Esclusiva VelvetInterviste in doppio pettoPrimo piano

Stefano Guindani ad “Interviste in doppio petto”

La rubrica di Mirco Giovannini, che da stilista diventa intervistatore-insider della moda per VelvetMAG

“Interviste in doppio petto” è una nuova rubrica di VelvetMAG, inedita perché per la prima volta nella storia della rivista l’intervistatore è uno stilista. Mirco Giovannini ha scelto gli ospiti delle sue chiacchierate per raccontare aspetti del mondo della moda, del fashion e dello showbiz, con l’occhio, le parole e le forbici!
Un po’ da addetto ai lavori, un po’ da neofita del giornalismo. Mirco, ogni volta, rigorosamente consegna “una giacca in doppio pettoin maglia all’intervistato, segno supremo per lui dell’eleganza.

Interviste In doppio petto
Photo Credits: Teresa Comberiati

Per il debutto della rubrica ha scelto Stefano Guindani, un nome celebre della fotografia italiana, per i suoi reportage, per i ritratti delle celebrities e per aver raccontato con gli scatti il mondo del lusso e delle automobili. I protagonisti di questa intervista si conoscono da molti anni. Curioso il primo incontro: ad una sfilata di moda dello stesso Mirco Giovannini. Li ha uniti l’idea di una siringa in passerella che con un liquido fluorescente illuminava gli abiti fatti da cannule per flebo. Casualmente, lo scorso ottobre, si sono rivisti in una chiesa e si sono dati appuntamento in luogo iconico di Venezia, Harry’s Bar di Cipriani a due passi dalla Mostra del Cinema di Venezia. Ma se non fosse ancora abbastanza, non vi resta che addentrarvi nella loro chiacchierata.

Intervista in “doppio petto” a Stefano Guindani

Raccontiamo in primis, Stefano:  come mai oggi sei a Venezia, cosa fotografi?
Normalmente vengo a Venezia per fare portrait di importanti personaggi italiani o anche di star internazionali, commissionati da grandi magazine o da brand del lusso come Bulgari, Cartier, Swarosky o Chopard.

La tua carriera è iniziata come fotoreporter prima di diventare IL fotografo degli stilisti e delle celebrities, raccontaci di una foto di quel tempo che porti nel cuore.
La mia foto emblematica è stata scattata durante una gita scolastica: è quella della tomba di Jim Morrison. Anche se allora non avevo assolutamente le conoscenze tecniche di oggi, era perfetta. Sulla tomba ancora c’era il suo busto (che poi hanno rimosso perché distrutto) sono arrivato con la mia macchina, il mio cavalletto, ancora si scattava  in pellicola… ed ho trovato sulla tomba delle lattine di birra e dei garofani. Ero alle primissime armi, ancora non avevo accordi con agenzie e non pensavo di aprirne una, ma riuscì a venderla e per 20 anni l’ho vista stampata su cartoline in vendita.

Tomba Jim Morrison
Da sinistra, photocredits: Teresa Comberiati e Stefano Guindani

Poi è arrivata la fotografia giornalistica?

Sì con i primi reportage e da subito anche il settore automobilistico che apprezzo particolarmente. Poi un altro grande amore: le foto di scena in teatro e la danza, prima ancora della moda. Grazie al mio trasferimento, da Cremona dove sono nato, a Milano è stato tutto più semplice. Ho potuto ritrarre i più grandi tra ballerini e coreografi: Carla Fracci, Luciana Savignano, Ornella Dorella, Roland Petit.

Poi è arrivata lei: la fotografia di Moda fin da subito con il Signor Armani, sono 27 anni che collaboro con lui come fotografo, e ho avuto un lungo rapporto professionale con Franca Sozzani. Tutti mi hanno dato la possibilità di creare immagini e di rivoluzionare un po’a mio modo l’idea della fotografia.
Mi è capitato spesso, anche se con rapporti meno longevi di questi, di essere scelto come loro fotografo personale. Credo sia uno dei segreti delle mie foto: la vicinanza con il committente, nasce così quella spinta all’innovazione nel ritratto, perché non credo che inventiamo nulla di nuovo, ma possiamo spingerci a fare qualcosa di diverso dal solito. Ti faccio un esempio. Dovevo ritrarre l’Amministratore Delegato di Lamborghini, Stefano Domenicali. Avevo due opzioni: la foto alla scrivania o la foto in produzione, già viste! Ho scelto allora di ritrarlo mentre camminava in fabbrica all’aperto. L’importante anche nella fotografia è l’idea, oltre che l’esperienza.

