Oggi Marco Pantani, nato il 13 gennaio del 1970, avrebbe compiuto 52 anni; ma, parlando del campione italiano la mente scivola inesorabilmente a quel 14 febbraio del 2004. Una data tragica per chi ama il ciclismo, per chi ama il ciclismo italiano o per chi ‘semplicemente’ amava quel Pirata che sulle salite faceva sognare anche chi non era un avventore di quello sport. “Se n’è andato“, titolò all’epoca la Gazzetta dello Sport, annunciando a tutti che il campione di Cesena era morto; da solo, senza allori in una camera di un residence di Rimini.

La storia di un uomo

Forse quando si parla di un uomo che ha scritto la storia di un sport, nessuno si immagina che si tratti di un essere umano, con le sue fragilità, con le sue incertezze; sembrano, a volte, invincibili quei campioni dorati, tanto da apparire surreali. E Marco Pantani lo era; era straordinariamente unico, ma altrettanto straordinariamente umano. Dopo la sua morte voci di ogni tipo sono ruotate attorno alla sua vita e la sua fine; tanto che, lo scorso novembre 2021, è stata aperta la terza inchiesta per scoprire le reali cause che hanno condotto alla scomparsa del ‘Pirata’.

Mamma Tonina, non si è mai fermata, non ha mai creduto che il suo Marco sia morto da solo. Ma, rispettando il dolore di una madre e di tutti coloro che hanno amato e amano Pantani, oggi di lui vogliamo ricordare le glorie; ricordare perché lo abbiamo amato e perché merita di essere ricordato come un fuoriclasse, forse, senza eguali. Poiché quello che, probabilmente, si può asserire senza dubbio è che le scalate di Marco Pantani hanno fatto emozionare tutti, anche i non appassionati, come solo veri e pochi campioni sanno fare.

Marco Pantani, ‘nato’ con la stoffa da campione

Una grinta genuina quella del ragazzo di Cesena; una voglia di affermarsi sempre, nonostante tutto, nonostante le difficoltà, nonostante le sfortune. Marco Pantani sognava sulla sua bici e il suo sogno era in grado di trasmetterlo a chiunque lo guardasse; sin dalla prime vittorie al Giro nel 1994, quando ancora era uno sconosciuto gregario. Impossibile dimenticare i suoi arrivi in solitaria in maglia rosa e in maglia gialla. La sua passione per la bici iniziò da bambino, quando a 11 anni, guardando i coetanei del G.C. Fausto Coppi di Cesenatico, arrivò l’ispirazione; la sua bici sarebbe diventata più di un gioco.

Il 22 aprile 1984 inizia la sua carriera di ciclista con la vittoria in solitudine a Case Castagnoli di Cesena. Crescendo la predisposizione per le salite e l’eccezionali capacità, degne di un fuoriclasse, emersero sempre più prepotentemente; le categorie avanzavano e la competitività degli avversari anche, ma Marco Pantani era un vincente, un campione. Nel Giro d’Italia del 1994 il suo brillante talento conquistò tutti, anche i professionisti che non potevano non riconoscere le sue doti.

Mi spiace che molte persone che mi hanno portato tra le stelle mi hanno ributtato nelle stalle

Marco Pantani divenne l’uomo delle prime pagine, una sorta di ‘eroe nazionale‘; in grado di radunare attorno ad uno sport, considerato più di nicchia, fan e nuovi appassionati. Una popolarità che si accresceva grazie ai successi, anche quelli ottenuti dopo incidenti che avrebbero fatto ritirare molti altri suoi colleghi. Le vittorie al Giro d’Italia e al Tour de France nel 1998, lo consacrarono tra i ciclisti più leggendari di sempre e uno tra i campioni più indiscussi di tutti gli sport italiani. Ma la gloria fa presto ad essere oscurata dai momenti avversi.

È la mattina del 5 giugno 1999, in Madonna di Campiglio, a due tappe dalla fine del Giro d’Italia che vedeva Marco Pantani il dominatore assoluto, quando al ciclista fu riscontrato un tasso di ematocrito superiore al 50%; il ché significava uno stop di 15 giorni e un sofferto addio alla corsa. In un’intervista riportata da Repubblica, in quell’occasione il ‘Pirata’ aveva dichiarato: “Ho cominciato a correre da quando avevo 11 anni, e da allora ho sempre vinto. Per vincere non ho bisogno del doping, ma delle salite“.

Un mito ieri, oggi e sempre

E su quell’episodio, ancora oggi, resta il mistero; ma quella ‘macchia’ sulla stoffa pulita di un campione sempre salito sui gradini più alti del podio, non fu facile da cancellare e per Marco Pantani segnò l’inizio di un momento difficile. La Magistratura iniziò ad aprire su di lui fascicoli e ad indagarlo; e questo non fu di giovamento al suo entusiasmo da campione, da fuoriclasse, da mito. Ma non è nelle aule di Tribunale che oggi vogliamo ricordare Marco Pantani, ma è nella poesia che sapeva scrivere ‘cavalcando’ la sua bicicletta.

In una delle sue ultime interviste Pantani aveva dichiarato: “Chi è Pantani? Uno che ha sofferto tanto. E che in bici si è divertito e, soprattutto, ha divertito“; a me piace aggiungere che non solo ha divertito, ma anche che ha fatto sognare. E che oggi, tra le nuvole, o in qualsiasi altro posto si trovi, possa trovare la consapevolezza che per tanti Marco Pantani è e resterà un mito ed un campione.

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