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Don Puglisi che sottraeva i giovani alla mafia. Ma quell’asilo ancora non nasce

Il progetto c'è, i finanziamenti pure. Ma nel 28° anniversario della morte del parroco di Brancaccio, assassinato dalla mafia, resta 'congelato' nei cassetti del Comune di Palermo l'ultimo sogno dell'uomo proclamato Beato da Papa Francesco

Il 15 settembre di 28 anni fa don Giuseppe ‘Pino’ Puglisi compie 56 anni. Sta rientrando a casa, nel quartiere Brancaccio di Palermo, di cui è parroco, a bordo della sua Fiat Uno bianca. Sono le 20:40. Sceso dall’auto sta per aprire il portone quando qualcuno lo chiama. Lui si volta. È una trappola. Un killer spunta alle sue spalle e gli spara un colpo di pistola alla nuca. Un’esecuzione. Don Pino deve morire, nel giorno del suo compleanno. Così vogliono i boss che controllano il quartiere, dove ancora oggi esiste la mafia.

Don Puglisi, un sorriso e le ultime parole

Prima di morire il sacerdote sorride ai suoi assassini. “Me lo aspettavo sono le sue ultime parole, secondo quanto riferirà anni dopo il killer, membro di un commando al soldo dei boss Graviano. Sono passati quasi tre decenni da quel 15 settembre 1993 e Brancaccio non è più quella di un tempo. Neppure Palermo è più la stessa: il capoluogo siciliano è spesso sinonimo di lotta alla mafia senza quartiere. Anche in nome di padre Giuseppe Puglisi, proclamato Beato dalla Chiesa cattolica nel 2013.

Educare i piccoli e ‘rubarli’ al crimine

Eppure ancora non decolla l’ultimo sogno di don Pino: un asilo nido per i bimbi di Brancaccio. Il parroco aveva fatto in tempo ad aprire il Centro di accoglienza Padre Nostro, che nel corso di 28 anni ha fatto fare tanta strada al quartiere. Per iniziativa del Centro, là dove la socialità era azzerata oggi esistono campi sportivi, teatri, luoghi di aggregazione, un centro anti violenza, la Casa del Figliol Prodigo per i detenuti in permesso premio. Ma non l’asilo nido, simbolo stesso della lotta alla mafia da parte di don Pino: educare i giovani, fin dalla più tenera età ad amare la vita e la giustizia. Non la morte, i soldi, la violenza e il potere.

Uccidete don Puglisi un’altra volta

Si vuole uccidere un’altra volta padre Pino Puglisi” ha dichiarato al quotidiano Avvenire Maurizio Artale, responsabile del Centro Padre Nostro. “Affossare il suo asilo significa offrire un assist alla mafia e dire che Brancaccio deve restare così com’è.” “Come aveva intuito padre Puglisi, per demolire lo zoccolo duro che alimenta la mentalità mafiosa occorre guardare ai più piccoli“. Nel 2018 Papa Francesco si era recato a Palermo per i 25 anni dall’assassinio di don Puglisi. E aveva benedetto l’iniziativa dell’asilo. Lo Stato ha stanziato 3 milioni di euro, spiega ancora Avvenire, ma i permessi al progetto si sono arenati nei meandri politici e burocratici del Comune di Palermo. Non a caso, forse, considerato che l’anno prossimo si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del sindaco e del Consiglio comunale.

Un progetto che non tramonterà

Con il burocratico linguaggio delle occasioni solenni, la Repubblica italiana ha conferito a don Puglisi la Medaglia d’oro al valor civile alla memoria, nel 2015. “Sacrificava la propria vita senza piegarsi alle pressioni della criminalità organizzata.” è scritto nella motivazione. “Mirabile esempio di straordinaria dedizione al servizio della Chiesa e della società civile, spinta fino all’estremo sacrificio.” Chissà, forse padre Puglisi avrebbe detto ‘grazie’ per l’onorificenza, ma continuando a lavorare per dare un asilo nido ai bimbi di Brancaccio. Il più bello dei suoi sorrisi non è ancora sbocciato.

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Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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