Draghi: prime prove di resistenza
Le frodi dietro il Superbonus, i partiti alla rincorsa, gli equilibri precari della maggioranza
Pochi giorni fa il governo Draghi ha concluso il suo primo anno alla guida del Paese, facendo partire così ufficialmente il conto alla rovescia del tortuoso cammino verso le elezioni politiche del 2023. Un anno e mezzo che si annuncia di fronteggiamento all’interno della maggioranza se si guarda al primo ‘botto’: il colpo inferto dal premier al M5S riguardo la legge del Superbonus. Presentato da molti come l’ennesimo provvedimento feticcio – dai più critici visto come un vero e proprio buco nell’acqua se non fosse per le conseguenze – di un partito attraversato da divisione profonde, che potrebbero sgretolarlo. La domanda che gli analisti si pongono è un altra: resisterà il governo Draghi? Quali sfide lo aspettano? Perché i partiti, archiviata la corsa al Colle, sembrano già in corsa per la conquista del post-Draghi.
Draghi: il primo sassolino dalla scarpa riguarda il Superbonus
La strada da percorrere per l’esecutivo Draghi non è affatto semplice. I partiti stanno scaldando i motori per una campagna elettorale che inizierà a ‘governo acceso’. Una figura super partes rischia di diventare ingombrante per le forze politiche in campo. E probabilmente rimanere super partes per Draghi sarà sempre più difficile. E difatti il primo atto di ‘resistenza’ lo ha sferrato proprio qualche giorno fa durante l’ultima conferenza stampa. “Il Superbonus” – che ha racimolato circa 4,4 miliardi di crediti falsi – “è la più grande frode di Stato di sempre” ha affermato senza mezzi termini il Ministro dell’Economia Franco.
Draghi ha poi rincarato la dose puntualizzando che se ci sono stati casi di frodi è perché certi partiti hanno voluto costruire apposta un sistema che prevedesse pochi controlli. Il provvedimento fiore all’occhiello del M5S varato dall’allora governo Conte, ha nella realtà regalato ingenti somme a truffatori, come alle casse della malavita. Alla pari di ciò che emerso riguardo il reddito di cittadinanza, che nel 2021 si stima abbia erogato circa 200 milioni di prestazioni non dovute.
Dunque la storia più vecchia del mondo si ripete. Partiti alla ricerca di voti che si servono di politiche clientelari per garantirsi risultati alla successiva tornata elettorale. Ed è in questa rischiosa cornice che Draghi dovrà muoversi per lavorare fino a gran parte del prossimo anno. Con partiti che scalpiteranno per poter rivendicare pubblicamente il proprio contributo e il proprio successo riguardo un provvedimento di “bandiera” piuttosto che un altro. Niente di strano dopotutto, la politica è da sempre anche questo.
Il problema è che nel frattempo a tenere le fila del Governo vi sarà una figura arbitrale che rende inevitabilmente gli equilibri più precari. Se nella storia della nostra Repubblica è quasi una consuetudine veder spodestati premier politici dal loro mandato elettorale per andare a elezioni anticipate, stabilizzare la sorte di un uomo apolitico che non ‘accontenta’ più i partiti sarà ancora più difficile. A quel punto però come reagirebbero i cittadini? Darebbero la colpa ai partiti per aver causato l’ennesimo crollo della legislatura? O sarebbero ben felici di andare alle urne?
Partiti già in corsa per raccoglierne l’eredità
Draghi con l’affermazione riguardo al suo futuro “se volessi trovare un lavoro sarei in grado di trovarmelo da solo” sembra non voler lasciare spazio a molti dubbi rispetto ad una sua candidatura, ma non solo. Con queste parole forse vi è anche la volontà di ribadire ai partiti, in chiave post-Quirinale, la dignità della sua posizione di tecnico a servizio delle istituzioni. Draghi è cosciente di quanto rimanere al potere non sia (e non sarà) affatto semplice, e forse questo primo colpo inferto ai partiti della maggioranza dell’ultimo esecutivo Conte è un tentativo da parte sua di ripristinare i rapporti di forza.
Dopotutto basta sollevare il coperchio per aprire quel vaso di Pandora che è ormai la nostra realtà politica. Riguardo il Superbonus difatti il pietoso show non è tardato a realizzarsi. Salvini ha difeso la legge mentre Giorgetti – ministro della Lega – ha affermato che non solo questa non sia stata formulata adeguatamente, ma che sta anche drogando pericolosamente il settore dell’edilizia. Da parte sua Renzi ha screditato prontamente la legge rivendicando con orgoglio il suo ruolo nella dipartita del disastroso governo Conte. Peccato che quella legge sia stata approvata anche dal suo partito. I partiti sono già in corsa per raccogliere l’eredità di Draghi. Il presidente del consiglio però ha i propri mezzi per frenare questa rincorsa e rimettere i puntini sulle i. Eventuali elezioni anticipate sarebbero un grave azzardo per il Paese prima della nuova legge elettorale, e soprattutto in un contesto internazionale – leggi la crisi Ucraina – tanto turbolento.
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