Sophia Loren, ciò di cui “abbiamo bisogno per risollevare il paese”
La guerra, l'Oscar, i numerosi omaggi tra cui quello di Bob Dylan: mille vite una sola icona
Era il 9 aprile 1962 quando, in occasione della 34a edizione, i Premi Oscar si apprestavano a scrivere la storia. Per la prima volta, infatti, fu consegnata a un’interprete l’ambita statuetta per un ruolo principale in un film non in lingua inglese: si trattava di Sophia Loren. Presentato da Burt Lancaster e consegnato nelle mani di Greer Garson, per conto dell’interprete nostrana, si trattò di un Oscar storico. Neanche 28enne, l’artista aveva appena segnato un primato rimasto imbattuto per diversi decenni. Un record che ancora oggi la rende tra le testimonianze più importanti di quel periodo che ha lanciato definitivamente il cinema italiano. E di cui Sophia Loren è ancora tra le colonne portanti.
“Di cosa abbiamo bisogno per risollevare il paese?” “Brigitte Bardot, Anita Ekberg, Sophia Loren”
Era il 1963. A un anno dalla vittoria del Premio Oscar da parte di Sophia Loren, Bob Dylan rilasciò l’album The Freewheelin’ Bob Dylan, contenente come ultima traccia I Shall be Free. Dopo tematiche impegnate, il disco terminava con una nota leggera, nella quale il cantautore immaginava a un certo punto un dialogo con il 35° Presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy. Alla fatidica domanda su come si potessero risollevare le sorti del paese, Dylan ha risposto: “John, amico mio, Brigitte Bardot, Anita Ekberg, Sophia Loren.” Forse ancor più dell’Oscar, il fatto stesso di essere citata in un testo del cantautore l’aveva resa ciò che a tutt’ora è: un’icona.
Labbra carnose, zigomi pronunciati, quintessenza della “mediterraneità”, Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone – vero nome di Sophia Loren – nacque a Roma il 20 settembre 1934. Figlia di Romilda Villani e Riccardo Mario Claudio Scicolone, fu riconosciuta dal padre sebbene lui non avesse mai accettato di sposarsi con la Villani. A causa delle ristrettezze economiche, ancora piccola si trasferisce con la madre e la sorella Maria a Pozzuoli, un legame che l’artista sentirà sempre in maniera viscerale, tanto da farle esclamare: “Non sono italiana, sono napoletana! È un’altra cosa!”
Approda al mondo del cinema già da giovanissima quando, ancora come Sofia Scicolone, appare in Cuori sul mare (1950), di Giorgio Bianchi. L’anno successivo avviene la svolta decisiva: il 1951 sancisce infatti l’incontro con Carlo Ponti, rimasto ammaliato dalla sua bellezza. Dopo un colloquio, durante il quale notò anche le sue qualità interpretative, le propose un contratto di sette anni. Sotto consiglio di Goffredo Lombardo, inoltre, iniziò ad usare uno pseudonimo dal sapore internazionale, che potesse aiutarla nel lancio della sua carriera. Ispirata dal nome dell’attrice svedese Märta Torén, nacque Sophia Loren.
“Sofia è la madre di tutti gli attori“
Ben presto, Sophia Loren dimostrò che la propria essenza non fosse riducibile al solo aspetto. Sotto quei lineamenti, simbolo di estrema femminilità, e il fisico da maggiorata si celava infatti un’anima di grande intensità. Di chi aveva vissuto la guerra, ma anche di chi ne era uscito fortificato. Man mano si affermò come interprete di punta della commedia all’italiana (lasciandosi alle spalle gli anni del neorealismo). Divenne infatti la protagonista femminile del penultimo capitolo della tetralogia Pane, amore e… subentrando alla storica rivale Gina Lollobrigida, recitando al fianco di Vittorio De Sica. Al contempo, sempre a metà degli anni Cinquanta, spiccarono i primi ruoli drammatici, grazie ai quali la Loren ha avuto finalmente l’opportunità di mostrare le sue qualità.
Il celeberrimo mambo italiano lasciò spazio ai toni più dimessi di La donna del fiume e, in seguito, a La fortuna di essere donna (1956) di Alessandro Blasetti, in cui ritornò al fianco di Marcello Mastroianni. Nel 1955, Life le dedicò una copertina, dandole modo di intraprendere un’altra fase della sua carriera: quella hollywoodiana. A partire da questo periodo, infatti, apparve al fianco di nomi del calibro di Frank Sinatra, John Wayne, Cary Grant e Anthony Quinn. Gli Anni Cinquanta l’hanno preparata per il successo decisivo, sancito nel 1962, da quello che all’estero è stato distribuito come Two Women ma che in Italia è noto come La Ciociara.
Tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, il film – per la regia di Vittorio De Sica – trasportò Sophia Loren negli anni sofferti della Seconda Guerra Mondiale, nel ruolo di Cesira. Oltre a farle vincere un David di Donatello, sua performance riesce ad imporsi al di fuori dei confini italiani portandola a vincere la Palma d’Oro a Cannes e, nel 1962, (due anni dopo l’uscita in Italia), il Premio Oscar. È ufficiale: il nome di Sophia Loren era dunque scritto per sempre nella storia del cinema. Tutti ormai riconobbero il suo valore, tant’è che Gerard Depardieu ha detto di lei: “Sofia è la madre di tutti gli attori, la santa patrona degli attori, un’intelligenza fuori dal comune, un saper vivere e una discrezione unici.”
Sophia Loren e il sodalizio con Marcello Mastroianni
Non molti possono vantare anche solo la metà delle imprese conseguite da Sophia Loren in – ormai – 70 anni di carriera. Oltre al primato rimasto imbattuto per decenni (raggiunto solo nel 1999 da Roberto Benigni con La vita è bella e bissato nuovamente da Marion Cotillard per La vie en rose nel 2008), l’attrice ci ha regalato pagine di storia. Film del calibro di Ieri, oggi e domani e Matrimonio all’italiana (entrambi diretti da Vittorio De Sica), al fianco di Marcello Mastroianni, sono pietre miliari del cinema. La celebre coppia, riconfermata in dieci film, ha dato luogo a uno dei sodalizi più importanti del cinema.
Sul suo legame con Mastroianni, Enzo Biagi nel libro Era ieri ha rivelato: ” L’avevo intervistata in occasione del suo sessantesimo compleanno e una rivista americana l’aveva decretata l’attrice più affascinante. Mi disse di lei che era la donna con cui aveva avuto la storia più lunga: ‘La nostra vicenda dura dal 1954 e non è ancora chiusa’.” La loro fu di fatto, un’amicizia, connotata da un grandissimo feeling, evidente in scena. Un legame che ha contribuito a scrivere uno dei momenti più importanti per la settima arte. E che porta ancora con sé la firma dell’icona italiana.
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