In principio c’era Rimini, sua città natale. In seguito, l’assenza del padre, specularmente, la presenza della madre e, soprattutto, della nonna – definita quest’ultima come la sua vera eroina – hanno comportato una particolare ammirazione per l’universo femminile. E poi, all’età di sette anni, l’incontro inatteso e fulmineo con il circo. Già nell’infanzia di Federico Fellini si sviluppano tutti i punti cardine della sua filmografia, che definire tale sarebbe riduttivo. Non si tratta infatti ‘semplicemente’ di pellicole, che si esauriscono al termine della visione, ma di esperienze che prima di tutto richiedono un patto implicito: lasciarsi guidare nel suo mondo.
Cresciuto nella provincia di Rimini, tra la noia e banchi di nebbia d’inverno e la vita che d’estate riprendeva il suo corso, Federico Fellini era ricco di stimoli sin da piccolo. La madre assecondava la sua creatività, che si esprimeva attraverso la passione per Little Nemo, un ragazzino sognatore, e Flash Gordon. Con l’inizio del ginnasio, le sue suggestioni fantascientifiche, connesse all’incontro con il circo, si mescolano con la scoperta dell’epica di matrice omerica. “A scuola si leggeva l’Iliade, mandandola a memoria.” – ha raccontato il Maestro – “Ciascuno di noi si era identificato in un personaggio di Omero. Io ero Ulisse, stavo poco in disparte e guardavo lontano.” E proprio come l’Uomo dal multiforme ingegno, pare avesse già maturato la propensione al viaggio e alla scoperta.
A uno con la sua indole, Rimini non può che rimanere stretta. “L’inverno è terribile. Non passa mai. E una mattina ti svegli. Eri un ragazzo fino a ieri e non lo sei più…“. – attraverso l’intellettuale del gruppo de I vitelloni, Federico Fellini ha spiegato le ragioni che lo hanno spinto a lasciare la sua città, alla volta della Capitale. Non voleva rischiare di trascorrere la sua vita, senza che se ne accorgesse, in quel limbo sospeso tra la vitalità estiva e il torpore invernale. Nel 1939 si è dunque stabilito definitivamente a Roma, dove nel 1943 ha conosciuto una giovane studentessa di lettere, che non avrebbe mai più lasciato andare: Giulietta Masina. Quel viso atipico, ai limiti del fiabesco lo conquista a tal punto che nello stesso anno convolano a nozze.
Lontana dai canoni della donna felliniana, dalle forme generose – dalla conturbante Anita Ekberg de La dolce vita, alla Donatella Donati de La città delle donne fino alla parossistica Saraghina di 8½ – Giulietta Masina è tuttavia il simbolo della stabilità per Federico Fellini. Nonostante le scappatelle saltuarie – di cui l’interprete è sempre stata consapevole – il regista non avrebbe mai potuto fare a meno di lei. Perché, in fin dei conti, lontana dalla spiccata sensualità di tutte le altre, Giulietta Masina è agli occhi del Maestro l’immagine di una femminilità misteriosa, enigmatica, che forse neppure lui è mai stato in grado di decifrare in pieno.
Prima ancora dell’eterna sospensione tra realtà e sogno, tra presente e passato, che ha azzerato le barriere temporali, Federico Fellini è stato figlio di quell’altra tradizione tutta italiana: il neorealismo. E proprio grazie a uno dei Maestri del genere ha mosso i primi passi nella settima arte, collaborando come sceneggiatore in Roma città aperta di Roberto Rossellini, che ha vinto la Palma d’Oro a Cannes. I due hanno inaugurato una collaborazione fruttuosa, in un simbolico passaggio del testimone, tra la precedente generazione – ormai affermata – fautrice dell’estetica neorealista e la nuova, pronta a guardare già oltre. Dopo aver collaborato anche in Paisà, L’amore e Francesco giullare di Dio, ha debuttato in veste di regista nel 1950 con Luci del varietà.
