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Quando Ivano Fossati scoprì i Beatles

Quel bambino che suonava il piano, ascoltò i Beatles. E scelse per sempre la chitarra

Poi per fortuna ho scoperto i Beatles“. Quando Ivano Fossati torna su questo punto, una sorta di momento mistico che ha segnato la sua adolescenza determinando il suo futuro, non lo racconta mai come uno dei tanti fanatici dell’epoca. O peggio come chi, musicalmente, i Beatles li ha rinnegati per via di accordi troppo semplici o perché il merchandising dopo un po’ gli è andato a noia. Della Beatlemania siamo stati complici tutti, anche chi è arrivato trent’anni dopo. Ma forse per Fossati ha rappresentato una vera epifania.

Immaginate di nascere a Genova e crescere nella musica. E non tanto per dire, alludendo a quel luogo astratto e mitico in cui solo certi predestinati sembrano poter respirare. Fossati è letteralmente cresciuto nella musica: in quella del Teatro dell’Opera, in cui la mamma Germana lavorava come sarta e dove il cugino era Direttore d’Orchestra, mentre lo zio suonava il clarinetto. Era praticamente inevitabile che il giovane Ivano, già da bambino, prendesse in mano il suo primo strumento. O meglio, che gli si sedesse davanti: a 12 anni iniziò le sue prime lezioni private di pianoforte. Uno strumento che lo aveva affascinato, perché completamente proiettato sulla musica, ma al quale avrebbe concesso vita breve prima di passare oltre. Giusto il tempo di scoprire l’esistenza di un certo gruppo britannico fondato a Liverpool che gli cambierà la vita: i Beatles.

I Beatles come un film

Quando, appena qualche anno fa, Ivano Fossati è salito in cattedra a Genova per tenere due ore di lezioni sulla musica degli Anni ’60 e sulla rivoluzione culturale capitanata dai Beatles, è stato un po’ come se il cerchio si chiudesse. Il primo amore che torna, mezzo secolo dopo, in forma cosciente e matura.
La prima volta che Ivano ascoltò ‘i favolosi quattro’, invece, era solo un ragazzino. Aveva appena approcciato il primo strumento della sua vita, un pianoforte, per poi imbattersi in due 45 giri dei Beatles: Love me do e Please please Me. Rimase folgorato.

Lui che non sopportava le canzoni, perché trovava che le parole disturbassero la musica al suo stato puro. Lui che infatti ascoltava dischi di musica classica e sempre più si appassionava al jazz, d’improvviso si ritrovò di fronte a quel beat insolito e trascinante, accompagnato da parole che anziché intralciare il sound, lo raccontavano per immagini. “Sono sempre stato innamorato delle canzoni che si possono vedere con gli occhi”, avrebbe ammesso molti anni dopo (in un’intervista a OndaRock). “E le canzoni dei Beatles si vedevano. Ricordo che Eleanor Rugby la vedevo come un film, per me era già fatta”.

Dai 45 giri alla prima chitarra

Nelle canzoni dei Beatles, a 12 anni Ivano ci vedeva il mondo. E una nuova possibilità di conoscere la musica: così mollò il pianoforte e imbracciò la chitarra. La chitarra elettrica cambia tutto, lo stile, il suono, le orchestre“. Fu il primo passo verso tutto quello che la sua carriera sarebbe diventata: la contaminazione del pop di matrice anglosassone e dell’elettronica, ma soprattutto l’agilità nel rendere accessibile e immediata una composizione complessa e studiata al dettaglio. “I Beatles sono stati una reinterpretazione geniale di cose già esistenti. Il loro genio è stato quello di interpretare e anticipare il loro tempo. Dei Beatles non si può dire quale sia la canzone più bella, è impossibile, posso dire di amare la loro intera opera”.

Negli anni in cui perfino Genova era buia, “ma proprio buia”, la Beatlemania dilagò ovunque: è quello che capita solo con le vere rivoluzioni culturali. Con la musica che esce dai 45 giri e arriva per le strade, prende la moda e la stravolge, s’insinua nel costume di un’epoca radicandosi così profondamente da rimanere una ‘reference’ senza tempo anche per le generazioni successive. La musica che si fa fenomeno di massa.

Un’astronave chiamata Gibson (rossa)

Senza quella chitarra la mia vita sarebbe stata differente, in fondo è l’astronave su cui ho viaggiato. Non è un caso che a scriverlo sia stato proprio Ivano Fossati, diversi anni dopo da quel primo colpo di fulmine con lo strumento che avrebbe sposato a vita. “Mi era sembrato subito uno degli oggetti più attraenti su cui avessi posato gli occhi. Di mandolini e di fisarmoniche se ne vedevano in giro, specialmente giù in centro a Vercelli, nella vetrina di Gatti, ma quell’affare era qualcosa di molto diverso, qualcosa che sapeva di futuro. Ti saresti aspettato di sentir uscire le canzoni già belle e suonate. Luccicava di brillantini… e le chiavette per accordare erano di ottone lucido. Le conferivano un’aria spaziale e minacciosa”.

Ed è attraverso una sorta di alter ego (Vittorio Vincenti detto Vic) protagonista del suo primo romanzo (Einaudi, 2014) intitolato Tretrecinque (335, come la Gibson rossa che Vic suonerà), che il cantautore musicista ha ripercorso forse l’aspetto più illuminante della rivoluzione di quell’epoca. Dal primo incontro con lo strumento, verso i successivi sessant’anni di storia della canzone. Fu un periodo irripetibile” e Ivano Fossati non ha mai smesso di raccontarlo.

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