Ho visto il rock’n’roll del futuro e il suo nome è Bruce Springsteen. A pronunciare le parole profetiche nel 1974 fu Jon Landau, all’epoca critico sul Real Papar di Boston. Ma soprattutto spettatore inconsapevole di quello che sarebbe diventato lo storico live al Massachusetts’ Harvard Square Theatre di Cambridge. Quella notte, infatti, un giovanissimo e semi sconosciuto Bruce Springsteen si stava esibendo in apertura al concerto di Bonnie Raitt…

Era cresciuto in una tipica famiglia della working class nel New Jersey, insieme al padre veterano di guerra, alla madre di origini italiane e alle due sorelle. Nessuno sapeva ancora chi fosse, né chi sarebbe diventato, ma da quella benedizione senza riserve di Jon Landau tutto iniziò a cambiare. L’attenzione di pubblico e critica si spostò verso quel giovane rocker dall’aspetto sexy e dannato, fasciato nei suoi jeans scuri, spavaldo nella sua giacca di pelle. L’anno seguente, nel 1975, sarebbe uscito il suo terzo album in studio (dopo due dischi accolti tiepidamente). In altre parole: il disco che lo avrebbe consacrato alla fama e all’immortalità: Born to Run. Bruce era nato per correre, e finalmente era pronto.

Maggio 1974: Bruce Springsteen stava per prendersi il futuro

Accanto a Landau, quella notte del 9 maggio 1974, appostato in prossimità del palco e pronto a cogliere un concerto che avrebbe fatto storia, c’era anche qualcun altro. Uno altrettanto lungimirante, che aveva già avuto modo di ascoltare Bruce dal vivo senza capirci niente, se non che fosse di fronte a qualcosa di rivoluzionario: “La mia reazione è stata quella di chi non sapeva neanche che una musica come questa esistesse nell’universo.

Barry Schneier all’epoca era un giovane fotografo e stava per scattare le foto più famose della sua intera carriera. Ma anche le prime istantanee di un animale da palco che oggi conosciamo come il Boss del rock. Schneier si era appena seduto per fare una pausa, quando vide Bruce prepararsi al pianoforte: “Ho capito che era un grande. Ho immediatamente ricaricato la mia macchina fotografica e fatto una serie di scatti, quelli che sarebbero divenuti i miei scatti più noti”

Nato per correre

Come si compone la title track perfetta per un album che dovrà segnare la storia del rock mondiale? Non è detto che venga fuori così, all’improvviso, come una folgorazione. E anche se fosse, può diventare oggetto di studio e perfezionamento anche per mesi. Nel caso di Born to Run ce ne son o voluti ben 6 per raggiungere il risultato finale in studio di registrazione, più due anni precedenti, in cui il Boss aveva lavorato da solo al pezzo (il testo originale della prima versione scritta a mano è stato venduto all’asta nel 2013… per 197.000 dollari).

8 tracce composte, in una prima fase, quasi interamente al pianoforte, seguendo una visione creativa “teatrale”, riservata per la prima volta a Born to Run, come spiegato dallo stesso Bruce. 2 ore per scattare 600 foto prima di ottenere quella che avrebbe reso iconica la copertina del disco. Solo 185 dollari per acquistare la chitarra con cui Springsteen posa nello scatto in copertina: l’avreste mai detto? Alla fine Bruce Springsteen lanciò sul mercato il suo terzo album in studio. Ovvero il primo dell’era Springsteen per come la intendiamo oggi. E il successo fu assoluto. Intendiamoci: non un buon successo, né un comune successo di critica: Born to Run fu accolto come una sorta di creatura plasmata dal nuovo padreterno del rock, un album piovuto dal cielo per ristabilire l’ordine delle cose e diventare una bibbia.

Nessuno come lui

La stampa non usò mezzi termini, la sentenza era storica: con Bruce Springsteen era appena iniziata una nuova epoca, niente del genere era mai stato ascoltato prima. Una delle analisi rimaste più famose (e più cliniche rispetto al fenomeno in corso) fu quella di Greil Marcus su Rolling Stone: “Non hai mai ascoltato nulla di simile prima, ma lo capisci immediatamente, perché questa musica – o il pianto di Springsteen, che canta senza parole, gemendo sulle ultime strofe di chitarra di ‘Born to Run’, o gli accordi sorprendenti che seguono ogni verso di ‘Jungleland’, o l’apertura di ‘Thunder Road’ – è esattamente come dovrebbe essere il rock & roll“. 

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