Martin Luther King: “Una voce che gridò nel deserto per la giustizia”
Ricordiamo il simbolo indiscusso della lotta per i diritti civili nel giorno del 93esimo anniversario dalla sua nascita
Il 28 agosto del 1963 Martin Luther King, al termine della marcia sui diritti civili a Washington, pronunciò il celebre discorso che, ancora oggi, lo erige a simbolo della lotta contro ogni forma di razzismo. “I have a dream“: “Ho un sogno“. Il sogno che ogni forma di discriminazione fosse abbattuta, che tutti potessero sentirsi cittadini del mondo e che non fosse il colore della pelle ad indentificare un uomo; “Ho un sogno, che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per l’essenza della loro personalità“.
Martin Luther King impiegò ogni frammento della sua vita affinché il suo sogno si realizzasse; ed oggi, di quel sogno, forse, non ne riusciamo a cogliere la completa essenza. La storia ha compiuto i suoi passi verso l’integrazione razziale, ma possiamo davvero definirci una civiltà in cui il razzismo ha cessato di esistere? Una civiltà in cui l’odio e la differenza di cultura, estrazione sociale, colore della pelle, status economico, non ci pongano ogni giorno difronte a differenze? Difficile dare una risposta, senza tenere conto di tutte le persone che, ancora oggi, vivono ai margini.
Martin Luther King e il sogno d’uguaglianza
La battaglia di Martin Luther King nasce, praticamente, da bambino; nato ad Atlanta il 15 gennaio del 1929, fa ben presto i conti con il razzismo più radicato. Il colore della sua pelle lo pongono, da subito, davanti ad ostacoli fisici e sociali; ma il suo coraggio e il suo desiderio di uguaglianza sono più forti di ogni barriera fisica e morale. Barriere che, in forma diverse (forse), tornano ancora oggi e contro le quali non sempre ci troviamo disposti a lottare. Ma Martin Luther King è più forte di ogni silenzio; il suo carisma e la sua voce risuoneranno come un grido unanime, pacifico ma sempre intenso e inarrestabile, fino alla fine.
King si ispira alla figura del Mahatma Gandhi e alla sua dottrina della nonviolenza; la dottrina che si basa sul rifiuto della violenza fisica e sull’uso della parola e dei gesti pacifici e concreti che portano al raggiungimento di obiettivi sociali e persino di cambiamenti politici. La lotta contro la discriminazione razziale di Martin Luther King scaturisce da un evento in particolare; quando nel 1955 Rosa Parks, sarta e attivista di colore, viene arrestata perché si era rifiutata di cedere il posto ad una persona bianca su un autobus. In quel momento il pastore di Atlanta sente in lui il desiderio di mettere fine al silenzio.
Il boicottaggio
Contro un’ingiustizia che si perpetuava da decenni, Martin Luther King decide di guidare una campagna di boicottaggio; per 382 giorni, la popolazione di afroamericani boicottò i bus a Montgomery. Nel 1956 la Corte suprema degli Stati Uniti stabilì l’incostituzionalità delle leggi sulla segregazione nei mezzi di trasporto; Martin Luther King diventava, così, a soli 26 anni il leader, la voce e il simbolo di una lotta per la giustizia.
Nel celebre discorso pronunciato a Washington, davanti ad una folla di 200mila persone, è contenuta la grandezza che rese Martin Luther King un simbolo; il pastore d’Atlanta chiedeva ‘semplicemente’ giustizia e uguaglianza. Grazie alla sua, sempre pacifica ma incessante, battaglia la popolazione afroamericana raggiunse traguardi giuridici che, fino ad allora, erano stati solo chimere. Il 10 febbraio 1964 è il giorno in cui è approvato il Civil Rights Act. La legge per i diritti civili che aboliva la discriminazione nel lavoro e nei sindacati dei lavoratori; ma anche nei servizi pubblici di ogni genere: alberghi, motel, ristoranti, stadi, teatri e biblioteche. Nello stesso anno Martin Luther King riceve il Premio Nobel per la Pace; all’età di 35 anni diventa, allora, il più giovane vincitore nella storia di questo premio.
L’uomo che ha “tentato di amare e servire l’umanità“
Ma se per tanti Martin Luther King rappresentava il simbolo della lotta per i diritti civili, per molti il giovane pastore nato ad Atlanta era una minaccia. Era un punto di riferimento, muoveva le masse, dava la voce a chi per anni aveva vissuto nel silenzio; una lotta che risultava scomoda ai conservatori, scomoda a chi del razzismo non voleva e non poteva farne a meno. Il 4 aprile 1968 a Memphis, Tennessee, Martin Luther King viene ucciso da un colpo di fucile di grosso calibro; un colpo, e la vita di uno degli uomini più grandi della storia contemporanea è spenta per sempre. Due mesi dopo il suo assassino, James Earl Ray, viene arrestato; ma dopo una confessione, l’uomo smentisce il suo coinvolgimento personale e parla di un complotto contro Martin Luther King. La morte di King fa scaturire una rivolta in tutti i ghetti d’America; il bilancio è drammatico: quarantatré morti, cinquecento feriti e ventisettemila arresti. In un bagno di sangue al quale Martin Luther King non avrebbe mai inneggiato.
Del pastore di Atlanta oggi possiamo dire che la sua vita, breve ma intensa, ha lasciato un segno indelebile; un tassello imprescindibile nella lotta per i diritti civili e le fondamenta per le nuove generazioni e i loro ideali. Martin Luther King ha preso sulle sue spalle il ‘fardello’ di un’intera comunità e lo ha portato avanti cercando di trasformare il tormento di un popolo nella speranza. In uno dei suoi discorsi Martin Luther King disse: “Se qualcuno di voi sarà qui nel giorno della mia morte, sappia che non voglio un grande funerale. E se incaricherete qualcuno di pronunciare un’orazione funebre, raccomandategli che non sia troppo lunga. Ditegli di non parlare del mio premio Nobel, perché non ha importanza. Dica che una voce gridò nel deserto per la giustizia. Dica che ho tentato di spendere la mia vita per vestire gl’ignudi, per nutrire gli affamati, che ho tentato di amare e servire l’umanità“.
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