Caso Regeni, da Draghi e Cartabia pressioni sull’Egitto
Accolta la richiesta del Gup per far ripartire il processo contro gli 007 di Al Sisi. La Guardasigilli pronta a recarsi al Cairo
La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, sarebbe sul punto di partire per l’Egitto per contribuire agli sviluppi del procedimento penale istruito a Roma sul sequestro, la tortura e l’assassinio di Giulio Regeni. La notizia è riportata da Repubblica. Ieri 24 gennaio Cartabia, affiancata dal premier Mario Draghi, ha incontrato in videoconferenza Paola e Claudio Regeni, i genitori del 28enne ricercatore friulano dell’Università di Cambridge. L’incontro è avvenuto alla vigila dei 6 anni – oggi 25 gennaio – dal rapimento del giovane al Cairo. Come è noto, Regeni fu ritrovato cadavere, svestito e mutilato, ai bordi di una strada il 3 febbraio 2016.
“Per Regeni si muova il Governo“
Durante la nuova udienza preliminare del processo a carico di 4 uomini dei servizi di sicurezza del regime di Al Sisi, lo scorso 10 gennaio, il giudice Roberto Ranazzi aveva chiesto l’intervento del Governo italiano. L’esecutivo Draghi dovrebbe attivarsi, secondo il Gup, per chiedere ai colleghi egiziani di comunicare alla Procura di Roma i recapiti dei quatto militari sotto accusa. In sostanza: rispondere a una rogatoria già inoltrata nel 2019.
Il processo saltato a ottobre
Lo scorso 14 ottobre la Corte d’Assise di Roma, dopo 7 ore di Camera di consiglio, aveva deliberato che il primo processo sul caso Regeni neanche doveva cominciare. Gli atti sarebbero dovuti tornare (com’è avvenuto) al Giudice per l’udienza preliminare (Gup). Secondo il tribunale non esiste la prova che i quattro imputati siano a conoscenza del processo aperto in Italia a loro carico, considerato che non era stato possibile notificarne notizia ai loro personali indirizzi. Per i giudici era quindi nulla la dichiarazione di assenza dei quattro 007 al processo. Stiamo parlando del generale Sabir Tariq, e dei colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Sono accusati a vario titolo del sequestro, della tortura e dell’omicidio di Regeni.
Sono passati sei anni dal rapimento di Giulio Regeni e la richiesta di verità e giustizia è più forte che mai. L’Egitto lasci che la giustizia faccia il suo corso e consegni i recapiti degli imputati. #veritaegiustiziapergiulio #6annisenzagiulio pic.twitter.com/DE0qQC3a49
— Amnesty Italia (@amnestyitalia) January 25, 2022
L’impegno dell’esecutivo
Precedentemente, nello stabilire il rinvio a giudizio, il Gup aveva invece affermato che “la copertura mediatica capillare e straordinaria ha fatto assurgere la notizia della pendenza del processo a fatto notorio“. Data la risonanza planetaria del caso Regeni, gli imputati non potevano non sapere del procedimento a loro carico. Ma la Corte d’Assise aveva bocciato questa interpretazione. Adesso l’impegno del Governo Draghi. Al centro del colloquio fra il premier, la ministra Guardasigilli, i genitori di Giulio e l’avvocata Alessandra Ballerini, “le possibili iniziative per dare seguito, nel modo più efficace, all’ordinanza del Gup di Roma” ha fatto sapere Palazzo Chigi.
Regeni, iniziative a 6 anni dalla scomparsa
Come detto, oggi 25 gennaio ricorrono i sei anni dalla scomparsa di Giulio Regeni al Cairo, dove egli stava svolgendo una ricerca di dottorato sui sindacati egiziani per il prestigioso ateneo di Cambridge, di cui era studente. A Fiumicello (Udine), il suo paese, si terrà una commemorazione alla presenza dei genitori. L’obiettivo resta quello di chiedere ancora una volta verità e giustizia. Parteciperà anche una delegazione di Articolo 21, con il presidente Giuseppe Giulietti, per consegnare alla famiglia una targa e la tessera onoraria dell’associazione.
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