Ricorda per favore al nostro pubblico il tuo primo servizio di moda?

Il primo in assoluto è stato per un brand per cui ho lavorato molto all’inizio della mia carriera, Gai Mattiolo, di cui ricordo il set in piazza di Spagna. Invece la prima notorietà internazionale arriva con Versace Beauty ed il famoso brand Versus. Sono passati più di vent’anni da allora. Di recente ho ripostato sui social alcuni scatti che trovo ancora attualissimi. Poi come ho detto fin da subito è arrivato Armani, e aggiungo anche Diesel all’inizio della mia carriera.

Torniamo ai reportage: prima la Cina dove arrivi per Versace, ma vieni rapito dal popolo, poi Haiti. Come si esprimono dei racconti così diversi e impegnativi anche emotivamente?

Nel novembre 2008 Donatella Versace mi chiede di accompagnarla ad una settimana di eventi in Cina, e ad una visita ai progetti che la maison Versace stava sostenendo nei luoghi dove c’era stato un forte terremoto poco tempo prima. Poi ho avuto l’occasione di andare ad Haiti, che come sapete è il paese più povero al mondo. Mi ha colpito il contrasto tra la nostra routine da mondo privilegiato e le condizioni del popolo haitiano che muore per un morbillo o un ascesso.

Haiti-Libro Fotografico Stefano Guindani
Photo Credits: Stefano Guindani

Volevo raccontare questo contrasto perché ho provato una sensazione nuova, la voglia di raccontare la storia passata e presente. Come è accaduto in Guatemala dove ho incontrato le vedove dei desaparecidos. Mi sono sentito un po’ il loro biografo.
Sono nati così due libri con la Fondazione Rava che sono ancora in vendita, uno si chiama Haiti e l’altro Do you Know? Questa esperienza mi ha permesso di “rimanere con i piedi per terra” rispetto all’ambiente della moda e di chi vive nel lusso.

Libro Stefano Guindani Haiti
Photo Credits: Stefano Guindani

Non possiamo raccontare tutto quello che hai fotografato, anche se sei molto giovane, ma le foto per Nuestros Pequeños Hermanos si imprimono più nel cuore che sulla retina. Ci racconti quest’esperienza?

Nuestros Pequeños Hermanos (NPH) è una Onlus americana nata da un’idea fantastica di un prete, Padre Watson che fa esperienza in Messico quando ancora non era un religioso. Figlio di una famiglia bene, gli affidano una parrocchia. Un giorno vide dei bambini che stavano portando in carcere perché avevano rubato per fame. Lui dice “bisogna liberarli”, il poliziotto capisce e li affida a lui, “li vuoi, prendili”. Arrivando al punto di averne talmente tanti da dire “ragazzi andate a rubare, perché qua non c’è più da mangiare”. Questa è la leggenda.

Quindi nasce la prima casa NPH in Messico, oggi diffuse in 9 paesi del Centro e del Sud America. Il direttore finanziario di tutto l’NPH mi raccontò la sua bellissima storia: ex Pequenos, adottato da una famiglia che gli aveva permesso di studiare in America, trova lavoro in “American Express” guadagna molto. Lasciò tutto, chiamato da Padre Watson, per curare una delle case e come racconta: il circolo della povertà lo stava riassorbendo. Trovi ragazzi che a 18 anni hanno vissuto cose che spero mai nessuno di noi debba vivere, con una grandissima forza. Sono storie di chi ce l’ha fatta . Un ragazzo con una vita difficile mi ha detto “se la vita non è difficile non è vita”. Questo mi fa capire quante volte ci arrabbiamo per cose inutili.

