Quando due grandi nomi del cinema uniscono le proprie forze, il risultato non può passare in sordina. Se le personalità coinvolte sono Wim Wenders e Michelangelo Antonioni, a maggior ragione, il progetto è destinato a diventare un cult intramontabile. Autori peculiari, il primo tra i maggiori esponenti del Nuovo Cinema Tedesco e il secondo formatosi a cavallo tra Neorealismo e Anni Sessanta, hanno influenzato in maniera indelebile il cinema del secolo scorso. In occasione del compleanno di Wim Wenders, abbiamo scelto di rendergli omaggio ripercorrendo Al di là delle nuvole che lo unì a Michelangelo Antonioni e, in senso lato, al cinema nostrano.

Il nome di Wim Wenders si aggiunge a quello di Werner Herzog, Rainer Werner Fassbinder, Edgar Reitz e Alexander Kluge nel novero dei rappresentanti del Nuovo Cinema Tedesco. Una élite ristretta che ha riportato in auge il cinema tedesco, grazie anche al contributo fondamentale che Ernst Wilhelm Wenders, conosciuto semplicemente come Wim Wenders, ha aggiunto. Alla riscoperta di realtà estranee, grazie ai suoi peculiari documentari, il regista ci ha incantati anche con lungometraggi del calibro di Paris, Texas, Il cielo sopra Berlino, Alice nelle città e Fino alla fine del mondo. Tra gli spettatori, tuttavia, ce n’è stato uno in particolare che sembrerebbe rimasto affascinato da Wenders: proprio Michelangelo Antonioni.

Come accendere una candela in una stanza piena di luce

Originariamente a capo di Al di la delle nuvole in autonomia, il regista ferrarese dovette accettare di essere affiancato da qualcuno. Le società di produzione, infatti, a seguito dell’ictus che nel 1985 lo aveva colpito, pretesero che un altro regista, pronto ad intervenire qualora la situazione lo richiedesse. E fu proprio in quel frangente che Antonioni chiese espressamente di Wim Wenders. Il film, diviso in quattro episodi, si ispira al libro del regista ferrarese Quel bowling sul Tevere e comprende un cast internazionale composto da John Malkovich, Fanny Ardant, Kim Rossi Stuart, Jean Reno, Sophie Marceau, Irène Jacob, Marcello Mastroianni, Peter Weller e Inés Sastre.

Quattro storie che costituiscono altrettante specifiche variazioni sul tema dell’amore. Dalla passione disattesa di due giovani a Ferrara, alla confessione di un omicidio da parte di una ragazza a Portofino. Da un rapporto matrimoniale controverso, soprattutto a partire dalla comparsa di una giovane donna in un bistrot parigino, alla tensione tra sacro e profano nell’ultima storia che ha luogo ad Aix-en-Provence. L’amore sfaccettato, complesso come Wim Wenders ha dimostrato di saper raccontare nella sua carriera. Può scoppiare, risplendere più di qualunque altra cosa, più di una “candela in una stanza piena di luce“. Ma, al contempo, può anche essere insignificante, come la medesima candela.

Wim Wenders, la poetica della desolazione

Poliedrico, sfaccettato, Wim Wenders è dunque uno dei registi più peculiari cui il cinema abbia mai avuto modo di assistere. Alla complessità e all’oscurità tedesca, infatti, ha saputo coniugare la desolazione americana. E, al contempo, tutte le relazioni interconnesse nel tessuto sociale. La malinconia, il senso di colpa trovano in lui terreno fertile, mescolandosi con le diverse accezioni dell’amore. Proprio la desolazione esterna diventa, per il regista, un tutt’uno con l’interiorità del personaggio. La Berlino deserta ne Il cielo sopra Berlino, in cui le macerie e il muro sono le uniche eredità post-belliche. O le strade deserte in Paris, Texas.

L’ambiente, spogliato di ogni artificio, diventa un tutt’uno con i protagonisti. Ed è attraverso ciò che li circonda che i personaggi acquisiscono di significato, attraverso un processo di fusione con l’esterno. Ed è questa continua tensione, nel ricercare un senso, che costituisce una ricerca, in fin dei conti del cinema in quanto tale, liberato da ogni finalità narrativa. In questo, Wim Wenders è senza dubbio uno dei maestri indiscussi.