L’erogazione di denaro dei contribuenti europei agli Stati membri dell’Unione è legata al rispetto dello Stato di diritto in ciascun paese e tale resta. Questa in sostanza la motivazione con cui la Corte di Giustizia dell’Unione europea, che ha sede a Lussemburgo (foto in alto), ha respinto il ricorso di Ungheria e Polonia contro il meccanismo di condizionalità che lega l’erogazione dei fondi europei al rispetto, appunto, dello Stato di diritto.
Cosa chiedevano Ungheria e Polonia
Budapest e Varsavia chiedevano di annullare un recente regolamento europeo particolarmente importante. Quello che consente all’Unione di sospendere i pagamenti, provenienti dal bilancio europeo, agli Stati membri nei quali si riscontrino minacce allo Stato di diritto. La Commissione europea, incaricata di attivare la normativa, aveva accettato in accordo con i 27 paesi membri della Ue, di aspettare la decisione della Corte prima di agire. E ciò malgrado che il regolamento sia già entrato in vigore, nel gennaio 2021.
La #CJUE rejette les recours formés par la #Hongrie et la #Pologne contre le mécanisme de conditionnalité du budget de l’#UE au respect de l’#étatdedroit par les États membres @Europarl_FR @EUCouncil
— Cour de justice UE (@CourUEPresse) February 16, 2022
Reazioni alla sentenza della Corte
La ministra della Giustizia ungherese, Judit Varga, ha bollato come “abuso di potere” da parte di Bruxelles la sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue che ha respinto oggi il ricorso di Ungheria e Polonia. Dal canto suo, Varsavia ha definito, oggi 16 febbraio, il verdetto della Corte sullo Stato di diritto un “attacco contro la nostra sovranità“. Così lo ha definito su Twitter il vice ministro della Giustizia, Sebastian Kaleta.
Polonia, Ungheria e il Gruppo di Visegrád
I due paesi ex sovietici dell’Est sono da anni Stati membri dell’Unione europea ma non soddisfano ancora tutti i requisiti per l’adozione dell’euro. Polonia e Ungheria sono cioè fuori dalla Zona Euro, assieme ad altri paesi dei 27, alcuni dei quali con status differenti. I rapporti di Ungheria e Polonia con la Ue sono tutt’altro che facili, specie sotto il profilo della cosiddetta cessione di quote di sovranità che ciascun paese deve adottare lungo il percorso dell’integrazione europea. Varsavia e Budapest, assieme alla Repubblica ceca e alla Slovacchia, fanno parte del Gruppo di Visegrád. Una trentennale alleanza politica, economica, culturale e militare dei quattro Stati dell’Europa centrale, oggi tutti membri della Ue.
Trasparenza e diritti delle minoranze
Come ricorda ilPost.it, le principali organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani concordano che diversi paesi membri della Ue, fra cui Ungheria e Polonia, ma anche Repubblica Ceca, Bulgaria e Romania, abbiano seri problemi nel rispettare l’indipendenza della magistratura e dei tribunali. Non solo. Varsavia e Budapest non avrebbero la volontà di garantire la trasparenza degli atti dei rispettivi governi, né di proteggere i diritti di minoranze e oppositori politici. I trattati europei non avevano previsto che uno o più Stati membri potessero assumere una guida semi-autoritaria una volta entrati nell’Unione Europea. Così è giudicato dalle autorità della Ue sia il Governo polacco di Mateusz Morawiecki che quello ungherese di Viktor Orbán.
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