Cinema

Il potere di Tim Burton: quando la paura diventa magia

Visionario ed eclettico, il regista statunitense compie oggi 63 anni

Ho capito di aver creato con i miei film un club ideale per gli eterni ragazzi che amano i falliti, la libertà, i marziani e le donne che ti seguono con una valigia in mano.” – i reietti, gli esclusi e quel pizzico di onirismo condito da atmosfere gotiche trovano in Tim Burton il maggiore dei sostenitori. Il regista statunitense, tra gli autori più fantasiosi del cinema, compie oggi 63 anni, 36 dei quali trascorsi dietro la macchina da presa (la cifra sale se si considerano anche i cortometraggi, il primo dei quali risale esattamente a mezzo secolo fa).

Quando si dice “una vita spesa per il cinema“, infatti, con Timothy Walter “Tim” Burton la frase acquisisce un significato sempre più letterale. Regista, produttore, sceneggiatore, animatore, ha realizzato The Island of Doctor Agor, il suo primo corto, all’età di 13 anni. In una storia che mischia fantasia, orrore e animazione, aveva già gettato le basi per la sua poetica. Già adolescente, dunque, Burton aveva già la sua cifra stilistica e le idee chiare: era pronto per lasciare il segno.

Tim Burton: tra Edgar Allan Poe, Mario Bava e Federico Fellini

Tim Burton è nato il 25 agosto 1958 a Burbank, in California, una città non molto distante da Hollywood e dai depositi della Columbia, della Disney e della Warner. Insomma, il suo destino era già stato scritto. La sua infanzia è caratterizzata da un rapporto difficile con i propri genitori, tant’è che all’età di dodici anni si ritroverà a vivere con i nonni. Adolescente solitario, per sua stessa ammissione non ha mai sofferto la solitudine, che anzi lo ha spinto a fare appello alla propria fantasia. A riguardo, ha difatti confessato: “…Certo, non avevo molti amici; ma potevo farne a meno, perché in giro c’erano abbastanza film interessanti e ogni giorno era possibile vedere qualcosa di nuovo, qualcosa che in qualche modo mi parlava…“.

Fin dalla prima giovinezza ha mosso i suoi passi verso il grande schermo, intuendo che fosse la sua strada. A sostegno dei suoi peculiari lavori di animazione, Tim Burton era in possesso di una profonda conoscenza non solo del cinema e dei suoi pilastri, costituiti soprattutto da nomi del cinema italiano, ma anche della letteratura. Influenzato dall’onirismo di Federico Fellini, dall’horror gotico – soprattutto del primo periodo – di Mario Bava così come anche dai personaggi di Godzilla, del mostro Frankenstein e dalla figura di Edgar Allan Poe, il regista cominciò a sperimentare con i propri cortometraggi.

In merito ai registi nostrani ha inoltre ammesso: “Guardare i loro film, sia quelli di Fellini che quelli di Bava, provoca in me uno stato di sogno. Sebbene siano molto diversi tra loro, mi danno entrambi una condizione onirica molto viva.” Ma è indubbiamente Allan Poe, l’autore maledetto, tra le personalità che più di tutte lo hanno condizionato. Proprio a partire dalla poesia Il corvo, infatti, Tim Burton sviluppa il soggetto che sarà alla base del cortometraggio Vincent.

L’influenza dell’Espressionismo tedesco per Tim Burton

Nel corso degli anni ’70, Tim Burton dà prova del proprio talento, divenendo uno degli animatori Disney e contribuendo alla realizzazione del film d’animazione Red e Toby – Nemiciamici. Insoddisfatto della strada intrapresa, lontana dalla sua idea creativa, il regista continua a realizzare i propri cortometraggi. È nel 1982 che il sopracitato Vincent vede la luce. Girato in bianco e nero, oltre a richiamare le atmosfere sfacciatamente gotiche suscitate da Edgar Allan Poe, denuncia anche un’altra grandissima influenza per il regista americano: quella dell’Espressionismo tedesco.

