neurologo”, e mi passi anche il concetto espresso dal detto popolare assai utilizzato, di parlare alla suocera perché la nuora intenda. Per continuare questa metafora parentale è chiaramente anche il tentativo rivolto ai suoi eredi, nipoti e pronipoti, per far capire loro che il confronto e il linguaggio alla base di questo, per quanto immaginifico confronto, avrebbe avuto dei momenti di scientificità. Questo deve fare la divulgazione, per abbattere luoghi comuni e pseudo verità.

Il passaggio che mi ha appassionato di più personalmente, complice anche il tributo al genio di Woody Allen, è la richiesta che arriva da Freud stesso: perché vogliono liquidarmi così? Fare di me un capro espiatorio?

Freud ha in maniera sapiente svolto il ruolo della vittima. Strategia che lo aiutato nei momenti in cui il mondo ha attaccato lui e i suoi seguaci freudiani, junghiani e lacaniani per le prove scientifiche di quella che lui ha considerato e presentato come una nuova scienza. Il suo prendere tempo, il suo sottrarsi dalle critiche, ha portato ad etichettare il suo pensiero invece alla stregua di una pseudo scienza. Nella mia opinione la madre di tutte le pseudo scienze. La psicoanalisi vorrebbe apparire come in possesso di quei canoni e requisiti scientifici, che senza scomodare Popper, possiamo definire come legati all’ostentazione e alla sperimentazione. A mio giudizio voleva apparire come una scienza, anche senza avere nulla di scientifico. Era fondata su una esasperata soggettività e con un garante buono per tutti, lo stesso Freud. Una sorta di straordinario Ipse dixit.

Nella parte conclusiva del suo vis a vis con Freud, in cui ha cercato di autodefinirsi come medico e individuo, è emerso il tema della Paura che insieme al Panico ha interessato anche parte della sua produzione precedente. Come è cambiato il panico dopo questa pandemia?

Abbiamo vissuto, un po’ come accaduto per l’11 settembre, il fattore P, sia il Panico che la Paura, e questa volta in maniera davvero globale e diffusa. Abbiamo scoperto che è bastato un piccolo granello di sabbia per inceppare il motore delle nostre certezze. Ci siamo riscoperti tutti più vulnerabili e più fragili. Abbiamo perso ancora una volta l’occasione di ribaltare il paradigma della paura per passare ad una paura non dico sana, ma almeno cosciente e consapevole. Così diventa una straordinaria risorsa che ci trasferisce lucidità, responsabilità, autodisciplina.

Il problema vero è che la paura ci viene rappresentata in tutte le sue forma più ‘pornografiche’, negative, perché fa comodo ad una parte alla Chiesa, ad una parte dei mass media, ai mercati. Tutto quello che ci rende più vulnerabili e più fragili ci trasforma in persone più arrendevoli e propense a delegare, anche il nostro senso di insicurezza e, perché no, di emancipazione a qualcun altro.

Tornando alla Paura, che nel titolo di un altro suo volume precedente diviene La paura ci può salvare. Ci può spiegare brevemente questo concetto così controcorrente in un momento storico dove passa il concetto che bisogna tentare tutto senza aver paura di nulla e senza pensarci? Quali sono le paure sane, secondo lei?

Bisogna avere paura, come ho detto, una paura cosciente e consapevole. Un anticorpo per la paura è non negarla, come nel libro quando ho detto a Freud: “io sono un codardo coraggioso”. Io utilizzo la paura per quello che è una straordinaria risorsa, perché mi rende più responsabile, più cosciente. Dire “io non ho paura” è ipocrita, perché ce la stiamo facendo addosso. Continuare a dire che non abbiamo paura significa non mettersi in connessione con gli altri e con il mondo. La paura ci sostiene nelle nostre battaglie evolutive e lo fa dall’homo sapiens sapiens.

Per l’ultima domanda torno quasi all’inizio della sua, di intervista, e le leggo un breve passo che mi fa pensare al periodo che stiamo vivendo: “La scienza le produce (le prove della scientificità) ogni volta che fa una scoperta che incide sulla vita delle persone. Soprattutto quando c’è in ballo il benessere fisico e mentale. Ed è un argine per il ciarlatano, l’affabulatore di turno. La comunità scientifica non può permettersi di conferire per simpatia o motivi diciamo romantici, la patente di scientificità al primo che passa”. Cosa mi dice della comunicazione scientifica durante la pandemia da Covid 19?

Le dico che purtroppo manca il giornalismo scientifico nel nostro Paese. Che deve essere capace di fare da trade union tra la Società e la Scienza. Quello che è accaduto durante il Covid ha mostrato la distanza esistente. E se devo essere onesto, molta responsabilità di questo gap è della Scienza. Per non aver tentato una sorta di operazione simpatia. Le altre responsabilità di questa condizione sono della Chiesa, della Politica e di una parte degli intellettuali ‘radical chic’ che vivono con sofferenza la Scienza stessa. Perché Scienza vuole dire dati, numeri, ricerche, regole su cui ragionare. Il carattere epistemologico impedisce che si proceda ‘per simpatia’.

Si procede verificando qualunque tipo di teoria  – per tornare al libro, quello che è mancato alla psicoanalisi, e manca ancora, è stata proprio la verifica. La missione della Scienza è di essere sempre interessata a quello che può migliorare la qualità della vita, ma fallisce se scende a compromessi o propaganda assurde teorie, specie se spalleggiate da testimonial assertivi. Ci vogliono regole per evitare che quello che potremmo definire lo sciamano di turno affermi qualcosa che venga ritenuto vero. Le dico di più: la scienza deve diventare Istituzione tra le istituzioni, deve diventare cultura di massa, per far capire davvero cosa fanno gli scienziati, i ricercatori, i clinici.

Il libro è stato presentato a Roma, a Capalbio (sono le foto a corredo di questa intervista), quali sono le prossime tappe?

Ci saranno di sicuro altre presentazioni, ma il progetto è ancora più ambizioso: vogliamo portare questo dialogo, adattato in forma di copione, in teatro, dove io interpreto me stesso, Rosario Sorrentino, e Giancarlo Leone sarà ancora Sigmund Freud, come nelle presentazioni avvenute fino ad oggi. Al pubblico questa modalità diversa è piaciuta molto.

Sta già pensando ad un prossimo volume?

In realtà ho in mente una tematica, uno spunto, legato agli eretici, credo che bisognerebbe ascoltarli un po’ di più. Perché sarebbe utile non cedere sempre all’omologazione e al conformismo. Gli eretici non sono molto amati, e non è detto che il mio prossimo lavoro non sia proprio su un eretico a cui tengo molto: Giordano Bruno. Banalizzando e usando un altro detto, si potrebbe dire che è uno che ci ha visto lungo. La verità è che gli eretici sono affascinanti perché sono fastidiosi, perché offrono uno spaccato della realtà diverso da ascoltare. Secondo me ascoltandoli meglio modereremmo la nostra etica basata sull’individualismo e sul narcisismo per cercare di mirare meno al profitto, al rendimento e alla competizione. E magari badare di più alla qualità del modesto lavoro che facciamo ogni giorno.

LEGGI ANCHE: Emanuele Trevi, “Due Vite”: perché ha vinto il Premio Strega 2021