“Per quattro anni, quando ero ancora una bambina, ho subito abusi sessuali“. Dolores O’Riordan lo dichiarò così al Sunday Independent, rilasciando un’intensa e ormai indimenticabile intervista quando era ancora in vita. “Ero solo una bambina“. Aveva 8 anni.
C’è un brano, uno dei più belli dei Cranberries, Dreams, che si trascina dentro tanto del dolore infantile di Dolores. All’epoca guardava con timore e desiderio alla vita che finalmente stava riuscendo a cambiare, nel tentativo di allontanare i flashback legati alle molestie mentre si avvicinava ad un altro uomo, ad un amore vero. Cantava “I want more / Voglio di più”, ma chiedeva anche delicatezza e comprensione: “You have my heart, so don’t hurt me”. Hai il mio cuore, perciò non ferirmi.
Esiste gente al mondo (ma davvero poca) che non ha amato la voce di Dolores O’Riordan: francamente a me sembra una follia. E in effetti la sua voce piaceva anche a lei, particolarmente fiera d’essere inconfondibile e diversa da chiunque altra. Non capiva bene da dove le provenisse, si limitava a chiudere gli occhi e cantare. Usciva fuori un suono unico, che rievocava immaginari legati alla sua terra, l’Irlanda, e un certo sentimentalismo incupito degli anni Novanta. Tra virtuosismi elegantissimi e quell’abilità di scattare improvvisamente al falsetto, la voce di Dolores sembra ancora oggi figlia della sua intera storia. Una storia lunga e complessa, nonostante il paradosso d’essersi interrotta prematuramente, dopo soli 46 anni.
Gli abusi, la Chiesa e l’esordio nei Cranberries
Per Dolores O’Riordan tutto è iniziato quando si è avvicinata alla Chiesa, che le ha spalancato direttamente le porte della musica. È lì che ha iniziato a sperimentare i canti gregoriani e a suonare l’organo, primo imprinting del suo futuro percorso artistico. Ma il legame con la fede è stato anche un passaggio inevitabile per curare certe ferite: quando molti anni dopo, ormai famosa, Dolores confessò tutti gli abusi sessuali subiti per anni da bambina, scendendo in dettagli strazianti anche solo da leggere, quella ricerca di pace, comprensione ed empatia sembrò spiegare tutto il suo bisogno di sopravvivenza. “Per me [la Chiesa] è sempre stata un aspetto positivo della mia vita”, raccontò al Daily Mail. Inseguire la pace è stato probabilmente il più grande obiettivo della vita di Dolores Mary Eileen O’Riordan, che già nel nome portava con sé la responsabilità di un omaggio alla Madonna dei Sette Dolori, Maria.
L’esordio nei Cranberries, arrivato nel 1990, diede il via a una battaglia interiore delicatissima e durata fino all’ultimo, sempre combattuta tra l’amore per la musica e il terrore di essere fagocitata dai fumi della celebrità. Annoiata dai tour, riluttante di fronte all’obbligo di mondanità che affligge il mondo delle star, spaventata dalla possibilità di ottenere tutto e troppo presto: Dolores avrebbe voluto essere una cantante, non una rockstar. “Quando suoni nei pub irlandesi la gente non ti guarda mentre canti – raccontò all’Independent. “La musica è fatta per essere ascoltata, non guardata. Ecco perché io indosso questi enormi abiti quando sono sul palco con i Cranberries”.
Ma inevitabilmente gli occhi erano tutti sulla band irlandese e sulla sua cantante, subentrata nel gruppo in sostituzione di uno dei fondatori, Niall Quinn. Dai piccoli live all’enorme successo il passo fu breve: la consacrazione con No Need to Argue, secondo album del 1994, fu praticamente universale, grazie a brani come Zombie (canzone-manifesto del gruppo) e Ode To My Family. Un clamore generale che portò a riscoprire anche due vere perle della loro discografia, Dreams e Linger, già contenute nell’album precedente Everybody Else Is Doing It.
Dolores O’Riordan, sing me a love song
È triste e irragionevole accettare che Dolores abbia scongiurato ed evitato per tutta la carriera quella ‘fine da rockstar‘ che, nonostante tutto, è stata anche l’epilogo della sua vita. Certi mostri (che lei definiva “zone d’ombra”) hanno bisogno di tempo e spazio per essere sconfitti. Due cose che la fama non concede, neanche se provi a dominarla. Così non ha mai nascosto la depressione, l’esaurimento nervoso, l’anoressia, le allucinazioni e lo stato paranoico in cui era sprofondata per aver sacrificato Dolores Mary Eileen a Dolores O’Riordan la star.
Tornano alla mente le parole crude di Antonin Artaud: “Nessuno ha mai scritto, dipinto, scolpito, modellato, costruito o inventato se non per uscire letteralmente dall’inferno“. E magari per fare un salto indietro nel tempo e riscattarsi dal passato, per avere l’occasione concreta di amare se stessi. Il più grande rimpianto di Dolores O’Riordan era proprio quello di non riuscire ad amarsi. L’infanzia che era stata costretta a vivere non glielo avrebbe mai permesso.
In Ode To My Family si chiedeva senza sosta: “Mi vedi? Ti piaccio? A qualcuno importa?“. In When You’re Gone parlava alla persona che aveva perso, ennesima ancora di salvezza sfumata via: “Nella mia mente fa tutto schifo / Nella notte potrei essere sola, potrei essere indifesa / E durante il giorno non c’è niente di semplice”. In Stupid gettava ogni maschera: “Non posso cancellare questi ricordi. Siediti accanto a me”.
E trovava il coraggio di avanzare l’unica richiesta possibile: “Sing me a love song”. Cantami una canzone d’amore. Rimani qui per un po’.
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