Nel 1967 erano pazzi l’uno dell’altra. Si erano incontrati ad ottobre dello stesso anno, in uno studio di registrazione parigino: un colpo di fulmine più romanzato di così non si poteva. Ma d’altronde, con una come lei, avrebbe potuto essere altrimenti?
E infatti lei, o meglio Lei – con la maiuscola che spetta per licenza poetica solo alle divine, alle creature mitologiche – era sposata da circa un anno con il playboy e miliardario tedesco Gunter Sachs. Ma quando uno perde la testa c’è poco da fare. Se poi sei la donna più desiderata del mondo, timoniera ribelle della Francia Sessantottina, selvaggia e libera come nessun’altra all’epoca, anche la testa la perdi in modo assoluto. Senza mezzi termini.
Esattamente come quando, amandolo alla follia (parole sue), gli diede quell’imperativo: “Scrivimi la canzone d’amore più bella del mondo”. A dirla tutta pare che quella richiesta Lei l’avesse buttata lì un po’ per gioco, per provocazione. Una pizzicata maliziosa alla fantasia del cantautore, che però, sussurrata dalle sue labbra perfette e sognanti, tuonò come il canto di sirena. Detto, fatto: la solleticata ipnotica divenne un comandamento. Nel 1956 era la protagonista di Dio aveva creato la donna (film diretto da Roger Vadim) e dieci anni dopo quella stessa donna, Brigitte Bardot, era lì di fronte a lui ad affidargli un compito. Così Serge Gainsbourg scrisse per Lei Je t’aime… moi non plus.
Je t’aime, Serge. Moi non plus, Brigitte
Il resto è storia, sì, ma mica una storia così semplice da districare: il dietro le quinte della canzone è diventato l’essenza stessa del pezzo. Sembrerebbe cronaca rosa e invece è leggenda sublime. A partire da quel titolo ambiguo e contraddittorio, che in un gioco di parole raffinato racchiude tutta la pulsione sociale di quegli anni. “Je t’aime”: ti amo, dice lei. “Moi non plus”: neanche io, risponde lui. Una negazione che smaschera l’affermazione iniziale. Vale a dire che no, non mi ami davvero Brigitte, la nostra è attrazione sessuale cruda e pura, ma va bene così. Non preoccuparti, non serve più che una donna prometta amore per abbandonarsi alla passione.
Il pezzo venne inciso nel 1967. Si narra che quando Serge Gainsbourg le fece ascoltare per la prima volta Je t’aime… moi non plus, nella loro stanza a Parigi dopo una notte d’amore, Brigitte Bardot si sdraiò nuda sul pianoforte, coperta appena da un lenzuolo. Sì, come nella scena cult del film di Godard, Le mépris. Ma ci sarebbero voluti quasi vent’anni prima che quella versione originale vedesse davvero la luce. Venne pubblicata nell’86, dopo una stroncatura iniziale senza possibilità d’appello: Brigitte e Serge simulavano un rapporto sessuale in modo così appassionato ed esplicito, che evitare lo scandalo fu impossibile. Un solo passaggio radiofonico fu concesso alla creatura nata dalla loro storia, su radio Europe 1: bastò per marchiarla definitivamente.
E come nei migliori film, fu scandalo nello scandalo. La censura, infatti, arrivò anche su un altro fronte. Quello che la Bardot temeva di più. Il marito Gunter Sachs era venuto a conoscenza della relazione tra sua moglie e il noto chansonnier, e montò una sfuriata che minacciava di sfociare in azione legale. Per questo Brigitte chiese a Serge di ritirare il brano, e infilarlo nella scatola dei ricordi della loro relazione (neanche troppo) clandestina. Che a quel punto era destinata a finire. Sul nascere del ’68, abbandonando proprio il brano Sessantottino che insieme avevano cantato e registrato, decisero di dirsi addio.
Dimenticare Brigitte Bardot
Cominciò così la ricerca spasmodica di Serge Gainsbourg per trovare un’altra voce femminile all’altezza di Je t’aime… moi non plus. Perché è vero che aveva il cuore infranto, sì, ma mica era pazzo: di abbandonare per sempre una canzone come quella, non se ne parlava proprio. Certo, una volta che Brigitte Bardot ti ha guardato negli occhi agognando un orgasmo e soffiando nel vento quel “tu vais, tu vais et tu viens”, come fai a rimpiazzarla? Chi può subentrare all’incarnazione femminile del sesso malinconico, dell’amour fou anni Sessanta, dell’erotismo portato al cinema che rende cinematografica l’esistenza stessa? Jane Birkin, signore e signori.
All’epoca Serge non lo capì subito. Provava a dimenticare Brigitte, e che vuoi dirgli! Ma davanti a sé aveva il lanciatissimo volto (e topless) femminile di un capolavoro come Blow-Up di Antonioni. Altra donna, altra storia. Iniziata come ruota di scorta, chiodo scaccia chiodo, rimpiazzo; senza paura d’essere cinici. La storia, oggi, lo consente, dal momento che Jane Birkin sarebbe diventata il suo grande amore e che dalla loro unione sarebbe nata anche un pezzo da novanta come Charlotte Gainsbourg. Ma inizialmente l’accoglienza che le diede sembrò più una punizione: Jane non era Brigitte, e durante la registrazione del brano Serge riversò su di lei ostilità e rabbia.
Quando nel 1969 Je t’aime… moi non plus venne ufficialmente pubblicata nella versione di Serge Gainsbourg e Jane Birkin, fu di nuovo bufera. Ma ormai la rivoluzione sessuale era inarrestabile: censuratissima, criticatissima, detestata dai benpensanti ed esaltata dai figli della nuova era, la canzone diventò comunque un successo planetario. Un brano che è in grado ancora oggi di stuzzicare le corde della pudicizia, ma anche di raccontare quel meraviglioso arrossire che nasce solo dal corteggiamento erotico libero e sprezzante. Un pezzo immortale, l’istantanea di un’epoca intera. E che tuttavia, in quell’unica, rara versione cantata da Brigitte Bardot conserva qualcosa in più. Che sia riverenza, soggezione, turbamento profondo… Come la canta Lei, nessuna mai. Neanche Jane Birkin.
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