Un cooperante italiano, Alberto Livoni (a destra nella foto), è stato arrestato il 6 novembre scorso ad Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia, assieme a due collaboratori dello staff. Da giorni la polizia federale li sta trattenendo. Lo ha confermato la Farnesina, aggiungendo che Livoni è in buona salute e viene visitato quotidianamente dalle autorità consolari italiane. Il volontario ha la possibilità di contattare i familiari.

Livoni, lunga esperienza in Etiopia

Emiliano, 65 anni, Livoni è un volontario della cooperazione internazionale di lungo corso. Vanta un’ampia esperienza e dallo scorso mese di marzo è il responsabile dei progetti in Etiopia della ong Vis, Volontariato internazionale per lo sviluppo. L’organizzazione affianca i padri salesiani in progetti di scolarizzazione e formazione professionale dei giovani. Vis è inoltre molto attiva nel nord del Tigrai.

La guerra col Tigrai

Da un anno l’Etiopia è in guerra contro i cosiddetti ribelli di questa regione e la situazione sta precipitando. Tanto che il Fronte popolare di liberazione del Tigrai (Tplf) è ormai alle porte di Addis Abeba. L’arresto di Livoni da parte delle forze di sicurezza del governo di Abiy Ahmed è avvenuto nella sua abitazione nella capitale etiope. Insieme a Livoni, segnala Vis in una nota, “sono stati arrestati anche due operatori dello staff locale“. Persone “impegnate nel sostenere la popolazione etiope attraverso progetti di sviluppo e aiuto umanitario“.

Missionari deportati

A quanto sembra le autorità etiopi ritengono che il volontario italiano abbia ceduto una somma di denaro a una persona. E, sebbene nessuna accusa sia ancora stata formalizzata, sospettano che i fondi siano serviti ad aiutare i miliziani del Fronte popolare di liberazione del Tigrai. Tutti sospetti da provare. La realtà è che ad Addis Abeba le regole stanno saltando, dato il caos portato dalla guerra in alcune aree nel paese. Il giorno precedente al fermo di Livoni la polizia aveva arrestato ben 35 tra missionari e laici salesiani nel quartier generale della congregazione. Sono stati trattenuti in 17, tra religiosi e laici, poiché nativi del Tigrai. Fra essi anche il superiore provinciale. Di loro ancora nessuna notizia: sarebbero stati deportati in una località ignota, scrive Avvenire.

Etiopia sull’orlo del caos

Per due decenni l’Etiopia ha realizzato una crescita economica a doppia cifra. Ma dalla fine dello scorso anno la situazione è degenerata con una velocità che il Financial Times paragona “a quella degli ultimi eventi in Afghanistan.” Ora le forze tigrine minacciano di marciare sulla capitale Addis Abeba e di cacciare dal potere il primo ministro Abiy Ahmed Ali. Quello stesso premier che nel 2019, appena due anni fa, aveva ricevuto il Premio Nobel per la Pace. E che adesso combatte i suoi nemici in una guerra feroce. “Come i taliban, il Fronte popolare di liberazione del Tigrai è criminalizzato dal Governo” ha scritto David Pilling il 10 novembre su Financial Times. Adesso invece “potrebbe tornare al potere con la forza. Il conflitto ha scatenato una violenza terribile.” Se la cosa dovesse accadere, “il rischio è che in tutto il paese scoppi la guerra civile“.

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