Sotto la corrente cinematografica, che rientra nel campo delle avanguardie datate Anni ’20, rientrano capolavori del calibro di Metropolis (Fritz Lang, 1927), Nosferatu (Friedrich Wilhelm Murnau, 1922) e Il gabinetto del dottor Caligari (Robert Wiene, 1920). Gli spazi reali, la prospettiva, le storie di tutti giorni avevano lasciato spazio a una bidimensionalità irreale, a scenografie irreali e a vicende chi si rifacevano a sogni, deliri e visioni. L’espressione confusa di una società, che affrontava il primo dopoguerra, trovava ampio respiro nell’immaginazione, esautorata di ogni carica positiva. Erano i mostri, infatti, a dominare l’inconscio collettivo dell’epoca: e Tim Burton li riportò in vita nei propri film.

L’approdo al lungometraggio, il sodalizio con Johnny Depp

Il 1985 segnò l’approdo del regista al lungometraggio con Pee-wee’s Big Adventure, a cui seguì nel 1988 Beetlejuice – Spiritello porcello. Quest’ultimo, con Michael Keaton, Alec Baldwin e Geena Davis, segna inoltre uno dei primi incontri che hanno segnato per sempre la sua carriera: quello con una giovane Winona Ryder. La commedia, che mescolava lo stile gotico con il fantastico, l’onirico con il reale, racchiudeva Burton all’ennesima potenza. Se Beetlejuice riuscì a portarlo all’attenzione del grande pubblico, a farlo diventare uno dei registi più importanti degli anni Novanta fu il cult Edward mani di forbice.

Oltre a riconfermare la sua collaborazione con la Ryder, l’anti-diva di Hollywood per eccellenza, il film segnò l’inizio di un altro, proficuo, sodalizio: Johnny Depp. Nel ruolo di una strana creatura, con lame al posto delle mani – una sorta di Freddy Krueger per bambini – il giovane Edward è un reietto, rifiutato dalla società, che cerca solo l’amore. Alla fine, riuscirà a trovarlo nella giovane Kim (Ryder). Oltre a dirigere due capitoli di Batman – in una gotica e favolistica Gotham City – Tim Burton si ritrovò a capo di diversi progetti. Nel 1999 si ritrovò a dirigere un’altra anti-diva, Christina Ricci, ne Il mistero di Sleepy Hollow. Grazie al regista, l’horror assunse man mano, una nuova forma, più ironica e favolistica. Al contempo, invece, la favola si fece sempre più cupa.

Le muse di Tim Burton Winona Ryder e Helena Bonham Carter

Il 2001, l’autore, fu un altro anno decisivo. Dopo aver individuato in Johnny Depp il suo attore feticcio – che nel frattempo è apparso in Ed Wood e Il mistero di Sleepy Hollow – individuò una nuova musa. Si trattava di Helena Bonham Carter. I due inaugurarono la collaborazione con Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie, proseguendola con Big Fish – Le storie di una vita incredibile nel 2003. Al contempo, tuttavia, il loro sodalizio si confermò anche sul lato privato. Tim Burton e l’attrice britannica, infatti, sono stati legati dal 2001 al 2014 e dalla loro unione sono nati due figli. Insieme a Johnny Depp, il regista l’interprete hanno dato luogo a un curioso trio che li ha visti collaborare in diverse occasioni. Nel 2005, infatti, il “trio” inaugurò la “formazione” con La fabbrica di cioccolato, proseguendola con La sposa cadavere.

Nel 2009 riconfermarono la collaborazione con Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street, un musical cupo a tinte dichiaratamente horror – come, d’altronde, Tim Burton – ci ha abituati. Il “trio” ha dato luogo, inoltre, a Alice in Wonderland nel 2010 e Dark Shadows nel 2012. In loro, dunque, Burton aveva trovato i volti ideali per le sue fantasmagorie “gotiche”. In lui, invece, i due interpreti avevano trovato qualcuno che sapesse gestire il loro talento e la loro personalità peculiari. Un sognatore, in fin dei conti, che ha saputo andare oltre regalandoci un mondo cupo. Ma solo in apparenza.

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Lorenzo Cosimi

Cinema e tv

Romano, dopo la laurea triennale in Dams presso l’Università degli Studi Roma Tre, si è poi specializzato in Media, comunicazione digitale e giornalismo alla Sapienza. Ha conseguito il titolo con lode, grazie a una tesi in Teorie del cinema e dell’audiovisivo sulle diverse modalità rappresentative di serial killer realmente esistiti. Appassionato di cinema, con una predilezione per l’horror nelle sue molteplici sfaccettature, è alla ricerca costante di film e serie tv da aggiungere all’interminabile lista dei “must”. Si dedica alla produzione seriale televisiva con incursioni sui social.

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