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Gli occhi del mondo sull’Afghanistan, Usa, Europa e Cina: le posizioni in campo

Joe Biden accusato di una vergognosa ritirata; Boris Johnson è rassegnato mentre l'Ue si riunisce. E la Cina si candida a potenza arbitro dei nuovi equilibri a Kabul

L’attenzione di tutto il mondo è concentrata sull’Afghanistan, riconquistato quasi senza colpo ferire dai talebani integralisti dopo vent’anni. Rispetto a due decenni fa, però, i governanti delle potenze occidentali devono fare i conti con i social media. Vale a dire con i video, girati dai telefonini, di afghani che si aggrappano a un aereo statunitense al decollo pur di fuggire e precipitano nel vuoto (al centro nella foto). Ma anche con le foto di chi cancella poster raffiguranti donne dalle vetrine dei negozi di Kabul. Oppure con l’appello di una ragazza in lacrime: “Nessuno si interessa a noi, scompariremo dalla storia“.

Afghanistan, immagine del fallimento

Negli Stati Uniti ha avuto un effetto devastante la foto dell’elicottero sopra l’ambasciata a Kabul, nei momenti dell’evacuazione del personale. Un’immagine in tutto e per tutto simile alla celebre fotografia della fuga a pugni e spintoni dal tetto dell’ambasciata Usa a Saigon, Vietnam, nel 1975. Cosa è cambiato? Molto, tutto. O forse nulla. Di certo l’effetto simbolico-paradigmatico è devastante. Gli Stati Uniti trasmettono di sé l’immagine della superpotenza in fuga, sconfitta, uscita con la coda fra le gambe. E per di più a meno di un mese dal 20° anniversario degli attacchi dell’11 Settembre.

Il silenzio di Biden

Joe Biden parlerà “presto” sull’Afghanistan, annuncia ora il suo consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan in una intervista alla Abc. Ma nelle ultime concitate ore di Kabul non lo ha fatto. Adesso invece il Presidente sarebbe “preparato a guidare la comunità internazionale sui diritti umani in quel Paese (l’Afghanistan, ndr.).” In questo momento è oggettivamente difficile crederci. E negli Usa la stampa sta voltando le spalle a Biden, additato quale responsabile di una “ritirata vergognosa“. Persino Donald Trump ne ha approfittato per accusare il suo successore alla Casa Bianca di aver fallito.

Johnson: “Sapevo che finiva così

Dal canto suo il premier britannico Boris Johnson ha ammesso che la decisione degli Stati Uniti di ritirarsi dal Paese ha “accelerato le cose” in Afghanistan. Ma ha aggiunto che “sapevamo da molto tempo che sarebbe andata così“. Un’affermazione che può apparire molto inquietante, considerato che le potenze occidentali e la Nato sono a Kabul da due decenni e che molto si è fatto per modernizzare e ‘democratizzare’ il paese. Ma alla prova dell’offensiva talebana la politica afgana e le forze regolari addestrate dall’occidente si sono squagliate come neve al sole.

Kabul Saigon
L’elicottero sull’ambasciata Usa a Kabul (sin.) e a Saigon nel 1975 (ds.)

Europa, vertice sull’Afghanistan

E l’Unione europea che fa? Si riunisce (una cosa che sa fare bene). Su Twitter l’alto rappresentante della politica estera della Ue, Josep Borrell, ha “deciso di convocare una riunione virtuale straordinaria dei ministri degli Esteri della Ue domani pomeriggio, per una prima valutazione“. “Abbiamo bisogno di un Consiglio europeo straordinario! – ha sottolineato l’ex negoziatore della Ue per la Brexit e più volte commissario europeo Michel Barnier su Twitter  – Tutti i leader europei devono imparare insieme le lezioni dell’attuale tragedia in Afghanistan. Non è solo un fallimento americano“.

Draghi: “Al lavoro con la Ue

L’Italia è al lavoro con i partner europei per una soluzione della crisi, che tuteli i diritti umani, e in particolare quelli delle donne” dichiara Palazzo Chigi in una nota. “Il Presidente del Consiglio Mario Draghi è in continuo contatto con il Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e il Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio” e “ringrazia le forze armate per le operazioni che stanno permettendo di riportare in Italia i nostri concittadini di base in Afghanistan“.

Cina: “Amici dell’Afghanistan

La Cina è di tutt’altro avviso. Il Dragone, la grande potenza emergente nel mondo, è disposta a sviluppare “relazioni amichevoli” con i talebani. “La Cina rispetta il diritto del popolo afghano di determinare in modo indipendente il proprio destino e futuro. Ed è disposta a continuare a sviluppare relazioni amichevoli e di cooperazione“, ha detto la portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying. Secondo la Cina, la situazione in Afghanistan “ha subito grandi cambiamenti e rispettiamo desideri e scelte del popolo afghano“. La guerra in Afghanistan “dura da oltre 40 anni. Fermarla e raggiungere la pace non è solo la voce unanime degli oltre 30 milioni di afghani, ma anche l’aspettativa comune di comunità internazionale e Paesi regionali“.

Un futuro molto incerto

Afghanistan tomba degli eserciti, si è detto. E sembra proprio che sia così. Né gli inglesi per due volte nell’Ottocento, né i russi negli anni ’80 del Novecento, né la coalizione internazionale guidata dagli Usa e dalla Nato negli anni Duemila hanno ottenuto il controllo del paese. L’hanno invaso e hanno scatenato guerre perché cuore geopolitico di interscambi fra Est e Ovest, Nord e Sud del pianeta. Gasdotti, oleodotti, merci, interessi politici e diplomatici passano di lì. Chi controlla l’Afghanistan possiede potenzialmente un impero. Ma alla fine le grandi potenze del mondo sono uscite con le ossa rotte dalle gole, dalle montagne, dal deserto e dai villaggi di una nazione lacerata e indomita al tempo stesso. Poche ore prima di morire, lo scorso 13 agosto, il fondatore di Emergency, Gino Strada, ha scritto che il paese è di nuovo sull’orlo della guerra civile. Tutto torna indietro come in un eterno gioco dell’oca. E se anche il Papa ha fatto immediatamente un appello alla pace e al dialogo la speranza non muore. Ma la cruda realtà, adesso, è un’altra.

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Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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