Trattativa Stato-mafia, verdetto ribaltato: assolti Dell’Utri e gli ex ufficiali dei carabinieri
Dopo le dure condanne in primo grado nel 2019, la Corte d'assise d'appello di Palermo ha bocciato la tesi dell'accusa, secondo cui il senatore di Forza Italia, da sempre vicino a Silvio Berlusconi, sarebbe stato la "cinghia di trasmissione" fra le cosche e gli uomini delle istituzioni
Sentenza rovesciata al processo di secondo grado a Palermo sulla trattativa Stato-mafia. La Corte d’assise d’appello del capoluogo siciliano ha assolto il senatore Marcello Dell’Utri (a sinistra nella foto) e gli ex ufficiali del Ros Mario Mori (a destra nella foto), Antonio Subranni e Giuseppe De Donno. Per gli imputati l’accusa era di minaccia ad un Corpo politico dello Stato. In primo grado avevano tutti ricevuto condanne molto severe. Adesso, oltre alle assoluzioni, i giudici hanno dichiarato prescritte le accuse al pentito Giovanni Brusca. Pena ridotta al boss Leoluca Bagarella. Confermata la condanna del capomafia Nino Cinà.
Dell’Utri “non ha commesso il fatto“
Per il boss Leoluca Bagarella i giudici hanno riqualificato il reato in tentata minaccia ad un Corpo politico dello Stato, dichiarando le accuse parzialmente prescritte. Ciò ha comportato una lieve riduzione della pena passata da 28 a 27 anni. Confermati i 12 anni a Nino Cinà. Gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno sono stati assolti con la formula perché il “fatto non costituisce reato“, mentre Dell’Utri “per non aver commesso il fatto“. Confermata la prescrizione delle accuse al pentito Giovanni Brusca.
Due anni di procedimento
L’appello era cominciato il 29 aprile del 2019. Nel corso del processo è uscito di scena, per la prescrizione dei reati, un altro imputato, Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito. Ciancimino rispondeva di calunnia aggravata all’ex capo della polizia Gianni De Gennaro e concorso in associazione mafiosa.
Trattativa, il processo di primo grado
A rappresentare l’accusa in aula i sostituti procuratori generali Giuseppe Fici e Sergio Barbiera che hanno chiesto la conferma della sentenza di primo grado. Al termine del primo dibattimento, la Corte d’Assise aveva inflitto 28 anni a Bagarella, 12 a Dell’Utri, Mori, Subranni e Cinà e 8 a De Donno e Ciancimino. Sotto processo, per il reato di falsa testimonianza, era finito anche l’ex ministro dell’interno Nicola Mancino che fu assolto. La Procura non presentò appello e quindi l’assoluzione diventò definitiva. Processato separatamente e assolto, in abbreviato, l’ex ministro Dc Calogero Mannino.
Cos’è la trattativa Stato-mafia
Secondo le accuse dei pubblici ministeri la trattativa Stato-mafia si verificò a inizio anni ’90. Ovvero quando “uomini delle istituzioni, apparati istituzionali deviati dello Stato, hanno intavolato un’illecita e illegittima interlocuzione con esponenti di vertice di Cosa nostra” hanno sostenuto in aula i pm. L’obiettivo era quello di “interrompere la strategia stragista” della mafia siciliana. Ossia la stagione dei violenti attentati mafiosi cominciata nel 1992 con l’assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e proseguita con le bombe di Firenze, Milano e Roma nel 1993.
Come si sarebbe svolta la trattativa
Secondo i pm, gli ufficiali del Ros, tramite i Ciancimino e godendo di coperture istituzionali, avviarono un dialogo con Cosa nostra. Una fatto che avrebbe rafforzato i clan spingendoli a ulteriori azioni violente contro lo Stato. Sul piatto della trattativa, in cambio della cessazione delle stragi, sarebbero state messe concessioni carcerarie ai mafiosi detenuti al 41 bis e un alleggerimento nell’azione di contrasto alla mafia. Il ruolo di Mori e i suoi, dopo il ’93 – sempre nella ricostruzione dell’accusa – sarebbe stato assunto da Dell’Utri. Nella sentenza di primo grado il senatore era stato definito “cinghia di trasmissione” tra i clan e gli interlocutori istituzionali.
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