L’8 gennaio 2021 Eddie Lee Howard, un afroamericano del Mississippi, è stato riconosciuto innocente dopo una battaglia durata 26 anni nel braccio della morteNdume Olatushani ha passato 28 anni in una prigione del Tennessee, di cui 20 nel braccio della morte, accusato di un reato che non aveva commesso. Charles Fain, condannato per abusi sessuali e omicidio che non aveva commesso, nel braccio della morte per 18 anni. Arrestato nel 1985, Anthony Ray Hinton è tra i detenuti dell’Alabama che hanno passato più tempo nel braccio della morte; condannato perché si era ritenuto che la pistola trovata a casa di sua madre fosse quella usata per alcuni delitti.

Scagionato dopo 30 anni, Hinton avrebbe dichiarato dopo la sua liberazione: “Tutti quelli che hanno avuto un ruolo nel mandarmi nel braccio della morte dovranno risponderne di fronte a Dio“. Come questi uomini, sono tanti altri gli uomini e le donne che trascorrono la loro vita condannati a morte; e molti, come Eddie, Charles, Ndume e Anthony con l’angoscia e il terrore di vivere ogni giorno con la consapevolezza di essere giustiziati da innocenti.

L’abolizione universale della pena di morte

Il 10 ottobre è la data designata per celebrare la Giornata Mondiale contro la Pena di Morte; se molti paesi hanno deciso di abolire questa pratica, sono ancora tanti i paesi dove le esecuzioni sono ammesse. Nonostante la sfida imposta dalla pandemia, lo scorso anno 18 stati nel mondo hanno continuato ad eseguire condanne a morte; come a dimostrare una sorta di disprezzo per la vita che non si arresta davanti a niente, neanche davanti ad un virus che ha fatto migliaia di vittime. Il rapporto di Amnesty International sulla pena di morte nel 2020 sottolinea come in alcuni stati il numero di esecuzioni sia addirittura aumentato rispetto agli anni precedenti, mettendo in risalto un aspetto particolarmente oscuro dell’essere umano.

Sempre dal rapporto di Amnesty International si apprende che gli stati con il maggior numero di esecuzioni sono: l’Egitto e la Cina; quest’ultima proprio in piena pandemia ha applicato la pena di morte in molte circostanze per reati relativi alle misure anti-Covid. Negli Usa, l’amministrazione Trump ha ripristinato le esecuzioni federali; e dopo 17 anni in cui le pene erano state sospese si è assistito a 10 condanne a morte in meno di sei mesi. La segretaria generale di Amnesty International, Agnès Callamard ha dichiarato: “Mentre il mondo cercava il modo di proteggere le vite umane dalla pandemia, alcuni governi hanno mostrato una sconcertante ostinazione nel ricorrere alla pena capitale e ad eseguire condanne a morte”.

Il veleno delle discriminazioni nella pena di morte

Minori, uomini e donne, sono di ogni genere ed età i condannati che spesso passano gran parte della loro vita nel braccio della morte; tante volte innocenti, ma che non hanno ricevuto una difesa opportuna, altre volte accusati dopo processi durati pochi giorni, senza prove, senza tracce. Ci sono i colpevoli, gli assassini e poi ci sono anche i discriminati; sesso, genere, età, orientamento sessuale, disabilità e razza. E poi le donne; esposte, sempre più spesso alle disuguaglianze sociali, solo per il fatto di essere donne, al di là della razza, dell’età o della colpa commessa.

Pregiudizi che si innescano nella concezione comune e pesano sulla condanna; le donne diventano madri malvage, femme fatale, streghe. Stereotipi che non si fermano neanche davanti ad attenuanti come violenze o abusi di genere. Perché se un omicidio merita di essere condannato, per le donne la legge barbara ed obsoleta di ‘una vita per una vita‘ sembra valere spesso più che per gli uomini.

Le donne giustiziate nel silenzio

La Giornata Mondiale contro la Pena di Morte del 2021 è dedicata alle donne; quelle ‘vittime silenziose‘ che perdono identità divenendo matricole senza una storia. E mentre nel mondo si continua a lottare per l’abolizione totale della pena di morte e ancora Amnesty International a porre l’obiettivo verso le condizioni delle donne giustiziate; come spiega Chiara Sangiorgio, esperta di pena di morte per l’ONG, spesso i processi e le accuse sono segretati e vi è una grande mancanza di dati e vuoti che lasciano trapelare sentenze a volte poche appropriate, altre troppo frettolose. Secondo i dati ufficiali, tra il 2016 e il 2020, sono state 70 le donne messe a morte, il 3% delle esecuzioni capitali, ma il numero stimato sembra essere molto più alto.

Un ulteriore dato è il fatto che molte donne vengono condannate a morte senza mai prendere in considerazione attenuanti come condizioni di abusi e violenze, che alcuni casi continuano anche dietro le sbarre. Sono diversi i casi in cui è praticamente impossibile risalire al reato e spesso non si tratta di omicidio. In Malaysia, per esempio, molte delle donne giustiziate erano condannate per traffico di droga; in Iran la pena capitale, invece, spetta alle donne che peccano di adulterio.

Perché per punire un uomo di avere ucciso, lo uccidono?

Anche se, a volte, le persone su cui si abbatte la pena capitale sono innocenti o colpevoli di delitti minori, per i colpevoli di omicidio, pe gli assassini, verrebbe da chiedersi come DostoevskijPerché per punire un uomo di avere ucciso, lo uccidono?”; poiché pare ovvio, secondo ogni morale, che non vi è alcuna giustificazione all’omicidio sia che esso sia praticato come reato sia che esso sia praticato come condanna.

Oggi, in una civiltà moderna che si vanta di essere evoluta, sembra inammissibile come in molti stati, specialmente i più evoluti come Usa e Giappone, si ci possa ancora abrogare il diritto di sentenziare sulla durata della vita di una persona. Il diritto alla vita è riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite. Ed è per questo che in occasione della Giornata Mondiale Contro la Pena di Morte è fondamentale ribadire l’opposizione alla pena capitale in ogni circostanza e richiedere l’abolizione universale.

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