Paolo Borsellino, ricordo di un uomo che si definì “Né un eroe, né un kamikaze”
Avrebbe compiuto 82 anni il magistrato ucciso dalla mafia, che impiegò tutta la sua vita in una lotta convinta e consapevole
Il 19 gennaio del 1940 nel quartiere Kalsa di Palermo nasce Paolo Borsellino; e lì, tra una partita di calcetto e l’altra, conosce l’amico fraterno al quale rimane legato fino e dopo la morte, Giovanni Falcone. Se sei nato in Italia, o meglio in Sicilia, è improbabile che non ti sia capitato di passare per una scuola, un istituto, un monumento o un’associazione dedicata ai due magistrati uccisi, ma mai sconfitti, dalla mafia. E se sei nato in Italia, o meglio in Sicilia, è difficile che non ti sia capitato di parlare, di studiare, di ascoltare fatti che hanno riguardato una delle più grandi associazioni a delinquere, Cosa Nostra, la mafia siciliana, o “maffia” con due “f” rafforzative, così come alcuni siciliani la chiamano. Quell’organizzazione criminale a stampo mafioso-terroristico che ha ‘invaso’ tante parti del mondo e la Sicilia in particolare. Paolo Borsellino questa mafia l’ha combattuta, fino alla morte e nell’ideale che quella “cosa nostra“, in realtà non fosse per niente “nostra“; nella convinzione che il male va estirpato dalla radice e che il seme della giustizia deve e può sempre trovare il terreno fertile per rinascere.
La lotta alla mafia
“La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità” queste sono alcune delle parole più celebri estratte da uno degli ultimi discorsi pubblici pronunciati dal magistrato morto da eroe; Paolo Borsellino, lui che eroe non si è mai sentito, né tantomeno definito.
Paolo Borsellino era un uomo di legge e della sua professione ne aveva fatto una missione; perché la consapevolezza che la mafia doveva essere combattuta e distrutta ha animato la sua vita. Nasce a Palermo il 19 gennaio del 1940; in quella Palermo che ha difeso e per la quale ha lottato. Dopo la laurea in Giurisprudenza entra in Magistratura nel 1963, diventando il più giovane magistrato d’Italia; dopo diversi incarichi è trasferito all’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, dove conosce e si lega al suo superiore Rocco Chinnici.
Paolo Borsellino e Giovanni Falcone
Nel 1983 Chinnici trova la morte in un attentato, ma gli anni di collaborazione con Paolo Borsellino lo avevano portato ad istituire il pool antimafia; un gruppo di giudizi istruttori che avrebbero lavorato, in gruppo per l’appunto, per occuparsi in maniera esclusiva dei reati a stampo mafioso. A metà degli Anni ’80, anche dopo le dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino instituirono il maxi-processo. Lo storico procedimento si svolse nell’aula bunker dell’Ucciardone e portò nel 1987 a 342 condanne. Una prima ‘vittoria’ nella lotta alla mafia, ma non certo quella che si poteva definire una vittoria definitiva; una battaglia che doveva essere perseguita e un seme marcio che doveva essere debellato.
Combattere a favore della giustizia e per distruggere Cosa Nostra fu l’obiettivo perseguito fino alla morte dai magistrati Falcone e Borsellino; spesso contro ingiustizie interne, contro ruoli non assegnati, in una lotta che, a volte, sembrava procedere in maniera solitaria. Ma che non fece cedere il passo mai. Era il 23 maggio del 1992 quando, da ritorno da Roma, Giovanni Falcone incontra la morte nell’attentato noto come la strage di Capaci. Sull’Autostrada A29 500 kg di tritolo esplodono togliendo la vita al magistrato, alla moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Paolo Borsellino ha perso l’amico fraterno, il collaboratore più stretto, il collega più stimato e fidato; ma, solo e ferito, non si arrende e continua a combattere, consapevole di andare incontro alla morte.
Né un eroe, né un kamikaze
Nel discorso per la commemorazione di Falcone, Borsellino pronunciò un discorso molto toccante; di cui anche solo un breve estratto ci permette di riflettere sull’essenza e sul valore che ha guidato questi uomini. “Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la Mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. […] La sua vita è stata un atto d’amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli sono stati accanto in questa meravigliosa avventura, amore verso Palermo, ha avuto ed ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria a cui essa appartiene“.
È una domenica calda a Palermo il 19 luglio del 1992 quando una Fiat 127 imbottita con 90 chili di Semtex-H salta in aria uccidendo Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina; l’episodio che oggi passa allo storia come la strage di Via d’Amelio e di cui le immagini restano inesorabilmente impresse nella mente e nella memoria collettiva. Ed è oggi difficile, forse, trovare delle parole appropriate che permettano di descrivere quello che Paolo Borsellino ha rappresentato e continua a rappresentare oggi, per la Sicilia, per l’Italia e per il mondo; un uomo di coraggio che ha creduto sempre nel suo ideale di giustizia che ha la lasciato un’eredità che non deve e non può essere dispersa. “Non sono né un eroe né un Kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell’aldilà. Ma l’importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento“.
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