Era il 14 marzo 2002 quando al Gran Teatro di Roma ebbe luogo la prima italiana di Notre-Dame de Paris. Una data importante che, se da un lato rappresentava il debutto dello storico spettacolo musicato da Riccardo Cocciante in terra nostrana, dall’altro segnava un altro grande evento. Quello stesso giorno, infatti, tra i fortunati spettatori presenti, c’era anche Monica Vitti in quella che sarebbe stata la sua ultima apparizione pubblica. Da allora – ben 19 anni fa – l’icona del cinema si è ritirata nell’intimità della propria privacy, accudita dal marito Roberto Russo dopo essere stata colpita da una forma di Alzheimer. Ma, nonostante la malattia abbia intaccato i suoi ricordi, specularmente nel pubblico è ancora viva l’immagine dell’interprete. L’immagine di una donna affascinante, rivoluzionaria e unica nel suo genere. Perché, in fin dei conti, di Monica Vitti non ne nasceranno mai più altre.
Maria Luisa Ceciarelli detta Sette Vìstini diva degli Anni ’60
Nata il 3 novembre 1931 a Roma come Maria Luisa Ceciarelli, Monica Vitti ha vissuto a Messina per circa otto anni. Se dalla Città Eterna ha preso la veracità, dal sud ha invece ereditato la passionalità, oltre al suo peculiare soprannome, Sette Vìstini, ovvero Sette Sottane, in merito alla sua frettolosità nell’indossare i vestiti uno sopra l’altro. E proprio Sette Sottane è il titolo del suo libro autobiografico, edito nel 1993. Diplomata all’Accademia Nazionale d’Arte drammatica Silvio D’Amico, su consiglio di Sergio Tofano decise di adottare un nome d’arte. Prendendo il cognome da nubile della madre morta in giovane età, accorciato da Vittiglia a Vitti, e un nome appena letto da un libro, nacque dunque Monica Vitti.
Personalità carismatica, dallo sguardo velato di malinconia e dal volto intramontabile, è celebre inoltre per il sodalizio stretto con un altro grande nome del cinema nostrano: Michelangelo Antonioni. Sebbene, infatti, sia imprescindibile la presenza del regista nel ricordo dell’interprete nostrana, è altresì giusto il contrario. Il loro legame, che ha dato luogo anche a una combattuta storia d’amore, ha portato inoltre alla realizzazione di quattro film. Tra il 1960 e il 1964, infatti, al cinema sono approdati L’avventura, La notte, L’eclisse e Deserto rosso, che costituiscono la tetralogia dell’incomunicabilità. Quel volto dai lineamenti delicati ma intensi contemporaneamente e la voce, roca e pastosa, creavano un connubio che, in breve, la rese tra le dive più richieste degli Anni ’60. Ma quel “mistero” che cercavano di cucirle addosso non si adattava alla sua indole.
Quando Monica Vitti “scoprì” la commedia
Nel 1968, a seguito anche delle proteste dei detrattori della Nouvelle Vague, decise di dimettersi dal discusso ruolo di giudice in occasione del Festival di Cannes. Rinunciare a quel compito la spinse verso una nuova strada, lontana dalle scelte intraprese fino ad allora. Una decisione vicina alla “vera” Monica Vitti. Iniziò dunque la stagione della commedia all’italiana. Ad introdurla nel genere, aiutandola a esprimere la propria verve fu Mario Monicelli, proponendola a Fausto Saraceni. Se il pubblico era abituato a vederla nelle vesti inquiete di una donna in crisi – come la Giuliana di Deserto rosso – dovette presto ricredersi.
A partire da La ragazza con la pistola (1968), l’interprete diede prova del proprio talento brillante. Due anni più tardi, diretta da Ettore Scola, è tra i protagonisti insieme a Giancarlo Giannini e Marcello Mastroianni Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca). Il tempo e i risultati conseguiti le hanno dato ragione. Quel talento cristallino, quella veracità resa ancora più accentuata dalla sua voce unica e l’incredibile vocazione ai toni brillanti l’hanno portata, sola tra le donne, a competere con i grandi della commedia italiana. Non solo Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman e Nino Manfredi. L’Italia grazie a Monica Vitti ha assistito alla sua mattatrice.
Il successo le ha permesso inoltre di spaziare tra le tematiche brillanti. L’artista ha potuto cimentandosi sia con i grandi italiani (Dino Risi, Luigi Magni oltre ai già citati Scola e Monicelli) che con le “stravaganze” internazionali (è il caso de La donna scarlatta di Luis Buñuel). Insignita di 5 David di Donatello, 3 Nastri d’Argento, 12 Globi d’Oro e un Leone d’Oro alla carriera, Monica Vitti non si è “limitata” al grande schermo. Ha conquistato il pubblico da casa, infatti, anche insieme a Mina con Milleluci nel 1974 e Domenica in, nel 1994.
“È ora del femminismo”
Al contempo, destreggiarsi tra tante figure maschili nell’onorevole – ma impegnativo – ruolo di unica mattatrice italiana ha dato prova della caratteristica forse più importante di Monica Vitti: la sua indole rivoluzionaria. Femminista anzi-tempo, quando ancora si gettavano le basi per il movimento, dimostrò di appoggiare l’ideologia, a favore di una maggiore emancipazione e indipendenza. L’interprete rivendicò con la sua proverbiale verve – dimostrando di essere ancora una volta avanti per l’epoca – l’uguaglianza e la parità. Concetti che, tuttavia, ancora oggi stentano a prendere piede.
Nella celebre intervista, rilasciata ad Enzo Biagi esattamente nel 1971 (ben 50 anni fa), alla domanda diretta del conduttore: “Perché si batte per il femminismo?“, l’artista ha risposto schiettamente: “Perché è anche ora!” – proseguendo – “Perché ad una giovane donna viene detto: tu la cosa più importante che devi fare è trovarti un marito e difenderlo, forse anche mentirgli, ma l’importante è che tu abbia qualcuno con cui costruire questo focolare, questa famiglia, da portare avanti e anche che ti mantiene. Invece a 15 anni bisognerebbe dire a una figlia: tu devi trovarti un bel lavoro, duraturo possibilmente, che ti dia soprattutto un’indipendenza finanziaria.” Indipendente, come lo è sempre stata e come ha sempre vissuto. E come anche oggi, il pubblico vuole ricordarla.
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