Photo Credits: Stefano Guindani

Volti, ma anche luoghi. Il libro fotografico su Milano, e ancora una volta Haiti con le case dei sogni dei bambini fotografati davanti a quelle reali. Credi sia ancora possibile dare un valore sociale alla fotografia?

Ho raccontato Milano attraverso un libro: Porta Nuova, una zona di Milano che stava nascendo, commissionato da Samsung che per prima si era spostata nel centro città. Una sfida interessante perché non era il mio settore, infatti il primo giorno ho fatto 26 km a piedi e 150 in motorino per trovare le location con la luce giusta nel luogo giusto, arrivando a suonare a case di persone ad orari improponibili.

Photo Credits: Stefano Guindani

Poi un progetto diverso sulle case di Haiti, abbiamo avuto l’onore e il piacere di esporlo nel Palazzo di Microsoft a Milano, un’altra multinazionale che ha aperto una sorta di piramide bassa che è la Fondazione Feltrinelli, in grande parte sede di Microsoft, aperta con quello che allora era  il presidente Carlo Purassanta, un illuminato vero: amante dell’estetica, dell’arte, l’opposto di quello che si potrebbe pensare di trovare in  un amministratore di una casa di elettronica, con lui organizzammo una grande mostra sulla realtà haitiana, esposta in gigantografie alte 12 metri con i bambini che ti tendevano le mani per abbracciarti.

Poi l’installazione per il salone del mobile di Milano: una montagna di container in cui erano esposte solo case haitiane. Tutto è servito per sensibilizzare e donare ai bambini.

La foto è sempre istinto? Nasce dalla curiosità di chi impugna la macchina? Può scaturire da uno studio sapiente e quindi un po’ si crea?

La foto nasce da tutte queste  cose messe insieme. È studio, è ricerca, è istinto, poi si “copia” un pochino e si rielabora con il proprio stile. Non credo a chi dice di avere idee grandi ed innovative. A volte si condividono le stesse ispirazioni, lo stesso quadro, pubblicità… Di solito un brand, che sia moda, auto o gioielli, mi trasmette il concept ed io propongo una strategia di come lo immagino, spesso non ci sono modifiche e quando invece mi chiedono di ricreare una mia fotografia, questo lo trovo ripetitivo.

Faccio una grande ricerca e poi la rielaboro e qui arriva quello che chiamano il “mio stile” anche se è una definizione che io non amo, è un mix di cose in cui ritrovo me stesso. Mi fa piacere quando mi dicono “ho riconosciuto la tua foto da quel dettaglio”, che io cerco a volte senza accorgermene. Poi il tutto è assoggettato al gusto del committente.

Parliamo di futuro: sappiamo che hai un progetto in uscita che ritrae i sacerdoti che praticano sport: Parlaci di questo soggetto inusuale, da dove arriva la suggestione?

Fa parte dei miei progetti di ricerca personale al fianco del mio lavoro tradizionale. Ne ho due al momento, uno di questi: i religiosi che fanno sport rigorosamente con la tonaca, preti, frati e suore, che si intitolerà Mens sana in corpore sano. L’idea è nata anni fa,  ero a Leuca in vacanza, ero senza macchina fotografica e vedo delle suore che giocano a pallavolo, un’ immagine che è rimasta in me. Poi ho fatto un incontro in Sicilia, quando lavoravo da direttore creativo al progetto with Italy for Italy di Lamborghini, ho incontrato due suore che giocavano a calcio, una di queste ex giocatrice di serie B. Con il passaparola, il progetto si sta allargando: abbiamo il canoista, l’arrampicatore, il calciatore, lo spartan race. E si sta risvegliando l’interesse in molti. Credo uscirà nel 2022.

Ma non è l’unico vero?

Un altro importante progetto personale sulle sottoculture giovanili: moda, modi di vivere e gruppi di appartenenza dal 1970 ad oggi. Ci saranno foto, video e uno psicologo che intervista, partendo dal vecchio dark, hippie, passando per i punk, poi ai “part time” come i cost player o i drag queen. Quindi tutte le fotografie sono accompagnate da un’intervista. Ci sono due gallerie d’arte importanti che lo vogliono far diventare itinerante in giro per l’Italia per superare i limiti delle location fisiche. Anche questo partirà nel 2022.