Hanno fatto seguito Lo sceicco bianco (1952) e I vitelloni (1953), grazie ai quali ha gettato le basi del suo stile. Pur risentendo ancora della tradizione neorealista, questi primi lavori sono accomunati da un comune umorismo, connesso a una forte vena autobiografica e grottesca. L’affermazione internazionale è avvenuta proprio grazie a un film che risente molto della sua influenza circense, ovvero La strada (1954). La storia di Gelsomina (Giulietta Masina), una ragazza venduta al rozzo e girovago Zampanò (Anthony Quinn), ha permesso a Federico Fellini di vincere nel 1957 il primo Premio Oscar al Miglior Film Straniero. Il regista ha conquistato la statuetta in altre tre occasioni, nel 1958 con Le notti di Cabiria, nel 1964 con 8½ e infine nel 1975 Amarcord.
Solo dieci anni sono passati dal suo esordio dietro la macchina da presa. In un intervallo temporale così relativamente breve, tuttavia, le cose sono cambiate. La devastazione del dopo guerra ha ormai lasciato spazio a una società ricostruita, che può lasciarsi qualsiasi rimasuglio bellico dietro le spalle. Ciononostante, il conflitto mondiale ha lasciato delle cicatrici nell’animo di ciascuno, portando ad indagare a fondo nella dimensione psicologica e, al contempo, a mettere in discussione tutto quel sistema di valori consolidati. Sono gli anni in cui Federico Fellini ha realizzato i suoi capolavori indiscussi, attraverso il volto di Marcello Mastroianni: La dolce vita e 8½.
Il primo è incentrato sulla vita fallimentare di Marcello Rubini, autore che ha rinunciato a ogni ambizione letteraria per dedicarsi alla notturna e scandalistica dolce vita romana, scrivendone per una rivista. Affossato sia dal fronte cattolico – soprattutto per l’episodio delle false apparizione mariane – ha ricevuto anche critiche dalla sinistra, per non aver voluto sposare l’ideologia marxista. Da una vicenda così storicamente situata, Fellini è poi passato alla storia di Guido Anselmi – che, in fin dei conti, è la sua – in 8½. Affermato regista, si è ritirato in una località termale per riprendersi da un’improvvisa crisi creativa. In un vorticoso alternarsi di passato e presente, sogno e realtà, Guido si vedrà infine bambino in un carosello finale. Solo allora capirà di essere guarito.
L’influenza che ha esercitato la sua filmografia sugli autori a lui successivi – da Nanni Moretti, che con Palombella Rossa ricalca 8½ fino a Woody Allen – è ormai indiscussa. Proprio la sua Rimini, in occasione dei 102 anni dalla nascita, dedicherà una settimana al genio del grande schermo (a partire da oggi 20 gennaio). Attraverso l’evento Fellini Open, saranno dunque promosse una serie di iniziative. La prima avrà luogo nella sala Fulgor (stessa nella quale il Maestro ha scoperto il suo amore per la settima arte). Qui verrà presentato il cortometraggio La Fellinette, vincitore del Premio Speciale 75 ai Nastri d’Argento 2021. Sabato 22 gennaio, invece, andrà in scena un tour Tutto Fellini, con la visita presso il Fellini Museum (ospitato al Castel Sismondo). Il cartellone degli eventi prevede inoltre le Proiezioni al Cinemino di Palazzo Fulgor, in cui il martedì sono proiettati i capolavori del maestro.
In occasione dei 102 anni dalla nascita di Federico Fellini, spunta inoltre un documento inedito. Il tutto risale al 1982, anno in cui il regista di Rimini ha concesso un’intervista a Dario Zanelli, durante la rassegna Cinema estate ’82, organizzata dal Comune di Bologna. Il quell’occasione, il giornalista ha chiesto – e ottenuto – una personalissima classifica stilata dal Maestro dei suoi 42 film preferiti. O, come lo stesso regista ha precisato: “I film che vorrei rivedere, anzi che voglio rivedere: va meglio questa formula?” Tra Fantasia di Walt Disney, Charlie Chaplin e Stanley Kubrick, ce n’è per tutti i gusti. Tra questi ci sarebbe da aggiungere anche Star Wars di George Lucas, che Fellini sembrava aver apprezzato:
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