Alfonso Cuarón, il Premio Oscar celebra il cinema italiano: tra i preferiti Zalone e Frammartino
Il cineasta messicano presente alla Festa del Cinema di Roma per raccontare i suoi film
Alla Festa del Cinema di Roma Alfonso Cuarón ha raggiunto la sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica per un Incontro ravvicinato con il pubblico e la critica. Il Premio Oscar per Gravity e Roma; una delle stelle dell’Hollywood ‘moderno’ si è raccontato parlando della sua passione per quel cinema italiano. Un legame a doppio filo, viscerale, dalla quale è nata una vera e propria dichiarazione d’amore che lo ha portato a citare i nomi dei più celebri, come Fellini, i Fratelli Taviani, Monicelli e Ferrari. Altrettanto considerevoli sono per il cineasta messicano la presenza di nuovi autori; nomi che arricchiscono, oggi, con originalità il linguaggio dell’audiovisivo. Tra i tanti: Zalone, Golino, Frammartino e Rohrwacher.
Alfonso Cuarón: “La narrativa è il veleno del cinema”
Da bambino sognava di diventare un astronauta guardando con meraviglia lo sbarco sulla luna dell’Apollo 11. Ma il dover arruolarsi lo ha portato poi a scegliere una strada diversa ma che comunque lo avrebbe portato prima o poi nello spazio. E quale altra alternativa poteva soddisfare il suo desiderio se non l’immaginazione? Quel giorno, da piccolo, come lui stesso ha raccontato durante l’incontro, ha deciso di fare un film ambientato seguendo le linee immaginarie dell’universo. E lo ha fatto portando sul grande schermo Gravity (2013). Ed è stata la stessa pellicola ad aver rappresentato uno dei suoi primi grandi successi.
Quasi due ore di incontro ravvicinato accompagnate dalle 12 sequenze scelte dal regista di cui otto film classici e quattro di autori di oggi. Da Dillinger è morto di Ferreri a La dolce vita. Da Salvatore Giuliano di Francesco Rosi a Respiro di Emanuele Crialese. E ancora, da Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher a Le quattro volte di Frammartino. Questa passione sconfinata, nel cineasta ha avuto inizio a sette anni, guardando con il cugino in tv Ladri di biciclette. Il film che credeva fosse d’azione, gli ha mostrato un modo accompagnandolo a comporre un cineam che sarebbe stato diverso: “Mi ha rivelato un concetto di cinema del tutto nuovo”; ha spiegato Cuarón.
Scorrono le immagini sul grande schermo della sala Petrassi. Tra le sue scelte il film muto L’uomo meccanico di André Deed, film italiano del 1921: “Quando si parla di cinema italiano, ci si dimentica del cinema muto e di quello futurista. Qui ci sono dei robot che diventano un pericolo per l’uomo e non è un ‘Terminator’ fatto 70 anni prima? Sarà un plagio di Cameron!”.
Il cinema, potrebbe sì, persistere senza musica, senza parola, senza colore, senza storia, ma non senza il principio della camera, sottolinea Cuarón che reputa la narrativa il veleno del cinema. E dunque, quel è lo strumento essenziale che sta alla base della camera? Il tempo. La successione nel cinema, meglio realzionato al flusso dell’esistenza, per Alfonso Cuarón non può che esser meglio rappresentato dal regista Michelangelo Frammartino in Le quattro volte: “Il suo – spiega il cineasta – è uno dei film più importanti di questo secolo”.
LEGGI ANCHE: Carrie Fisher, la Principessa Leila “annegata nella luce della luna, asfissiata dal mio reggiseno”