In questi giorni è in corso una mostra a Torino, presso la Mole Antonelliana, al Museo del Cinema, dove sono esposti ritratti di attori sul mondo del cinema tra cui alcuni dei miei ritratti di Sguardi d’attore,350 attori del cinema italiano che avevo realizzato per Rai Cinema circa 4 anni fa.

Harry's Bar -Cipriani Venezia
Photo Credits: Teresa Comberiati

Il 15 settembre è stato presentato un  lavoro sulla sostenibilità, commissionato da Banca Generali, per illustrare l’importanza degli SDGs dell’Agenda 2030 dell’Onu: mi sono sforzato di dare un mio taglio su raccontare come vengono perseguiti gli obiettivi e i goal di sostenibilità. Per il punto 12 ho scelto di ritrarre cataste di pneumatici di camion e macchine consumati,  la loro seconda vita grazie a un consorzio che li ricicla e li  trasforma in materiale che viene utilizzato nei campi da calcio e basket, o nelle piste di atletica. Volevo raccontare il ciclo vita a 360° di una gomma. Ho fotograto il prima e il dopo compresi i campi finiti come la Sede di Legambiente a Grosseto.

A proposito di suggestioni cinematografiche, ci sono dei film che sono stati fonte di ispirazione in uno shooting?

Certo io vivo di  serie Tv e di film. Molte volte ne ho tratto ispirazione. Ti cito solo l’ultima: per la campagna di Paul & Shark mi sono ispirato al film Revenant. Siamo andati sul ghiacciaio a scattare a giugno, per rendere l’idea delle langhe desolate e del cielo blu scuro.

Invece sul fronte delle direzioni della fotografia, chi ti ha colpito di più fino ad oggi a Venezia?

Sicuramente quella di Luca Pigazzi direttore della fotografia di Sorrentino. Mi è piaciuta tantissimo nel film This must be the place con Sean Pean. Quei campi larghi con i soggetti piccoli. Credo appartenga all’evoluzione stessa del fotografo che con l’esperienza passa dal teleobiettivo al grandangolo, più difficile. Do un consiglio a tutti, anche a voi creativi, di leggere Falcinelli, un grande art director specializzato in copertine di libri della maggior parte delle case editrici, che ha scritto “Cromorama, come il colore ha cambiato il nostro sguardo” e  “Figure”, che dovete leggere, per lo studio delle immagini tra luci e colori, e sull’importanza che hanno nel quotidiano.

C’è ancora un ritratto che ti manca?

Ho sognato a lungo  Jack Nicholson nella sua quotidianità, che ho avuto la fortuna di fotografare già una volta, ed è stato fantastico. Mi sono convinto con il tempo, grazie anche a mia figlia, che i personaggi che per ognuno appartengono al “mito” non vanno conosciuti per non intaccare l’idea di cui ci siamo convinti… e credo proprio abbia ragione.

LEGGI ANCHE: Piepoli: “un progetto politico, per essere competitivo e consistente, deve superare il 15%”

Mirco Giovannini

MIRCO GIOVANNINI - Stilista

Dopo il diploma alla Secoli di Bologna, inizia la prima esperienza come tuttofare presso il maglificio Gabriella Frattini di Fano, dove emerge come stilista. Dopo varie consulenze con i brand più importanti al mondo come Jean Paul Gaultier Femme, Versace Collection, Les Copains, La Perla, nasce nel 2007 il brand Mirco Giovannni dopo il Concorso Who’s next_Vogue Italia - Alta Roma, che scova talenti emergenti. Diverse poi le collaborazioni con le realtà del mass market come Emi maglia uomo e donna (noti per la produzione di Zara, Mango, Massimo Dutti).
Oggi nella sua Romagna ha creato con Gianluca Marchetti, imprenditore e amico,  nuovo progetto: MG ATELIER per la maglieria di lusso rigorosamente firmata “Mirco Giovannini atelier folleria“.

Pulsante per tornare all'inizio