Che Kobe Bryant sia un leggenda in grado di superare i confini immaginabili lo ha dimostrato in tutti i 20 anni della sua carriera da cestista; fino all’ultima partita, quando ha realizzato 60 punti nel match contro gli Utah Jazz, mostrando il talento indiscusso, tra i più grandi nella storia dell’NBA. E quel “Mamba out” che il campione pronunciò nel 2016 alla fine di quella che sarebbe stata la sua ultima partita in pantaloncini e canottiera e con la maglia dei Lakers, è tornato come un triste omaggio nel giorno della sua morte. Una ‘cantilena’ straziante che è rimbalzata sui social, tra i fan, pronunciata dagli avversari, dai compagni di squadra e da tutti coloro che lo avevano amato.
Un addio difficile da superare
Il 26 gennaio del 2020 Kobe Bryant e sua figlia Gianna si trovavano, insieme ad altre sette persone, a bordo del loro elicottero privato; per cause che ancora restano, in parte, sconosciute precipita a Calabasas alle 9:45, prendendo fuoco. La nebbia, le fiamme, lo schianto inevitabile e in un attimo la vita di nove persone, compresa quella del campione dell’NBA è spenta per sempre. Sono passati due anni da quel tragico incidente che ha tolto la vita a Kobe e alla figlia di appena 13 anni e molti ancora, tra i compagni di squadra, gli amici e chiunque lo abbia amato, fanno fatica a parlare di lui.
Kobe Bryant non era un talento qualunque, era ‘IL‘ talento dell’NBA, una leggenda in grado di avvicinare Michael Jordan e in grado di realizzare punti con la disinvoltura che si addice solo ad un campione. Una strada fatta di infortuni, cadute, ma tante risalite che oggi lo consacrano come uno degli atleti più amati al mondo; tanto che alla sua morte, anche il campionato americano si è fermato per rendergli omaggio, tra minuti di silenzio e la commozione dei compagni di squadra e della pallacanestro mondiale.
Kobe Bryant, le origini di una leggenda
Kobe Bryant era nato a Philadelphia il 23 agosto 1978; il sangue da fuoriclasse gli scorre nelle vene, poiché nasce come figlio d’arte dell’ex cestista Joe Bryant. Possiamo prenderci anche il privilegio di considerarlo un po’ italiano, considerando che i primi canestri di Kobe arrivano nel nostro Paese. Con la sua famiglia la stella dell’NBA ha trascorso diversi anni in Italia, seguendo la carriera di “Jellybean” Bryant sui parquet di Pistoia, Rieti, Reggio Calabria e Reggio Emilia. Il suo italiano era impeccabile e quando nel 2018 ricevette l’Oscar per il cortometraggio animato Dear Basketball ringraziò la moglie e le figlie proprio in italiano.
Visto oggi, quel cortometraggio risulta ancora più commovente e restituisce la luce e la grandezza di un campione che fece della sua passione un’ispirazione di vita e regalò la stessa passione a chiunque lo ha ammirato. Il corto inizia con una schiacciata decisiva allo Staples Center con la maglia numero 24 dei Lakers e poi un flashback in cui Kobe Bryant, da bambino, arrotolava i calzini del padre per usarli come una palla da basket e sognava di giocare nell’NBA. Il cortometraggio si ispira alla lettera commovente pubblicata su The Players Tribute con cui Black Mamba aveva annunciato il ritiro dallo sport professionistico.
L’amore ‘folle’ per il basket
Un amore immenso e folle quello di Kobe Bryant per lo sport che ha fatto di lui una leggenda; un amore che oggi associa il basket a quest’uomo che ha fatto sognare migliaia di tifosi con la maglia dei Lakers. Il suo esordio è a 18 anni con i Charlotte Hornets, ma poi verrà ceduto ai Los Angeles Lakers; la squadra che diventerà la sua seconda famiglia per 20 anni. Kobe fa il suo debutto in NBA il 13 novembre 1996 contro i Minnesota Timberwolves; sin dall’inizio, con la maglia numero 8 la sua carriera è sempre in ascesa.
Vince praticamente qualsiasi cosa uno sportivo possa desiderare; cinque ‘anelli’, ovvero il campionato NBA, due titoli di Mvp (miglior giocatore) delle finali del 2009 e 2010, due titoli di capocannoniere della stagione regolare. E anche quando la sua maglia diventa il numero 24, i successi non si arrestano; tra le date che rimarranno impresse nella storia del basket il 22 gennaio 2006, quando nella partita contro i Raptors, Black Mamba realizza ben 81 punti, ottenendo un record incredibile, secondo solo ai 100 punti di Chamberlain. Dal 2007 al 2012 ha giocato anche nella nazionale Usa, con cui ha vinto due medaglie d’oro alle olimpiadi di Pechino 2008 e Londra 2012.
Un ultimo saluto
Nel 2016, a quasi 38 anni, la decisione di lasciare: “Hai dato a un bimbo di sei anni il sogno di essere un giocatore dei Lakers e ti amerò sempre per questo. Ma non posso amarti in modo ossessivo per molto tempo ancora. Questa stagione è tutto quel che mi rimane da darti“.
Forse per ironia della sorte, per una strana coincidenza o perché il destino mischia le sue carte senza mai una vera e logica spiegazione, oggi in quella lettera che Kobe Bryant scrisse al suo amato basket per dirgli addio ritroviamo la stessa commozione e lo stesso saluto che, forse, chi lo ha amato e non ha mai smesso di farlo, vorrebbe rivolgere a lui. “Sono pronto a lasciarti andare. Volevo che tu lo sapessi, così potremo assaporare meglio ogni momento che ci rimarrà da gustare insieme. Le cose belle e quelle brutte. Ci siamo dati l’un l’altro tutto. Ed entrambi sappiamo che, qualsiasi cosa farò, sarò sempre quel bambino con i calzettoni, il cestino della spazzatura nell’angolo e 5 secondi ancora sul cronometro, palla in mano. 5… 4… 3… 2… 1“.
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