La sua Santo Stefano Belbo lo ricorda anche così: con tre nuove panchine a forma di libro che riportano citazioni tratte dalle sue opere. Cesare Pavese ha immortalato le Langhe, elevandole a luogo letterario e questo scrigno del Piemonte, che è patrimonio dell’Umanità Unesco, certo non dimentica il suo mentore. Tanto più oggi 27 agosto, il giorno del 71° anniversario della morte di Pavese, suicida a 42 anni nel 1950. Resta uno dei più grandi scrittori e intellettuali italiani del Novecento: romanziere, poeta, saggista, traduttore, sceneggiatore. Nonché protagonista di salotti letterari che hanno fatto la storia dell’editoria italiana come il nucleo di giovani da cui nacque la Casa Einaudi.
Pavese, Torino e l’America
“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via – scriveva ne La luna e i falò a proposito di Santo Stefano Belbo – Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.” E lui se ne andò. A Torino, innanzitutto. Poi, col cuore, verso la letteratura americana. Nel 1932 si pubblica per la prima volta in Italia il Moby Dick di Herman Melville: il traduttore è lui, Cesare. Aveva appena 24 anni e due anni prima si era laureto con una tesi sul grande poeta Walt Whitman. Gli dettero un compenso di mille lire. La passione per la letteratura statunitense lo avvicinerà al mondo dell’editoria. Fino a consacrarlo direttore editoriale di Einaudi.
Il carcere e il confino
Nel 1935, in pieno fascismo, subisce l’esperienza del carcere e del confino. Lo arrestano per alcune lettere partite da casa sua e indirizzate a Battistina Pizzardo, un’attivista comunista con la quale avrà una relazione sentimentale. Il 1 maggio 1938, ricorda la Fondazione Cesare Pavese sul suo blog, lo scrittore diventa ufficialmente redattore Einaudi. Lavora a fianco di Giulio Einaudi, Leone Ginzburg, Giaime Pintor, Carlo Muscetta, Mario Alicata e altri collaboratori, tra cui Norberto Bobbio, Elio Vittorini e Natalia Ginzburg. È la crème di Torino e dell’Italia intellettuale e antifascista.
Pavese indomito e infaticabile
“Per molti anni non volle sottomettersi a orari d’ufficio, né accettare una professione definita“, fu la testimonianza di Natalia Ginzburg a suo riguardo. “Ma quando finalmente acconsentì a sedere a un tavolo divenne un lavoratore infaticabile e meticoloso. Mangiava poco e non dormiva mai.” Un episodio è entrato nelle leggenda: il giorno dopo il bombardamento di Torino, nel 1942, Pavese si recò in ufficio come ogni mattina, tolse i calcinacci dalla scrivania e si mise al lavoro. Tra i legami più significativi e importanti emerge quello con l’allora giovane studentessa Fernanda Pivano. Nascerà una lunga amicizia che porterà la Pivano a tradurre e pubblicare per Einaudi, sotto la guida di Pavese, l’Antologia di Spoon River nel 1943.
L’amore per Constance Dowling
Risale invece agli ultimi anni di attività, a partire dal 1948, sottolinea la Fondazione Pavese, l’incontro con un giovane che lo scrittore prende sotto la sua tutela. Si tratta di Italo Calvino. Il quale rimarrà per sempre riconoscente al suo maestro. In preda a un profondo disagio esistenziale, tormentato dalla recente delusione amorosa con Constance Dowling, Cesare Pavese si tolse la vita in una camera dell’Albergo Roma a Torino. Pochi mesi prima, nel giugno 1950, aveva vinto il Premio Strega con La bella estate. Alla Dowling, la cui sorella, Doris, aveva recitato in Riso amaro, con Vittorio Gassman e Raf Vallone, aveva dedicato i versi di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
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